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La Ricerca Scientifica in Italia: 2 bilanci per una panoramica realistica (e non catastrofista)

Lo stato della Ricerca Scientifica in Italia? Non è facile rendere interessanti testi che non profetano l'apocalisse, si rischia la noia, ma ecco i dati...

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 21 Gen. 2014

 

 

 

ricerca scientifica in italia - Immagine: © Noigiovani.it Fare bilanci non è facile, e forse nemmeno utile. Di fronte all’ennesimo scenario l’informazione che ne ricaviamo può risuonare scontata, e l’impressione può essere di futilità. Per esempio, la ricerca scientifica in Italia. Parlarne significa intonare un già previsto lamento funebre, la solita processione che accompagna il cadavere nella bara al cimitero. Senza che poi si arrivi mai a questo cimitero, senza che mai si riesca a seppellire il morto.

Abbiamo trovato online un paio di resoconti, uno un po’ meno catastrofico del solito, l’altro più negativo e propenso al lamento disperato, ma più nei toni che nei risultati riportati. Leggendo Giuseppe De Nicolao (2013) sulla rivista online Roars (acronimo un po’ misterioso e ruggente che sta per: Return On Academic Research) impariamo che le critiche che si accumulano sul corpo sempre da seppellire dell’attività scientifica dell’Università Italiana sono infinite, ma anche contraddittorie e non sempre fondate. Si va dal rimprovero che ci sono troppi atenei (per poi scoprire che invece i numeri dicono il contrario) o che il rapporto alunni/professori è troppo elevato (e anche qui i numeri smentiscono) o che solo in Italia ci sono i fuoricorso (ce ne sono di più in USA).

Si dice che l’Università italiana abbia una produzione scientifica risibile, ma i dati smentiscono anche questo: un’elaborazione SCImago su dati Scopus 1996-2012 rivela che l’Italia mantiene stabilmente la sua dignitosa ottava posizione nella classifica dei paesi produttori di articoli scientifici, con un leggero incremento del la percentuale di ricerca mondiale prodotta in Italia, passata dal 3,3% al 3,5% dal 1996 al 2012. E così via, con altri dati.

Un articolo banalmente ottimistico, quello di De Nicolao? Può darsi. Non è facile rendere interessanti  testi che non profetano l’apocalisse, si rischia la noia. E probabilmente molto del successo dell’ultimo libro della Bibbia deriva proprio dal suo tono terrificante. Però anche l’Ecclesiaste, quando ammonisce che nulla mai cambia sotto il sole, ci incoraggia a non esagerare in nessuna direzione, nemmeno in quella negativa.

Se però tutto questo non ci convince, possiamo tornare a lamentarci e a vestirci di scuro insieme a Marco Cattaneo, che usa ampie pennellate di nero per distoglierci dalla carezza consolatoria di De Nicolao. Cattaneo, come un nuovo Catone, tuona di rabbia e orgoglio (interessante questa allusione a Oriana Fallaci e alla catastrofe dell’11 settembre) e ci presenta il ben noto quadro -ormai stucchevole- del ricercatore italiano che riesce, nonostante tutto e in mezzo a inimmaginabili difficoltà, a fare della buona ricerca. Apprendiamo così che l’Italia ha conquistato 46 fondi ricerca (ovvero, grant) su 312 bandi proposti nel 2013. Il 15%.

Ci sarebbe di che essere orgogliosi, dice Cattaneo. Ma non possiamo. Questo perché di questi 46 grant ben 26 sono andati a ricercatori italiani che lavorano all’estero, mentre solo 20 davvero rimangono in Italia. Questa non sembra essere una gran notizia, siamo d’accordo con Cattaneo. Però anche con questa mutilazione la prestazione dell’Italia rimane accettabile, sia in assoluto che in rapporto agli altri paesi citati. Anche la Germania soffre di una simile emorragia: 15 grant tedeschi “fuggiti” contro 33 rimasti in patria. Diverso il comportamento dei ricercatori inglesi e francesi, tutti ferreamente rimasti attaccati al paese di origine.

Da parte nostra, non sosteniamo che non si possa fare meglio e che non ci siano cose da migliorare. Un dato sicuramente negativo tra quelli riportati da Cattaneo c’é: l’assenza di ricercatori che vengano in Italia  a fare ricerca. L’Italia, e gli italiani, hanno un problema di comunicazione con il resto d’Europa. Non sempre siamo capaci di capire e di farci capire. Non ripeteremo le solite cose: dobbiamo migliorare il nostro inglese, l’efficienza delle nostre infrastruttura, l’amichevolezza della nostra burocrazia. Aggiungiamo che forse dobbiamo diventare un po’ più sciolti, meno ossessionati dalla nostra -a volte supposta e a volte reale- cialtronaggine. Che esiste, ma non si risolve rimuginandoci su.

Rimane il fatto che anche nelle informazioni trovate da Cattaneo l’Italia esce fuori come un paese in grado di dare il suo significativo contributo alla ricerca scientifica. Per questo ci pare che lo stile di Cattaneo sia eccessivo. Egli adotta il noto repertorio, con qualche interessante novità pop: così il paese muore, e poi la “rabbia, e l’orgoglio“, e l’ “incazzatura che arriverebbe a vette inesplorate“, e “vado a misurarmi la pressione“, e la cialtronaggine, e così via. Uno schiumante frasario sull’Italia che eternamente delude i sogni di gloria e non è all’altezza delle sue potenzialità.  I sogni devono esserci,  non devono diventare un incubo, e ciascuno di noi deve fare il meglio che riesce a immaginare, in creatività e serietà e pazienza. Diciamo che a fronte dei dati, misti, un po’ buoni un po’ tristi, la ruminazione depressiva non aiuta anzi, a circolo vizioso, aggrava il problema.

 

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PREMIO STATE OF MIND PER LA RICERCA IN PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA

 

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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