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Tratti di Personalità & Suicidio

Tratti di Personalità & Suicidio - Differenze tra atto tentato e compiuto. Ogni 40 secondi una persona nel mondo pone fine alla propria vita.

Di Alessandra Piccolini

Pubblicato il 08 Nov. 2012

Aggiornato il 23 Gen. 2013 13:32

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Tratti di Personalità & Suicidio – Differenze tra atto tentato e compiuto. Ogni 40 secondi una persona nel mondo pone fine alla propria vita.

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I comportamenti suicidari costituiscono un problema decisamente non irrilevante al giorno d’oggi, a livello individuale, familiare e di sistema sanitario pubblico. A livello mondiale, negli ultimi vent’anni il tasso di suicidi è aumentato, a seconda del paese, da un minimo del 5% ad un massimo del 62%: ogni 40 secondi, una persona da qualche parte nel mondo pone fine deliberatamente alla propria vita (World Health Organization, 2012).

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Il tentato suicidio (“un atto auto-distruttivo accompagnato dall’intento più o meno forte di procurarsi la morte”) viene stimato, in generale, come dalle 10 alle 40 volte più frequente dell’omicidio compiuto, ed è uno dei predittori più forti di suicidio conseguente (Tidemalm, Langstrom, Lichtenstein, & Runeson, 2008). Diversi studi hanno dimostrato come il tentato piuttosto che il compiuto suicidio, nonché la scelta del “mezzo”, possano differire in base a genere ed età (e.g. Hawton, 2000).

A partire da queste premesse Hirvikoski e Jokinen, dal Karolinska Institute di Stoccolma, hanno condotto uno studio longitudinale dal duplice scopo: indagare quali tratti di personalità potessero essere rilevati in soggetti che riportavano tentato suicidio a confronto con soggetti che sono successivamente deceduti per comportamenti suicidari, e valutare se i tratti di personalità trovati, i “mezzi” utilizzati ai fini del suicidio e il successo o meno degli atti stessi differissero in funzione del genere di appartenenza (Hirvikoski & Jokinen, 2011).

Kill Me Please, Suicidio Assistito e le nuove frontiere del Controllo. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti
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I ricercatori hanno reclutato in un periodo compreso tra il 1993 e il 2005 un totale di 181 pazienti (67 uomini, età media = 35,45 anni) della Suicide Prevention Clinic dell’Ospedale dell’Università di Karolinska, Stoccolma. Il principale criterio di inclusione nel campione prevedeva che i soggetti avessero compiuto recentemente un tentativo di suicidio (non più di un mese prima). Ogni paziente è stato intervistato tramite somministrazione di SCID I e SCID II (First, Spitzer, Robert, Gibbon, & Williams, 1996; First, Spitzer, Gibbon, Williams, & Benjamin, 1997) in modo che fosse possibile stabilire una diagnosi secondo il DSM-IV (APA, 1994).

È stato così rilevato che il 91% del campione riportava un disturbo in Asse I (75% disturbi dell’umore), mentre il 33% riportava un disturbo in Asse II (17% disturbo borderline di personalità).

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Al fine di identificare i tratti di personalità dei soggetti esaminati, è stato loro chiesto di compilare un questionario, il Karolinska Scales of Personality (Schalling & Edman, 1993), i cui item sono stati raggruppati in quattro aree di personalità: Neuroticismo (socializzazione, ansia somatica, ansia psicologica, tensione muscolare, psicastenia, inibizione dell’aggressività, irritabilità e colpa), Psicoticismo (distacco, diffidenza), Anticonformismo (desiderabilità sociale negativa, aggressività indiretta, aggressività verbale) e Estroversione (impulsività, evitamento della monotonia).

Tutti i pazienti sono stati seguiti dal momento del reclutamento al 2009; i pazienti deceduti nel corso di questo periodo sono stati registrati e sono state identificate le cause del decesso. In totale, 11 pazienti (4 donne e 7 uomini, 6% del campione) hanno commesso suicidio  nel periodo di follow-up.

 Ecco i risultati: gli uomini riportavano tentativi di suicidio di tipo più violenti (es. tramite arma da fuoco, impiccagione, salto da un luogo particolarmente alto) rispetto alle donne (che prediligevano metodi “meno rischiosi”, come l’overdose di farmaci). Era inoltre maggiore la probabilità che gli uomini, piuttosto che le donne, ritentassero con successo il suicidio in seguito ai primi tentativi. Si tratta di un risultato coerente coi dati epidemiologici relativi al fenomeno indagato, per cui gli uomini commettono più frequentemente il suicidio rispetto alle donne mentre quest’ultime riportano maggiori tentativi non riusciti, secondo un rapporto 2:1 (World Health Organization, 2012).

Per quanto riguarda i tratti di personalità, i soggetti che avevano utilizzato mezzi più violenti riportavano anche valori più alti di “psicoticismo”. Le donne riportavano punteggi lievemente più alti relativamente a questo tratto rispetto agli uomini, mentre gli uomini riportavano valori di “estroversione” significativamente maggiori. Infine, mentre gli uomini deceduti per suicidio riportavano livelli maggiori di “estroversione” rispetto agli uomini sopravvissuti, le donne decedute ne riportavano livelli minori rispetto alla controparte femminile (si tratta, in quest’ultimo caso, di dati da considerare con precauzione dato l’esiguo numero di donne decedute nel periodo di follow-up).

Si tratta di uno studio particolarmente interessante, poiché pochissime ricerche di follow-up sono state svolte in passato riguardo ai tratti di personalità di soggetti che hanno poi effettivamente commesso il suicidio. Sicuramente, studi futuri su campioni più ampi contribuiranno a chiarire il valore predittivo di alcuni tratti rispetto ad altri, magari anche approfondendo il ruolo (tuttora poco definito) di fattori genetici e ambientali.

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