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Le vicissitudini psicologiche dell’ Euro

Le vicissitudini dell’euro ci parlano di alcune delle più radicate insicurezze umane: il bisogno di appartenere, il timore di essere esclusi

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 18 Giu. 2012

Le Vicissitudini Psicologiche dell'Euro. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti.
Christine Lagarde sorveglia e segnala come un guardalinee, la Merkel imperterrita sentenzia le sorti delle "squadre europee". Il parallelismo tra gli Europei di calcio 2012 e le dinamiche dell'Europa economica si gioca anche sulla terminologia, sul maggior rigore economico predicato dall'arbitro Merkel (arbitro molto severo e dal cartellino rosso facile), sull'espulsione dal campo per "comportamento scorretto". Ma in gioco c'e ben più di una coppa calcistica, e le altre squadre lo sanno bene.

Le vicissitudini dell’euro ci parlano di alcune delle più radicate insicurezze umane e sociali: il bisogno di appartenere e di essere riconosciuti come appartenenti al gruppo e il timore di essere esclusi.

Il desiderio di essere accettati, che però implica l’imbarazzo, e forse l’umiliazione, di bussare alla porta del club nel quale ci si vuole iscrivere. Mi accetteranno? E quanto brucia il dubbio di non poter essere all’altezza?

Amarezza cronica post-traumatica. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti -
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Plausibilmente i greci, o alcuni greci, ritengono che sia umiliante che la loro appartenenza all’Europa sia messa in dubbio per ragioni economiche. Non basta il contributo di civiltà? Omero, Eschilo, Socrate, Platone e Aristotele e il Partenone e tutto quel genere di cose? Oppure no.

Purtroppo la costruzione di uno Stato non è solo un fatto di appartenenza culturale. Si può avere molto o poco in comune e questo può essere un fattore influente o insignificante. E poi, cosa c’è di più labile di una comunanza culturale? La frattura tra Europa mediterranea e settentrionale può essere più profonda di quanto si possa sospettare. Basti leggere questo articolo dello storico americano Victor Davis Hanson per toccare con mano come forse il Reno sia più ampio del Mediterraneo e dell’Atlantico. Cosicché potrebbe esserci più affinità tra un tedesco e un americano che tra un tedesco e un europeo/mediterraneo. E così via, coinvolgendo nella diffidenza nordica non solo i greci, ma anche italiani, spagnoli, portoghesi e perfino i francesi.

Nella modernità succedono strane cose. Il senso di appartenenza si dissolve e al tempo stesso si acuisce.

Dietro un’apparente senso di comunanza universale può nascondersi un ancor più forte senso di esclusione. Il caso di Christine Lagarde è significativo. L’intronizzazione di questa francese al soglio del Fondo Monetario Internazionale avviene perché essa è erede dell’alta tradizione amministrativa della Francia o invece perché la Lagarde è una dei pochissimi non nativi di lingua inglese in grado di parlarlo davvero fluentemente? E davvero fluentemente non vuol dire parlare bene l’inglese. Significa molto di più. Significa parlarlo davvero bene come la tua lingua nativa. Ecco quindi che dietro l’internazionalismo finanziario si cela un etnicismo anglo-sassone efficientissimo proprio in quanto nascosto (Leggi l’articolo di Simon Kuper).

L’appartenere a un gruppo, a una cultura, a un popolo, o a tutte queste vecchie cose di pessimo gusto è uno di quei bisogni umani che sono disconosciuti dalla mentalità dei nostri tempi. Roy F. Baumeister è stato colui che ha dedicato i propri sforzi scientifici a studiare il bisogno di appartenenza come bisogno universale, dotato di aspetti affettivi da non disprezzare e capace di procurare sofferenza quando non soddisfatto, indipendente da altri bisogni e dotato di funzioni proprie. Certo, come tutti i bisogni può anche produrre danni quando ricercato in maniera pervasiva e distorta. Ma rimane un bisogno umano che va compreso e controllato, ma non può essere eliminato (Baumeister, Leary, 1995).

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Amica? Nemica! - Immagine: 2011-2012 © Costanza Prinetti.
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Negli altri si cercano anche le somiglianze, le conferme, le similitudini di gusto, di sensibilità, di storia personale, cercano perfino le stesse idiosincrasie e le stesse antipatie.

Le persone, scrivono Baumeister e Leary (1995) cercano nel contatto non solo la novità e lo stimolo, ma anche un certo grado di continuità affettiva, di fiducia reciproca, un’assicurazione che i rapporti siano ragionevolmente prevedibili e quindi amichevoli e fruttuosi.

Brewer (1991) ha riscontrato il benessere personale e il senso di stabilità del proprio sé dipendono non solo dalla personalità individuale, ma anche dalla possibilità di aderire a norme culturali condivise.

Senza questa possibilità, il disagio e l’angoscia fanno le loro apparizioni.

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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