Melancholia (2011) di Lars Von Trier. Solenne, luminoso, bellissimo, l’astro azzurrino accende il buio dello spazio. Lento e inesorabile muove nel cielo nero la sua danza di morte. Attimo dopo attimo, sempre più vicino alla Terra, attratto dal nostro pianeta come un amante dalla sua bella. L’impatto sarà ineluttabile e devastante. Uno scontro cosmico-sessuale sulle note della musica più erotica e straziante mai scritta, il preludio del “Tristan und Isolde” di Wagner diretto da Furtwangler.
Inizia così Melancholia, apocalittico, dolente film di Lars von Trier oggetto dello scandalo allo scorso Cannes per via di certe dichiarazioni un po’ folli e molto fuorviate del regista danese, tacciato dai media di filo-nazismo, cacciato dal Festival come “persona non grata”. A farne le spese anche il suo film, subito escluso dalla Palma d’oro ma risarcito a furor di giuria con il premio per la miglior attrice a Kirsten Dunst, che è Justine, una delle due sorelle della storia. L’altra, Claire, è Charlotte Gainsbourg.
E mentre la Terra s’infrange, esplode nel fatale orgasmo cosmico, compaiono le ultime immagini di quel che è accaduto poco prima in un ameno luogo del nostro ex pianeta: un castello, un giardino, una sposa che fluttua sul fiume con il velo bianco e i mughetti in mano, simile all’Ofelia di Dante Gabriel Rossetti… Istantanee di vita già passata, disintegrata con tutto il resto.
Prologo incantatore, cinematograficamente scorretto. Contro ogni regola, Lars von Trier racconta subito come andrà a finire. Niente e nessuno potrà fermare quel corpo celeste che punta dritto su di noi. E dopotutto, come dice lui «Quello è il vero happy end. La soluzione migliore. Di certo non mancheremo a nessuno”. Tanto a Melancholia non si sfugge. Il Pianeta Lars lo sa bene.
“Non è un film sulla fine del mondo ma su uno stato d’animo che conosco”, ha confessato. Umor nero, depressione, ipocondria, attrazione per l’apocalisse: i suoi prediletti compagni di vita. Psicoanalisi, cure del sonno, farmaci, poveri rimedi. Buoni per illuderti ogni tanto di essere guarito. Come Justine, la sorella depressa, che nel tentativo di trovare una “normalità” decide di sposarsi nel più fastoso e tradizionale dei modi. Quasi che il rito potesse sopperire al vuoto spaventoso che l’attanaglia. “L’ho modellata su di me. Justine mi somiglia”, racconta lui.
Melancholia (2011) di Lars von Trier – TRAILER:
Fin dal nome. Justine, l’eroina di De Sade, la vittima di tutte le “disavventure della virtù”. Traversie della sorte che non hanno risparmiato neanche von Trier. Infanzia problematica, la madre Inger comunista-femminista dura e pura, lo cresce nel mito della verità ma gli nasconde l’unica cosa davvero importante. Solo sul letto di morte gli svelerà il nome del suo vero padre. Non l’ebreo signor Trier che l’ha cresciuto con affetto, ma tale Hartmann, di origine tedesca, scelto da lei per concepire un figlio per via dei “geni artistici” della sua famiglia. “Ho creduto di essere finito dentro “Dallas”, commenta Lars. Che a 33 anni deve rivedere tutta la sua storia. Quello che credeva suo padre è ormai morto, il genitore biologico gli manda a dire tramite avvocato che non vuol saper niente di lui. «Di colpo – raccontò a Cannes – non ero più il figlio di un ebreo ma di un uomo di origini tedesche. Forse sono un po’ nazi anch’io».
Apriti cielo. Insensibile al cupo senso dello humor del regista danese, la stampa fiuta lo scandalo, butta benzina sul fuoco. Cosa pensa di Hitler? Masochista più di Justine, Lars non arretra. «Lo capisco. È un uomo, ha il male dentro come tutti. Non è certo un bravo ragazzo, ma se lo penso nel suo bunker, solo… Provo simpatia per lui”. Perché anche Hitler, alla fine, si trasforma in vittima. E per Lars le vittime sono qualcosa di irresistibile. Kirsten Dunst intuisce lo schianto e sussurra: «È entrato in un buco nero». Troppo tardi. Nulla valgono i successivi “mea culpa” né l’aver fatto film contro la pena di morte come “Dancer in the Dark”, o l’aver salito la scalinata del Palais di Cannes con il pugno chiuso sulle note rosse dell’Internazionale.
Bollato ipso facto di apologia di nazismo, Lars von Trier si porterà dietro questa accusa infamante chissà per quanto ancora. Pochi giorni fa, dopo un nuovo interrogatorio della polizia danese, decide: “Visto che non riesco ad esprimermi in modo chiaro in pubblico, d’ora in poi mi asterrò da ogni dichiarazione e intervista”.
Voto del silenzio. Radicale come sempre Lars si ritira a Zentropa, il quartier generale della sua casa di produzione, appena fuori Copenhagen, dove divide con pochi e fidati collaboratori vita e cinema. Una sorta di comune utopica, regno anarchico dell”anarchico Lars von Trier.
Che lì ora sta scrivendo il nuovo film, Nymphomaniac. “Un porno”, annuncia provocatore come sempre. Un’esplorazione senza veli né tabù della “vita erotica di una donna da zero a 50 anni”. Già scelti i protagonisti maschili, Stellan Skarsgard e Willem Dafoe, entrambi già più volte suoi interpreti. Più difficile trovare la protagonista. Che, secondo Lars, deve essere pronta a tutto. “Anche a girare vere scene di sesso”. Ancora più complesso sarà trovare l’adolescente necessaria per la prima parte della storia. Peter Aalbek Jensen, storico produttore e amico di Lars, fiuta il pericolo: “Ci saranno due versioni. Una destinata alle sale e una più “spinta”. Ma, conclude cercando di sdrammatizzare, “Forse sarà anche un film divertente. Un po’ buffo e un po’ filosofico”. Vedremo. Già il titolo da solo promette di suscitare in qualsiasi festival dovesse approdare, levate di scudi e polemiche a iosa. Per la gioia masochistica di Lars-Justine.
Melancholia, una scena del film: