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L’abito (non) fa il monaco

Di Michela Muggeo

Pubblicato il 07 Nov. 2011

Lonely - © Vibe Images - Fotolia.comQualche giorno fa mi è capitato di vedere in televisione un dibattito in occasione del compleanno delle gemelline Schepp scomparse lo scorso Febbraio. Ricordiamo che delle due bambine di 6 anni si è persa traccia dopo il suicidio del padre alla stazione di Cerignola, in Puglia. Uno dei temi centrali della discussione riguardava la figura paterna: uomo distinto, laureato, mai dato segni di squilibrio, al di sopra di ogni sospetto, tanto che la ex moglie gli aveva permesso di portare via le figlie per qualche tempo. La domanda chiave veniva ripresa più volte dagli ospiti della trasmissione: è possibile che quest’uomo non avesse mai dato un qualche segno di instabilità, debolezza, di stranezza? È possibile che fosse ritenuto affidabile e responsabile e un minuto dopo compiva un atto del genere?

Questi sono discorsi che spesso sentiamo in occasione di eventi come questo: il fidanzato premuroso, una famiglia perfetta, degli zii affettuosi, tutte persone normali che, in maniera inspiegabile, arrivano a compiere atti terribili inaspettatamente. Ma che cosa possiamo dire di come reagisce la mente umana di fronte alla gelosia, alla frustrazione, al dolore insopportabile di un matrimonio finito? Nel caso delle gemelle Schepp siamo davanti al dolore e alla disperazione di un uomo e di un padre che vede davanti a sé probabilmente soltanto la paura di avere perso i suoi punti di riferimento, i suoi legami affettivi, la paura di dovere per forza fare i conti con questo dolore. E  -annebbiato dalla disperazione e dal vuoto- che cosa faccio? Cancello ogni traccia, ogni legame, proprio come qualcuno ricordava, fece Medea nei confronti di Giasone nella celebre tragedia di Euripide, compiendo l’atto più infangante, cancellandone la stirpe, uccidendo i figli.

Io non so se di fronte a situazioni simili ci siano segnali “premonitori” oppure no, anche se credo sia difficile che i fulmini arrivino a ciel sereno. Molti incolpano la società: viviamo in un mondo frenetico, dove tutto va veloce e non c’è tempo per soffrire e ripartire, non abbiamo legami estesi alla comunità, come invece era più frequente un tempo, non sentiamo il supporto di un gruppo e nel dolore siamo spesso lasciati soli – e perciò nessuno si accorge dei cosiddetti “segnali” che, probabilmente in maniera non trasparente, ci sono.

A questo proposito mi sembrano molto adatte le parole di Francesco Alberoni: “L’apparenza inganna, l’abito non fa il monaco. Proverbi stupidi che invitano alla pigrizia perchè tutto ciò che noi siamo si oggettiva all’esterno. I nostri sentimenti, i nostri valori, i nostri vizi, le nostre virtù si stampano sul nostro volto, traspaiono nei nostri gesti, nel nostro linguaggio, nel nostro abbigliamento, nelle cose che leggiamo o non leggiamo, nell’arredamento della casa, dell’ufficio, nella scelta dei nostri amici, dei nostri collaboratori. Noi siamo dei libri aperti. Ma la gente o ha gli occhi chiusi, o non sa leggere o non lo legge con attenzione”.

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