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A Dangerous Method: una kermesse che vive più di Eros che di Thanatos

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 15 Nov. 2011

Aggiornato il 26 Feb. 2018 12:00

A Dangerous Method - Recensione - Movie Poster - Property of Universal PicturesFreud e Jung, i due padri della psicoanalisi, hanno sancito la nascita e l’affermazione della “cura con le parole”. La curiosità mossa da molti nei confronti delle loro vite, delle loro opere, lavori complessi di non facile impatto, ha portato alla realizzazione di numerose rappresentazioni. Ricordiamo ad esempio Prendimi l’anima di Roberto Faenza, del 2002, o il recentissimo A Dangerous Method diretto dal “mastro indagatore” David Cronenberg, tratto dal libro di John Kerr che ha poi ispirato una pièce teatrale su tematiche che scandagliano le pulsioni dell’animo umano.

Il film è ambientato a Zurigo, 1904, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Lo psichiatra ventinovenne Carl Gustav Jung  è all’inizio della sua carriera, e vive con sua moglie Emma, presso il famoso ospedale Burghölzli, diretto da Eugen Bleuler, figura periferica e marginale.

Jung appare come una persona colta, austera e molto abbiente, grazie alle proprietà della giovane moglie, donna totalmente dipendente dal marito, che piange e si dispera per non essere stata capace di dare alla luce un primogenito di sesso maschile. Di rado, Emma partecipa come cavia alle sedute cliniche del marito, situazione inammissibile in un setting terapeutico. Ispirandosi al lavoro di Freud, Jung decise di tentare sulla paziente diciottenne Sabina Spielrein, il trattamento sperimentale noto come psicanalisi o “terapia delle parole”. Sabina è una ragazza russa di cultura elevata, a cui è stata diagnosticata una grave isteria e ha fama di essere pericolosamente aggressiva, malgrado la sua spiccata intelligenza.

 

Oggi diremmo che Sabina era affetta da un grave disturbo borderline di personalità, eccessiva emotività espressa anche tramite lesioni autoinflitte, con tratti istrionici, teatralità e fatuità nel raccontare la sua vita e le sue emozioni. Nei colloqui con Jung rivela un’infanzia segnata da umiliazioni e maltrattamenti da parte del padre, un uomo autoritario e violento che spesse volte la picchiava, sculacciando sia lei che la sorella. La terapia psicanalitica porta alla luce una inquietante componente sessuale del disturbo di Sabina, che conferma le teorie di Freud sul rapporto fra sessualità e disturbi emotivi. Infatti, Sabina mostrava una particolare forma di piacere orgasmico in risposta alle “sculacciate” impartitele dal padre.

Grazie a questa paziente, Jung forgia un rapporto di amicizia con Freud, e il loro primo incontro è stato un vero e proprio tour de force intellettuale. Si era creato, in questo modo, una reciproca stima e Freud auspicava che il giovane collega potesse diventare il suo erede intellettuale. Il trattamento effettuato da Jung ebbe successo e Sabina intraprese la carriera di psichiatra su incoraggiamento di Jung. Quest’ultimo intanto, violando ogni etica professionale, inizia una relazione con Sabina. I due si incontrano nella casa di lei dilettandosi in estremi rapporti sessuali che riecheggiano le sculacciate paterne. Successivamente, Jung decide di troncare questa famigerata relazione in seguito ad un richiamo scritto effettuato direttamente da Freud, che nel frattempo è stato informato dalla stessa Sabina circa la relazione clandestina intrapresa. Jung messo alle strette nega ogni cosa per apparire “pulito” agli occhi di Freud. Tutto ciò fa esplodere la rabbia di Sabina, che costringe Jung a dire tutta la verità per poter diventare paziente di Freud. La contestata relazione sarà la causa della rottura del rapporto di amicizia tra Freud e Jung. La loro relazione intellettuale era molto ambivalente, da un lato c’era estrema stima, dall’altro estrema competizione non solo da un punto di vista intellettuale, è stato Jung a portare Freud ad un convegno oltre oceano per espandere la psicoanalisi, ma anche economico, Jung era squisitamente ricco e non mancava occasione in cui non facesse notare la differenza all’amico Freud.

Questa è la storia, ma la rinarrazione della vita e del destino incrociato di queste tre leggendarie menti più una, quella dell’altrettanto complessato dott. Otto Gross, paziente inviato da Freud a Jung, appare in alcuni momenti intensa, ma confusa, mista di sesso e poca etica professionale. E’ proprio confuso l’aggettivo che più si addice all’intera storia, narrata con occhio relativamente superficiale e sempre pronta ad imbeccare lo spettatore, indulgendo troppo nelle pulsioni erotiche fini a sé stesse e nelle beghe relazionali più che nella vera psicologia indagata. Il tutto si risolve in un film biografico incentrato su Jung, ma al contempo indeciso sul tempo da dedicare agli altri personaggi e ai loro rapporti. Ne risulta, in finale, una cernita di situazioni e contesti assolutamente arbitraria, che pone in maggior risalto alcune vicende e tratti caratteristici sempre e solo relazionali, centrandosi su scene di sesso e poco su contenuti squisitamente psichici. Il regista sembra incerto sulla direzione da far prendere alla sua storia, rendendola un po’ dozzinale e semplicistica, nonostante il prezioso materiale a disposizione, che tra l’altro ben conosce essendo uno psicoanalista. Nell’indagare le pulsioni più oscure e angosciose di menti come quelle di Freud, Jung, Gross e la Spielrein ci aspettavamo viaggi nella psiche, metafisici e conturbanti. E invece l’autore cede al richiamo del mainstream, lasciando interagire un carnet di stelle hollywoodiane su un canovaccio più teatrale che cinematografico, dove si muovono diligentemente ma senza un apparente scopo. In generale, si ha una kermesse che vive più di Eros che di Thanatos. L’Happy End finale è immancabile: Jung in preda alle sue fantasie grandiose si estranea dal mondo facendosi accompagnare da una giovane amante, mentre la moglie, pardon la madre dei suoi figli, fa da scenario alla sua vita, e Sabina, psicoanalista affermata e felicemente sposata, è incinta del suo primo figlio. Dimenticavo, Freud litiga definitivamente con Jung e continua a vivere nel suo Super Io, mentre Gross scompare in prenda alle sue pulsioni inconsce.

Il film, in realtà, non è da buttar via, in virtù di una buona messa in scena e della sinergia fra gli attori del cast, che rendono comunque piacevole e relativamente appassionante la frammentaria vicenda, ma la semplificazione estrema del tutto, non ce la aspettavamo da uno come Cronenberg, non può che deludere i suoi fan.

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