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Meno problemi comportamentali e voti più alti a scuola per chi è stato allattato al seno?

Di Michela Muggeo

Pubblicato il 27 Ago. 2011

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:16

AllattamentoIl latte materno, ricco di grassi polinsaturi, proteine e ferro rappresenta il miglior alimento per i neonati, tanto che l’OMS, l’Unicef e l’Unione Europea lo raccomandano come scelta esclusiva per i primi sei mesi di vita del bambino, per poi continuare come alimento complementare fino ai due anni.

I vantaggi per lo sviluppo fisico sono ben noti: incrementa le difese immunitarie del neonato, previene dalle infezioni e dalle allergie, favorisce lo sviluppo intestinale, la vista e persino lo sviluppo psicomotorio. Nel latte materno, però, ci sarebbe molto di più: incrementerebbe nel bambino il normale sviluppo intellettivo e comportamentale. Secondo uno studio longitudinale condotto dalla Christchurch School of Medicine, Nuova Zelanda, su un campione di oltre 1000 soggetti, l’allattamento al seno sarebbe associato a un miglioramento delle abilità cognitive e dei successi scolastici dei bambini rispetto a chi era stato nutrito esclusivamente con latte artificiale. Questi miglioramenti si traducono in punteggi più elevati ottenuti a test di intelligenza somministrati a 8 anni, maggiori abilità matematiche di lettura, comprensione e voti scolastici più alti valutati tra i 10 e i 18 anni.

Ma i benefici non finiscono qui! Uno studio inglese che ha coinvolto più di 10.000 diadi madre-bambino ha portato a risultati ancora più robusti. Alle mamme è stato chiesto di completare dei questionari riguardanti le difficoltà che osservavano nei loro bambini, sia a livello emotivo – come ansia, timidezza o iperattività- che a livello comportamentale – ad esempio mentire o rubare. Questi comportamenti devono essere considerati inadeguati socialmente e ripetersi per un certo periodo di tempo, devono avere un impatto negativo sullo sviluppo del bambino e interferire con la vita familiare quotidiana. I dati sono stati raccolti a 9 mesi di vita del bambino e successivamente a intervalli di due anni fino al compimento del 18esimo anno. I risultati sono sorprendenti: solo il 4% dei bambini che erano stati allattati al seno mostrava una tendenza a tali difficoltà, contro il 16% di chi era stato nutrito con latte artificiale. La validità di questo lungo studio è ancora maggiore se si considera che tali risultati rimangono invariati tenendo in considerazione anche variabili come lo status socioeconomico, il livello di istruzione delle madri, il consumo di sigarette e alcool ed eventuali psicopatologie della madri, con l’aggiunta del fatto che in un campione così numeroso le possibili differenze individuali di chi osserva i comportamenti dei bambini vengono praticamente annullate.

Come si spiegano questi risultati? Anche se rimane vero che lo speciale contenuto di enzimi e acidi grassi presenti nel latte materno sono fondamentali per lo sviluppo del sistema nervoso, negli ultimi decenni le aziende che producono latte artificiale hanno ben sopperito a questo bisogno, creando un prodotto molto simile a quello naturale. La risposta va allora cercata altrove e ce la danno gli psicologi. Anzi, ce lo dicevano già Bowlby e la Ainsworth. Si tratta dell’importanza dello speciale legame che si instaura durante l’allattamento tra la mamma e il suo bambino e che, attraverso il contatto, favorirebbe maggiori interazioni durante questo momento (come più sorrisi, più scambi di sguardi ecc…) e infonderebbe “calore” alla relazione. Attraverso questo processo e questo momento condiviso, si trasmetterebbe al bambino un rinforzo ai comportamenti adattivi e funzionali e alle emozioni positive.

Anche se molte ricerche andrebbero ancora condotte in questa direzione, ad esempio su differenti gruppi etnici e altre culture, rifacendoci alle parole di Peter Kinderman, professore di Psicologia Clinica all’Università di Liverpool, il legame tra la mamma e il suo bambino durante l’allattamento potrebbe proprio costituire il reale fattore chiave di tali differenze comportamentali ed emotive osservate a lungo termine nei bambini.

 

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