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La diabulimia: quando la disregolazione del comportamento alimentare si associa al diabete

La diabulimia è un disturbo alimentare in cui adolescenti e giovani adulti, con diabete mellito di tipo 1, omettono la dose di insulina per perdere peso.

Di Chiara Francesconi

Pubblicato il 12 Giu. 2017

Aggiornato il 17 Lug. 2017 10:34

La diabulimia (etichettata anche con l’acronimo ED-DM1) è un disturbo del comportamento alimentare in cui adolescenti e giovani adulti, per lo più di sesso femminile, con diabete mellito di tipo 1, omettono deliberatamente la dose di insulina con lo scopo di perdere peso o per prevenire l’aumento di peso. A questo comportamento di “purging”, si associano episodi di binge eating e alimentazione sregolata (Jaffa et al., 2006).

 

Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, giunto alla 5 edizione (DSM-5, APA 2013) delinea i criteri diagnostici per i disturbi del comportamento alimentare (DCA) noti come anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating e disturbi della nutrizione e alimentazione senza specificazione. Sebbene questi disturbi siano differenti tra loro nella sintomatologia, essi condividono caratteristiche simili che includono tratti psicopatologici, ossessione per le forme corporee e il peso, distorsioni cognitive, tra cui l’alterazione dell’immagine corporea. I soggetti diagnosticati con un disturbo alimentare possono presentare concomitanti disturbi depressivi o disturbi d’ansia, e solitamente manifestano difficoltà di regolazione emotiva e difficoltà relazionali (Murphy et al, 2010).

Che cos’è la diabulimia?

La diabulimia (etichettata anche con l’acronimo ED-DM1) è un disturbo del comportamento alimentare in cui adolescenti e giovani adulti, per lo più di sesso femminile, con diabete mellito di tipo 1, omettono deliberatamente la dose di insulina con lo scopo di perdere peso o per prevenire l’aumento di peso. A questo comportamento di “purging”, si associano episodi di binge eating e alimentazione sregolata (Jaffa et al., 2006). Tale condizione non è stata ancora riconosciuta come entità diagnostica, e al momento sembra poter ricadere tra i disturbi della nutrizione e alimentazione senza specificazione.

Attraverso la manipolazione di insulina (che comprende sia la riduzione, che l’assunzione ritardata, che la completa omissione del dosaggio) i soggetti possono indurre iperglicemia e perdere rapidamente calorie, attraverso le urine, in forma di glucosio. Dal momento che la perdita di liquidi si associa a perdita di peso, e che essa viene erroneamente interpretata come perdita di grasso e dimagrimento, questo comportamento di “purging” viene agito con lo scopo di tenere sotto controllo il peso corporeo (Colton et al., 2009).
Alcuni ulteriori segni per riconoscere la diabulimia sembrano essere: rapida perdita di peso, alimentazione sregolata, ossessione per la forma corporea e il peso, odore chetonico del respiro e delle urine, letargia, inspiegabile iperglicemia e minzione frequente. Il ruolo della manipolazione dell’insulina nella gestione del peso è di particolare importanza per via delle conseguenze a breve e lungo termine (Callum et al., 2004)

Fattori di rischio della diabulimia

Studi prospettici longitudinali sulla popolazione generale hanno identificato un consistente numero di fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi alimentari. Essi includono: essere di sesso femminile, restrizione alimentare e diete, aumento di peso e sovrappeso, fascia di età puberale, scarsa autostima, difficoltà nel funzionamento familiare, atteggiamenti alimentari disturbati nei familiari, influenza dei pari e della cultura, e una gamma di tratti di personalità (Leon et al., 1993). Sono state inoltre accumulate varie prove a sostegno del fatto che vivere con il diabete di tipo 1 sia un fattore di rischio per lo sviluppo di comportamenti alimentari disfunzionali (Nielsen S., 2002).

I disturbi alimentari sembrano più comuni nei gruppi di giovani donne diabetiche piuttosto che nei maschi diabetici. Gli adolescenti maschi con diabete hanno valori di BMI sostanzialmente più alti ed un elevato desiderio di magrezza, comparati con pari non diabetici, tuttavia i disturbi alimentari in questo gruppo sono molto rari. Le ricerche suggeriscono che il diabete di tipo 1 aumenti il rischio di disregolazioni alimentari in maschi e femmine, ma che ulteriori fattori di rischio sono presenti nelle femmine con diabete, le quali finiscono per superare la soglia dei DCA. Questi probabilmente includono fattori individuali, familiari e socio culturali.

Il predittore longitudinale più consistente dell’emergenza di disturbi alimentari è la restrizione alimentare e il ricorso a diete; entrambi tendono a persistere e peggiorare nel corso del tempo. Queste scoperte suggeriscono che lo stare a dieta potrebbe essere visto o come un fattore di rischio per l’avvio di DCA o il primo stadio della sua manifestazione clinica. Sebbene la maggior parte di soggetti che seguono una dieta non sviluppino disturbi alimentari, lo stare a dieta è un primo passo universale per coloro che sviluppano in seguito un conclamato disturbo alimentare.

La gestione del diabete presenta pertanto un implicito fattore di rischio, legato alla focalizzazione sulle assunzioni di cibo e alle limitazioni alimentari. Questo potrebbe innescare una disregolazione alimentare con episodi di iperalimentazione e binge eating. I soggetti vulnerabili possono quindi intensificare gli sforzi di controllare l’assunzione di cibo e il peso, e finire intrappolati nel circolo di diete, abbuffate e comportamenti compensatori di controllo del peso (Colton et al., 2009).

Sebbene recenti innovazioni nella gestione del diabete consentano a molti soggetti di adottare un piano alimentare più flessibile, il conteggio dei carboidrati resta ancora una pratica sottostante la pianificazione del pasto del diabetico e nella titolazione della dose di insulina. I soggetti diabetici, particolarmente quelli con diabete di tipo2, ricevono spesso le raccomandazioni mediche di ridurre il loro peso e limitare l’assunzione di colesterolo e carboidrati. La pianificazione dei pasti dei diabetici è più flessibile di quella di molte diete dimagranti, ma aumenta il focus sul cibo e le calorie, suggerendo la limitazione di alcune tipologie di alimenti, e questo può essere vissuto come una restrizione. (Colton et al. 2009).

Trattamento della diabulimia

La strategia di elezione nei disturbi alimentari è la terapia cognitivo comportamentale (CBT) attraverso l’automonitoraggio (Anderson et al., 2001). Questa linea di trattamento, sviluppata da Fairburn e colleghi (Clark & Fairburn, 1996), ha un tasso di successo del 40-50% nel produrre cambiamenti a lungo termine in pazienti con comportamento alimentare problematico. I farmaci antidepressivi, la psicoterapia interpersonale o altri programmi CBT vengono usati come interventi secondari quando la sola CBT fallisce.

La gestione medica della diabulimia prevede un approccio multidisciplinare che include un professionista della nutrizione (dietista/nutrizionista), un team medico (endocrinologo/diabetologo, gastroenterologo, psichiatra), e uno psicoterapeuta.

Durante le sessioni individuali di CBT, il paziente apprende nuovi modi di pensare al proprio corpo, all’immagine corporea e al peso, così come nuovi modi di affrontare lo stress psicologico e sociale che porta al comportamento diabulimico.
Oltre alla psicoterapia cognitivo comportamentale, alcune tecniche di psicoeducazione e supporto sembrano produrre benefici nel trattamento di questi pazienti: come il colloquio motivazionale e la mindful eating (Kristeller et al., 2006)

Implicazioni per la pratica

E’ importante potenziare e migliorare l’identificazione precoce e l’intervento su questi comportamenti nella pratica clinica, considerando specialmente il periodo della pre-adolescenza. Una relazione di fiducia, non giudicante e efficace tra soggetto e medico è fondamentale. Il medico dovrebbe ridurre il rischio di disturbi alimentari attraverso l’educazione sulla malattia diabetica, le conseguenze dei disturbi alimentari e l’importanza dell’adesione al trattamento, e saper promuovere comportamenti di auto-aiuto, come attività fisica e sana alimentazione (Callum et al., 2014).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition (2013). Arlington, VA, American Psychiatric Association.
  • Murphy, R., Straebler, S., Cooper, Z., Fairburn, C.G. (2010). Cognitive Behavioral Therapy for Eating Disorders. Psychiatric Clinics of North America, 33(3), 611-627.
  • Jaffa, T., McDermott, B. (2006). Eating Disorders in Children and Adolescents. Cambridge University Press. P. 177-178.
  • Colton, P., Rodin, G., Bergenstal, R., Parkin, C. (2009). Eating Disorders and Diabetes: Introduction and Overview. Diabetes Spectrum, 22(3), 138-142.
  • Leon, G.R., Fulkerson, J.A., Perry, C.L., Cudeck, R. (1993). Personality and behavioral vulnerabilities associated with risk status for eating disorders in adolescent girls. J Abnorm Psychol, 102, 438–444.
  • Nielsen, S. (2002). Eating disorders in females with type 1 diabetes: an update of a meta-analysis. Eur Eat Dis Rev 10, 241–254.
  • Callum, A.M, Lewis, L.M. (2014). Diabulimia among adolescents and young adults with Type 1 diabetes, Clinical Nursing Studies, Vol. 2, No. 4
  • Anderson, D.A., Maloney, K.C. (2001). The efficacy of cognitive–behavioral therapy on the core symptoms of bulimia nervosa. Clin Psychol Rev.; 21(7), 971-988.
  • Clark, D.M., Fairburn, C.G. (1996). Science and Practice of Cognitive Behaviour Therapy: Oxford University Press, USA.
  • Kristeller, J.L., Baer R.A., Quillian-Wolever R. (2006). Mindfulness-based approaches to eating disorders, In Baer, R. (Ed.) Mindfulness and acceptance-based interventions: Conceptualization, application, and empirical support. San Diego, CA: Elsevier.
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