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Psicodinamica del trauma: i contributi psicoanalitici sugli eventi traumatici

Psicodinamica del trauma: secondo Freud il trauma risiede in una sensazione di impotenza dell’Io di fronte ad eccitamenti interni o esterni.

Di Ilaria Sarmiento

Pubblicato il 29 Gen. 2017

Aggiornato il 19 Feb. 2017 10:18

Psicodinamica del trauma: L’osservazione psicoanalitica ha da sempre ritenuto i traumi psichici come fattori rilevanti sia per la diagnosi che per la terapia dei disturbi psichici. Il Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM; AA.VV., 2006/2008), infatti, nella sezione dedicata ai traumi psichici e ai disturbi post-traumatici da stress include maggior materiale di quello presente nella sezione dedicata agli altri disturbi mentali, proprio per la rilevanza delle esperienze traumatiche nell’eziopatologia psichica.

 

Psicodinamica del trauma: il trauma come lacerazione dell’Io

Con Al di là del principio di piacere (Freud, 1920) il concetto di trauma come “corpo estraneo” nel tessuto psichico, espresso da Freud nel 1895, viene sviluppato da un punto di vista psico-economico. Secondo Freud, l’evento traumatico è connotato da un’eccitazione talmente elevata da rendere inefficace la barriera antistimolo, pertanto l’individuo non può elaborare psichicamente l’evento. Si parla, quindi, di trauma quando l’Io non è in grado di mobilitare un controinvestimento all’iper-eccitazione esterna o di legarla all’investimento pulsionale (Mangini, 2001). Nel 1926, Freud, in Inibizione, sintomo e angoscia definisce, infatti, l’essenza del trauma in una sensazione di impotenza dell’Io di fronte ad eccitamenti interni o esterni; con l’evento traumatico si ha, quindi, la lacerazione della capacità difensiva dell’Io (Freud, 1964). Per la psicodinamica del trauma, quindi, il trauma può essere dovuto anche a cause interne, quando un avvenimento non traumatico di per sé genera una particolare reazione. Questa posizione è da ricondurre al passaggio dalla teoria della seduzione infantile all’idea delle fantasie sessuali infantili. In realtà, purtroppo, la ricerca epidemiologica ha poi evidenziato quanto siano frequenti i traumi sessuali infantili (Herman, 1981).

 

Psicodinamica del trauma: la nevrosi traumatica e la psiconevrosi

Come già detto, Freud in un primo momento con il termine “trauma” si è riferito ad un accadimento esterno. In seguito distingue la nevrosi traumatica, generata da un evento esterno che provoca una reazione di shock, dalla psiconevrosi. Nel caso della nevrosi traumatica si ha una rottura dello scudo protettivo di fronte ad un afflusso di stimoli pericolosi, davanti ai quali l’individuo è impreparato. Freud propone, quindi, che l’essenza del trauma sia un incremento di stimolazione che trova l’apparato psichico impreparato a gestirlo e a lavorare nel modo consueto (Freud, 1915-17).

La psiconevrosi si caratterizza, invece, per l’assenza di un evento esterno traumatizzante. I meccanismi difensivi, in questo caso, sono mobilitati di fronte ad un pericolo interno, ad una percezione di impotenza, di pericolo e possibile dolore. Sarebbe, quindi, il principio di piacere (evitamento del dispiacere) a generare la psiconevrosi (Freud, 1926). Sempre usando la metafora dello scudo protettivo, nel caso della psiconevrosi la rottura sarebbe parziale, mentre nel caso della nevrosi traumatica si ha una totale rottura dello scudo protettivo.

Nel 1926 Freud afferma, però, che [blockquote style=”1″]L’essenza di una situazione traumatica è l’esperienza d’impotenza di una parte dell’ego di fronte ad un accumulo di eccitazione che origina o esternamente o internamente all’individuo[/blockquote] (p.81). La nevrosi traumatica sembra, quindi, perdere l’entità nosologica, come sottolineato da diversi autori (Baranger, Baranger, & Mom, 1988; Blum, 1996; Zepf & Zepf, 2008). Quello che caratterizza la nevrosi traumatica è la perdita di una misura di significato (van der Kolk et al., 1996/2004). L’esperienza di perdita di significato sarebbe simile all’esperienza della nascita, in cui il bambino si trova invaso da stimoli a cui non può attribuire un significato. La corteccia cerebrale del nascituro, in particolare la corteccia frontale, non è, infatti, ancora sufficientemente mielinizzata e non è quindi possibile una rappresentazione psichica dell’esperienza (Cortina, 2001).

Nella psiconevrosi, quindi, l’apparato psichico si mobilita, tramite i meccanismi di difesa, di fronte ad un anticipatorio segnale d’ansia; nella nevrosi traumatica l’apparato psichico si trova invece sovrastato e non può prevenire la situazione traumatica.
La rottura dello scudo protettivo sarebbe, quindi, una metafora dello stato di inabilità delle funzioni dell’Io in seguito ad un “trauma distruttivo”. L’Io non mobilita le proprie difese a causa di un’iperstimolazione, ma in occasione di affetti spiacevoli. Di fronte ad un trauma distruttivo la prima esperienza è di eccitazione, non di ansia.

 

Psicodinamica del trauma: la coazione a ripetere e l’incomunicabilità del trauma

La ricerca psicoanalitica ha anche evidenziato la tendenza delle persone traumatizzate a ripetere l’esperienza (coazione a ripetere). Questo fenomeno può essere ricondotto a ciò che è la componente essenziale del trauma: il vissuto di impotenza. La persona può, quindi, inconsapevolmente tentare di rivivere il trauma per viversi finalmente come “potente” di fronte ad esso. I sintomi intrusivi, caratterizzati da sogni e dal “rivivere l’esperienza” servirebbero proprio a fare sentire l’individuo in grado di gestire la situazione traumatica (Zepf & Zepf, 2008). Secondo Freud, la coazione a ripetere era dovuta alla pulsione di morte ma, molti autori, oggi sostengono che è una conseguenza dell’introiezione dell’aggressore (Bonomi, 2002; Boulanger, 2002; Frankel, 2002; Stern, 2002). L’introiezione ha una natura aggressiva, in quando l’altro viene ucciso, nel senso che “scompare come parte della realtà esterna” (Ferenzci, 1932, p.162). L’introiezione sarebbe, infatti, la causa della sintomatologia depressiva, di quella psicosomatica e dei sensi di colpa che spesso prova la vittima (Auerhahn & Peskin, 2003; Blum, 2003; Boulanger, 2002; Grubrich-Simitis, 1984; Hoppe, 1968).

Con lo sviluppo delle teorie della relazione oggettuale, il focus dell’attenzione si è spostata dall’Io, che non riesce a gestire il sovra-eccitamento, alla relazione oggettuale. Secondo questo modello, il nucleo problematico dell’esperienza traumatica consiste nella sua natura di esperienza difficilmente comunicabile: [blockquote style=”1″]una catastrofica solitudine, un abbandono interno attraverso cui il Sé non solo viene paralizzato nelle sue possibilità d’azione, ma annichilito, e a ciò si associano angoscia di morte, odio, vergogna e disperazione.[/blockquote] (Bohleber, 2007, p.381). La caratteristica dell’esperienza traumatica è quindi l’incomunicabilità e la possibilità di legare l’esperienza psichica attraverso il suo significato.

Riprendendo i risultati delle ricerche cognitive di van der Kolk (1994), secondo cui la stimolazione estrema isola i ricordi in singoli elementi (visivi, somatosensitivi, affettivi e sensoriali) che, seppur mantenuti in memoria, in tale forma non possono essere integrati in un ricordo narrativo, Bohleber (2007) descrive il punto di vista di molti psicoanalisti, secondo cui un contenuto traumatico non-simbolico e non-mutabile, sarebbe causato da un Sé inattivo nel momento dell’esperienza traumatica. Tale concezione del ricordo traumatico è però disconfermata dall’esistenza di traumi estremi che non danno origine ad amnesia psicogena.

Secondo Bohleber, quindi, è più plausibile la tesi secondo cui le esperienze traumatiche, e i loro ricordi, non hanno un funzionamento dinamico specifico, ma limitato; in altre parole, sono soggette ad una riformulazione ma in forma limitata, andando a formare un rete psico-associativa, ma in forma di corpo estraneo dissociato. Il ricordo traumatico, quindi, secondo Bohleber subisce le stesse modificazioni del materiale non-traumatico ma non riceve codifica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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