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Psicopatologia della scomparsa della figura del padre nella società moderna

Il padre secondo la psicologia junghiana è un' immagine archetipica che costella quadri psicologici individuali e collettivi ed essa si è evoluta nel tempo.

Di Alessandro Raggi

Pubblicato il 19 Lug. 2016

Il Padre non è solo il padre concreto – il papà – ma secondo la psicologia junghiana – anche una potente immagine archetipica che costella quadri psicologici individuali e collettivi. Cosa ha prodotto nel sociale e individualmente l’eclissi del padre autoritario, soppiantato dall’attuale assenza di figure di riferimento normativo?

 

La figura maschile nel ruolo di padre

Semplificando il discorso per entrare direttamente nel vivo dell’argomento, si potrebbe affermare che nella nostra società, la funzione maschile è strettamente legata alla funzione paterna. Cosa s’intende però per “funzione maschile”? In che modo, inoltre questa “figura maschile” si trasforma in figura paterna e quindi in ruolo del padre?
Intenzionalmente si sta qui chiamando “funzione” il maschile, riferendosi con ciò a quello che dal punto di vista biologico rappresenta il maschile nella storia dell’evoluzione della nostra specie. In questa prospettiva, infatti, si evolve e si struttura come funzione specie specifica, la successiva figura del “padre”. Il padre è in questa logica una vera e propria conquista evolutiva, tipica della specie umana, che nasce come costrutto sociale e culturale, sino a stabilizzarsi archetipicamente in una prospettiva junghiana, con una varietà di comportamenti (pattern) che dal punto di vista psichico finiscono nella successione delle ere e delle genealogie, per costituire una base ereditaria, istintuale, innata.

Ciò non significa che il ruolo paterno sia sempre uguale, epoca dopo epoca. Affatto. Ogni epoca ha le sue specifiche caratteristiche con le quali viene reinterpretato e potremmo dire “reinventato” il ruolo paterno. Eppure per quanto si possano modificare le attese di ruolo, da un’epoca all’altra – pensiamo al padre “padrone” dei primi del ‘900, in contrapposizione al padre “mammo” di fine millennio, sino al “papi” di questi ultimissimi anni – ciò non è sufficiente per modificare pattern comportamentali, che hanno potuto contare su migliaia e migliaia di anni per divenire strutture psichiche ereditarie, immagini archetipiche collettive.

La psicopatologia derivante dalla scomparsa della figura del padre

A questo punto occorre prestare attenzione a un passaggio fondamentale, poiché è proprio da questa contraddizione, tra immagine archetipica, pattern comportamentale ereditato da un lato, e dall’altro l’attesa sociale contingente, che si determina una delle principali divaricazioni tra l’Io del soggetto, la sua immagine sociale, e le sue basi istintuali innate.

Quando questa divaricazione diviene insostenibile per l’individuo, si determina una profonda frattura tra il Sé e l’Io del soggetto, che spesso sfocia nella psicopatologia. La psicopatologia a cui assistiamo oggi, infatti, dal punto di vista biopsicosociale, è una psicopatologia che poggia su basi profondamente differenti da quelle degli anni passati. I sintomi prevalenti sono differenti, le sindromi prevalenti sono diverse e i tratti di personalità prevalenti sono altri. Dalle isterie di due secoli fa, si è passati alle nevrosi ossessive, da queste alle depressioni e poi agli attacchi di panico di fine secolo scorso, sino alle forme più compulsive del sintomo di questi ultimi anni: ludopatie, disturbi del comportamento alimentare, cyber-sex, dipendenze patologiche, dipendenze affettive, workaholism.

Si tratta di patologie che, secondo alcuni psicoanalisti, hanno anche motivazioni rintracciabili nel collettivo. Si assiste difatti a un allentamento nella struttura sociale del freno simbolico dovuto proprio all’imago paterna. Il Padre, è in questo, esattamente la struttura simbolica che funge da freno inibitorio rispetto alle pulsioni istintuali, aggressive, tese al godimento puro e immediato. L’archetipo paterno è la norma strutturante del desiderio, l’immagine che interiorizzata regola il Super-Io, la funzione che consente la sublimazione per il godimento sfrenato, il quale solo così arginato potrà mutarsi – appunto – in capacità desiderante. La “funzione paterna” è così del tutto indipendente dalla sessualità del soggetto. A differenza del “maschile”, essa è una conquista sociale e culturale e può essere per questo efficacemente esercitata anche da altri soggetti: istituzioni, madre, insegnanti, politici, religiosi.

A proposito di politica, è interessante notare come anche a questo livello, si assista alla frantumazione dell’ideale dell’arte del governo, dell’immagine “alta” e nobile del politico, dell’uomo chiamato a rappresentare la “polis”. Questo è avvenuto specularmente al degrado totale della figura paterna, che è coincisa con la sua più recente e grottesca mutazione: l’immagine del “papi”. Un padre – il “papi” – che al contrario della sua funzione archetipica, normante, limitante, di freno al godimento, è del tutto “evaporato”, sino a tramutarsi esso stesso nell’emblema di un piacere smisurato e incontinente. Quest’immagine è però l’effetto di una costellazione sociale attuale e non già la sua causa. Sempre restando nell’alveo della politica, anche il ritorno di movimenti populistici, ispirati da forme più primarie e istintuali di comportamento sociale, sembra coincidere con un altro genere di decadimento dell’imago paterna. Sono queste forme di rifiuto di un padre già degenerato, che non hanno difatti la struttura archetipica delle ribellioni al paterno di fine anni ’60 del secolo scorso. Quel paterno, quello delle contestazioni studentesche del ’68, era un padre dispotico, normativo, che ha richiesto una crescita da parte del figlio, chiamato a una forma di superamento del padre stesso attraverso forme di lotta – sovente ideologizzate – ma pur sempre dense di contenuti, simbologia, pensiero in contrapposizione frontale al padre autoritario. Crono non fu detronizzato da una ribellione istintuale, ma da figli che avevano acquisito la maturità e il potere per affrontare il padre tiranno ad armi pari.

I rigurgiti populisti attuali, invece, non passano per un’interiorizzazione del paterno e quindi non ne prevedono il superamento, quanto piuttosto la rinuncia. L’ipertrofia delle consultazioni di massa referendarie – senza peraltro che si siano, almeno in Italia, compiuti i dettami costituzionali di un popolo reso capace di essere autonomo dal punto di vista delle condizioni culturali e dunque di un esercizio del voto consapevole – appaiono come una sorta di resa del potere ai figli. “Potere ai piccoli”: dice scrappy, nipotino di scooby-doo. Non è però l’ascesa un potere che si tramanda, un passaggio di consegne che si compie, ma un mero ribaltamento della logica di responsabilità che da padri inesistenti o inadeguati, si scarica su figli incontentabili e umorali, disabituati alla frustrazione, all’attesa, a reggere il peso formativo dei “no”. Questi figli non intendono ricostruire un’immagine paterna più adeguata, intendono farne a meno.

Si tratta di un rischio psicologico enorme e le psicopatologie contemporanee – tutte giocate sul filo della compulsione – ne sono l’emblema. Il senso del limite, della finitezza, del sacrificio, del differimento del piacere, sono tutte condizioni abolite nelle attuali forme del disagio mentale. Come può, infatti, svilupparsi il desiderio senza frustrazione? E come può svilupparsi il pensiero creativo senza desiderio?

Se un padre autoritario può essere abbattuto, proprio perché la sua autorità ha consentito al figlio di entrare e accedere alla dimensione del desiderio – viceversa un padre istintuale e dedito solo al piacere e al proprio godimento non ha probabilmente educato figli capaci di effettuare un’opera di ricostruzione, ha allevato una prole regredita allo stato pre-paterno: figli “maschi” che faticano a diventare padri e figlie “femmine” che stentano a divenire donne.

Una società senza padri è come una psiche senza funzione paterna: caotica e infeconda, insicura – perché (de)privata dell’interdizione – e dunque della tutela offerta dal limite. Insicurezza e caos sono una miscela per i fondamentalismi, l’aggressività, i movimenti scomposti di figli che non hanno più certezze.
C’è da dire che ciò che può valere archetipicamente e a livello collettivo, non necessariamente vale per tutti i singoli soggetti di quella collettività. Anzi, è proprio questa consapevolezza che ci lascia la speranza di qualche figlio capace di pensare e costruire un nuovo modello paterno in cui egli stesso possa identificarsi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Allain-Dupré B. (1996), La funzione paterna in Jung, in Rivista di psicologia analitica, 53-1996.
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  • Carotenuto A. (1995), Jung e la cultura del XX secolo, Milano, Bompiani.
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  • Galimberti U. (2007), L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli.
  • Recalcati M. (2011), Cosa resta del Padre?, Milano, Raffaello Cortina .
  • Zoja L, (2003), Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Torino, Bollati Boringhieri.
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