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Counseling per psicologi e psicoterapie pragmatiche

La Corte di Cassazione ha affermato che psicoterapia e attività di counseling sono esclusive dello psicologo iscritto all'Albo. 

Di Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 06 Mag. 2016

Una buona notizia per gli psicologi. Il 15 marzo 2016 la Corte di Cassazione ha bocciato il ricorso di una donna di Ravenna, già condannata dal Tribunale e in Appello, per aver ‘esercitato abusivamente la professione di psicologo‘ auto-qualificandosi come ‘psicosomatista di impresa‘. Qualifica a suo modo geniale.

 

 

Dice la sentenza che i clienti della donna ‘a causa di disturbi di natura psicologica ottenevano sulla base di sedute fondate sul dialogo, una guida comportante l’indicazione dei rimedi volti alla prevenzione del disagio e/o guarigione del paziente’. Ovvero prestazioni professionali di psicologia clinica, il che è non legalmente possibile. La donna, già condannata in precedenza, aveva fatto ricorso sostenendo di offrire counseling psicologico a suo dire sottratto alla competenza dell’ordine e che quindi poteva essere liberamente esercitato.

Nella sentenza la Corte accetta la tesi che non solo la psicoterapia ma anche l’attività di counseling psicologico sia esclusiva dello psicologo iscritto all’Albo. Inoltre la Corte non solo proibisce, ma addirittura punisce chi da non-psicologo tenti di esercitare counseling, non riconoscendo alla ‘psicosomatista di impresa‘ di Ravenna la ‘non punibilità per particolare tenuità del fatto‘.

Al contrario la sentenza afferma che:

I giudici di merito hanno concordemente descritto modalità del fatto tali, per continuità, onerosità ed organizzazione, da creare l’oggettiva apparenza di una attività professionale posta in essere da persona con competenze specifiche e regolarmente abilitata, sicché appare preclusa ogni possibile valutazione delle condotte contestate nel senso di una loro particolare tenuità.

 

Un commento. La sentenza della Cassazione ribadisce in Italia, nel bene e nel male, il ruolo di controllo degli ordini e il valore legale delle lauree sul mercato del lavoro.

Questa sentenza che difende il lavoro degli psicologi è possibile in una legislazione -come quella italiana- che regolamenta il mercato del lavoro in base a nozioni derivate dal diritto romano, ovvero alla difesa dei ruoli lavorativi regolati dalla legge. In altri paesi, più legati alla common law inglese a sua volta derivata dal diritto consuetudinario germanico, lauree e ordini –quando ci sono- non danno diritto a nessun tipo di protezione di mercato, valendo solo come titoli di merito e non di accesso a una professione. Sta poi al cliente decidere se preferisce servirsi di uno psicologo, di un filosofo o di una psicosomatista per avere del counseling.

Trascriviamo questi pensieri senza giudicare quale sistema sia il migliore ma solo prendendo atto che si tratta di tradizioni differenti, pragmatica quella anglo-germanica e legalitaria quella latina. Ci preme però informare e magari chiarire un po’ le idee a qualcuno. Chi?

Per esempio coloro che sono odiatori del libero mercato, favorevoli al controllo sul mercato degli ordini e del valore legale delle lauree e al contempo predicatori dell’emigrazione in massa in paesi dove la legislazione invece regala maggiori libertà legali a filosofi, assistenti sociali, infermieri e curatori che vogliano esercitare non solo il counseling ma anche la psicoterapia. Ci rendiamo conto che la nostra invettiva è vaga e generica. Ce la prendiamo con interlocutori generici, non abbiamo nomi ben definiti. Tuttavia questa confusa convivenza di opzioni incoerenti ci pare un fenomeno non raramente osservabile.

 

Le psicoterapie pragmatiche: dai contenuti ai processi di pensiero

Passiamo a un altro argomento, apparentemente distante, ma non troppo. Da qualche tempo, in realtà una quindicina d’anni e forse più, ma emerse da meno e destinate apparentemente a prevalere, sono sempre più popolari psicoterapie che intervengono sui processi e non sui contenuti. Ovvero, non tanto su ciò che pensi, ma sul come lo pensi. Nell’ambito cognitivo, che è quello che conosciamo meglio, è il trionfo delle psicoterapie metacognitive e di processo, in cui ciò che conta non è più indagare quanto siano razionali e funzionali i propri pensieri, ma porsi in maniera diversa in rapporto a questi pensieri, dando loro meno importanza.

Anche in campo psicodinamico si è assistito a qualcosa del genere, soprattutto con il modello di terapia basato sulla mentalizzazione di Peter Fonagy, un modello in cui invece di andare a caccia di pulsioni aggressive e istinti sessuali mal gestiti il terapista preferisce analizzare come il cliente si pone vero queste pulsioni, comprendendone o meno la natura di eventi mentali. Nel primo caso mentalizza, e quindi compie l’operazione fondamentale per poterle gestire ragionevolmente. Nel secondo caso si consegna ammanettato agli istinti, condannandosi a non governarli. Un passetto in questa direzione lo aveva fatto anche Kernberg con i suoi interventi sul contratto terapeutico, ma solo con Fonagy si arriva anche in campo psicodinamico a intervenire direttamente sui puri processi mentali.

Si tratta di un operare estremamente pragmatico. Un nostro cliente, a tal proposito, ci ha detto che gli sembrava di lavorare sul libretto d’istruzioni della mente senza dare più importanza al contenuto dei suoi pensieri. Il cliente aveva anche aggiunto che gli pareva un modo di lavorare molto freddo e distaccato, anche se indubbiamente utile.

 

Ci chiediamo quanto durerà questa ondata processualista e quanto il suo estremo pragmatismo potrà essere applicato ai nostri panorami latini, meno pragmatici di quelli nordici (e di quelli cino-tibetani; questa concezione deve molto all’estremo oriente). Lo diciamo anche alla luce della sentenza della Cassazione di cui abbiamo scritto a inizio articolo, sentenza che ha ribadito un certo modo di essere che rimane nostro, anche quando magari sogniamo notte e giorno di emigrare sul Tamigi a far concorrenza ad assistenti sociali dediti a fare psicoterapia.

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Corte Suprema di Cassazione (2016) Sentenza del 15 Marzo 2016 - SCARICA IN PDF
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