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Crisi economica e disoccupazione: quali conseguenze per la salute mentale?

Numerosi sono gli effetti negativi della crisi economica sul benessere psicologico: alterazioni dell’umore, della stabilità emotiva, depressione o ansia. 

Di Guest

Pubblicato il 08 Feb. 2016

Se i più sono al corrente di quali conseguenze abbia avuto la crisi in termini di posti di lavoro persi, aziende chiuse, aumento della pressione fiscale; non molto spazio è stato riservato agli esiti negativi sul benessere psicologico degli individui.

 

Valentina Ascani – Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

La parola ‘crisi‘ negli ultimi anni è sempre più foriera di una miriade di stati d’animo, di immagini e di pensieri ad essa connessi. Se si parla di crisi si sottende necessariamente quella economica che dal 2008 ad oggi ha portato ad un sostanziale incremento del tasso di disoccupazione, del livello di povertà e dell’indebitamento. Nella mente di tutti sono ancora vivide le immagini di quel non troppo lontano 15 settembre 2008, quando a New York decine di dipendenti della Lehman Brothers si affrettavano a lasciare il posto di lavoro con scatoloni contenenti il loro recente passato lavorativo. Il crack della quarta banca statunitense segnava l’inizio di un tracollo finanziario che avrebbe riecheggiato in gran parte del mondo fino ad avere rilevanti e drammatiche ripercussioni in Europa e in Italia.

Se i più sono al corrente di quali conseguenze abbia avuto la crisi in termini di posti di lavoro persi, aziende chiuse, aumento della pressione fiscale; non molto spazio è stato riservato agli esiti negativi sul benessere psicologico degli individui. Tale riflessione verrà approfondita in questo lavoro al fine di proporre un focus sulle dimensioni del disagio psicologico e sui significati ad esso connessi.

La letteratura scientifica sembra concorde nel dimostrare che maggiore è la disponibilità di risorse economiche migliori sono i valori di tutti gli indicatori di salute. D’altronde, che la stabilità economica e lavorativa si associ al benessere psicologico e abbia effetti positivi sulla vita degli individui in termini di autoefficacia, livelli di empowerment, visione del futuro, è un dato non solo assodato dal senso comune ma anche confermato da una serie di studi.

Secondo il Briefing Document for the National Governors Association (2007) possedere un’occupazione rappresenta un fattore rilevante che segna la routine quotidiana, fornisce obiettivi significativi, aumenta le finanze individuali e/o familiari allontanando il rischio di povertà. Ottenere un impiego è anche correlato con l’aumento del benessere personale, la self efficacy, il miglioramento della gestione relazioni (Becker et al., 2007) e la riduzione dei costi per la salute mentale (Bush et al., 2009); rappresenta, inoltre, un’opportunità di instaurare amicizie, ottenere supporto sociale (Stuart, 2006) e contribuisce a definire se stessi come lavoratori (Bush et al., 2009).

A conferma di ciò va considerato che esistono moltissimi programmi terapeutico-riabilitativi che utilizzano il lavoro come principale strumento per gli interventi di salute mentale: laboratori protetti, programmi di supported employment, job club, interventi di individual placement and support. Tali interventi hanno dimostrato la loro efficacia (Becker et al 2001, Latimer et al 2006, Burns et al 2007) sia sul singolo sia sul sistema in cui l’individuo è inserito. Seguendo Boardman e coll.(2003), infatti, avere un’occupazione non solo contribuisce a mantenere il benessere psichico di una persona, ma ha anche un impatto notevole su più aspetti della sua vita rispetto a quasi tutti gli altri interventi psicosociali.

Da tali considerazioni si può evincere quanto questi ultimi anni caratterizzati da incertezza, perdita di posti di lavoro, disoccupazione crescente e instabilità economica abbiano potuto avere drammatiche conseguenze sul benessere psicologico degli individui e delle comunità.

Nel contesto italiano, un primo elemento per approfondire tale questione deriva dai risultati dello studio dell’ISPO ‘Gli italiani e l’impatto percepito della crisi sulla psiche‘ condotta nel 2013 secondo la quale la maggioranza della popolazione ritiene che l’aggravarsi della crisi finanziaria abbia contribuito ad accentuare la condizione di disagio psicologico e ad aumentare la diffusione di disturbi psichiatrici. I dati rivelano, inoltre, che tra il 2009 e il 2014 ‘La percezione di un peggioramento della situazione economica è passata dal 53% al 62%’; per quanto concerne la percezione della situazione economica della propria famiglia è stato registrato un analogo aumento: ‘se nel gennaio 2009 quasi un intervistato su tre si aspettava un futuro nero, nel febbraio 2013 a pensarla così è il 58%’.

Un contributo di particolare interesse è l’indagine della Ausl di Modena ‘Il costo della crisi in termini di salute mentale: il caso di Modena’. Lo studio prende in considerazione le rilevazioni Istat 2013 sulle condizioni di salute e accesso ai Servizi Sanitari che indicano come nel periodo 2005-2012 vi sia stato un peggioramento dell’indice di salute mentale. Tali dati sono stati successivamente confrontati con quelli osservati in provincia di Modena. Nel territorio si è registrato, tra il 2006 e il 2012, un incremento degli accessi ai Centri di Salute Mentale, del 25% degli uomini e del 13% per le donne, e un aumento dell’uso di farmaci antidepressivi. Si è evidenziato come l’essere disoccupato da meno di un anno abbia un effetto negativo statisticamente significativo per gli uomini, dato in linea con la letteratura internazionale, mentre la disoccupazione di lungo periodo ha un effetto negativo soprattutto sulle donne (www.ausl.mo.it). Lo studio, tuttavia, oltre a confermare l’effetto negativo della recessione economica rileva l’efficacia delle politiche attive di inclusione lavorativa anche per quelle persone con gravi disturbi psichiatrici.

A livello internazionale i dati confermano le severe ripercussioni che la crisi economica ha avuto sulla salute degli individui. Sono stati riscontati effetti negativi sul benessere psicologico che includono alterazioni dell’umore, della stabilità emotiva, depressione o disturbi d’ansia. Gli studi hanno, inoltre, dimostrato un significativo aumento dei suicidi e dei tentativi di suicidi, della vendita di antidepressivi, dei casi di alcolismo, dei disturbi del sonno e delle malattie cardiovascolari (De Vogli et al. 2013, Di Carlo 2015, Wahlbeck, Mc Daid, 2012).

A questo proposito Chang e coll. (2013) hanno indagato l’impatto della crisi sull’andamento del tasso di suicidi in 54 Stati (27 europei e 18 americani), osservando un notevole incremento del trend che ha coinvolto in gran parte gli uomini, particolarmente colpiti dalla disoccupazione specie in quegli stati in cui i livelli di disoccupazione pre-crisi erano sostanzialmente bassi.

Il lavoro, dunque, sembra essere il principale strumento attraverso cui la recessione ha fatto sentire i suoi drammatici outcome. Ciò è corroborato anche dalle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la quale ha fatto presente come sia fondamentale per la salute delle persone non solo possedere un’occupazione ma che tale occupazione sia qualitativamente significativa. L’aumento dei fattori di rischio per la salute sembra essere associato, secondo l’OMS, sia con la disoccupazione ma anche con condizioni di lavoro precarie (Marmot et al., 2012).

Per quale ragione la crisi economica e la perdita del posto di lavoro hanno esiti tanto negativi? Possedere un impiego può essere fonte di una serie di effetti positivi espliciti, come il corrispettivo economico che si riceve a fronte dell’attività prestata, e impliciti o latenti, legati allo status di lavoratore quali la riconoscibilità sociale, l’instaurare nuovi contatti e relazioni, il porsi obiettivi di crescita personale (Ascani, Florio, Grasso 2014). Il lavoro, in aggiunta, conferisce una strutturazione al tempo, offre opportunità di socializzazione, permette di condividere scopi e impegni di gruppo, definisce e rafforza l’identità sociale, organizza le attività quotidiana dando valore al tempo del lavoro e significato a quello del non-lavoro (Harnois e Gabriel 2000).

Per tale ragione perdere il proprio impiego è da considerarsi come un evento complesso che coinvolge più dimensioni della vita di un individuo: la perdita del ruolo di lavoratore, la diminuzione delle entrate economiche; la difficoltà a sostenere sé e la propria famiglia; il cambiamento della routine quotidiana; le interazioni sociali; l’immagine di sé. Una delle principali funzioni del lavoro, dunque, sembra essere il suo determinare l’identità individuale come strumento fondamentale per definire sé stessi e raccontarsi agli altri (Colella, 2009). Secondo Stuart (2006) nessun’altra attività sociale conferisce maggiormente un senso del proprio valore.

Per questi motivi essere esclusi dal mercato del lavoro non solo crea privazioni materiali ma mina anche la fiducia in se stessi, provoca senso d’isolamento e marginalità e rappresenta un fattore di rischio per la salute mentale. Di qui si evince la profonda rilevanza che tale attività ha nella vita umana e le drammatiche conseguenze che la mancanza di essa possono avere nell’esistenza di chi ne è privo. Quando tra il desiderio avere un impiego e l’effettivo lavoro si frappone il dato di realtà possiamo trovarci di fronte a difficoltà e problematiche che non investono solo il singolo individuo ma l’intera comunità di cui esso è parte (come la povertà sociale, l’esclusione o la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie) (Ascani, Florio, Grasso, 2014).

Sembrerebbe, comunque, che alcuni fattori siano in grado di modulare l’impatto che la disoccupazione ha sulla salute mentale: la centralità del ruolo di lavoratore nella vita della persona (Paul, Moser, 2006); la qualità dell’impiego posseduto (Graetz, 1993); l’entità del declino finanziario successivo alla perdita del posto di lavoro (Thomas et al. 2007); il supporto sociale, le strategie di coping, le aspettative di rioccupazione e la durata del periodo di non lavoro (Jahoda, 1981; Backhans, Hemmingsson, 2010).

I dati a nostra disposizione vedono negli uomini i soggetti che, rispetto alle donne, maggiormente possono risentire degli outcome negativi della recessione sulla salute mentale (Evans-Lako et al., 2013; Backhans, Hemmingsson, 2011). Una possibile ipotesi per dare una spiegazione a tale fenomeno può risiedere nel ruolo che, in molti Paesi, hanno gli uomini; pensiamo ad esempio alla figura del capofamiglia che regge su di sé il futuro dei figli e ha la responsabilità dei suoi cari.

Un’ulteriore elemento da prendere in considerazione può essere il vissuto di fallimento che può celarsi dietro alla perdita del proprio impiego e che per alcuni può essere particolarmente intollerabile. Infine, l’incertezza verso il futuro che può portare a quella che Bauman ha definito ‘paura fluida‘, una paura indiscriminata, fluttuante, senza una causa determinata ma che coinvolge tutte le aree di vita della persona (2008).

Nonostante ciò, la presenza dei succitati fattori modulatori è una riprova del fatto che, in ultima analisi, le valutazioni e i conseguenti significati individuali hanno una fondamentale importanza e probabilmente politiche mirate non solo ad aumentare le finanze dei singoli, ma anche a un potenziamento dell’accessibilità dei servizi di salute mentale, potrebbero essere utili per sviluppare la resilienza della persona consentendo di costruire nuovi significati e interpretazioni più funzionali.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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