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Psicoterapia cognitiva: diamoci il beneficio del dubbio

In un mondo di scelte, l’esperienza del dubbio permette di costruire scenari alternativi e di moltiplicare possibili scelte e gradi di libertà - Psicologia

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 09 Lug. 2014

Aggiornato il 11 Lug. 2014 15:03

 

 

In un mondo di scelte la presenza di una coscienza dotata dell’esperienza del dubbio permette di costruire scenari alternativi, di moltiplicare le possibili scelte oltre quelle determinate da temperamento (genetica) e da educazione (apprendimento).

Il dubbio è un’esperienza universalmente mal sopportata. È curiosa l’esperienza del dubbio, una voce nella mente che ricorda che altri scenari sono possibili. Genera fastidio ed è considerata il cuore di alcuni disturbi psicologici.

Per esempio il disturbo ossessivo-compulsivo o il disturbo d’ansia generalizzata sono fondati, tra le altre cose, sull’intolleranza dell’incertezza (Dugas et al., 1998), definita come la difficoltà di accettare il fatto che sia completamente impossibile prevenire l’accadimento di un evento negativo, per quanto poco probabile.

Anche la società non veste il dubbio con abiti pregiati, tutt’altro. Il dubbio è sintomo di insicurezza, fragilità, anche un po’ scarso valore. Colui che vince è colui che convince, e convince se prima di tutto è convinto delle proprie idee, vale a dire: privo di dubbi.

Tempo ed energie sono consumati per togliersi ogni dubbio dalla mente. A tale scopo le persone cercano rassicurazioni o provano ad autoconvincersi con la forza di pensieri positivi. Si tratta di tentativi spesso fallimentari ed esposti a un paradosso: cercare residui dubbi nella mente da eliminare non può che condurre a trovarne di nuovi. Il dubbio è un’Idra di Lerna, ogni tentativo di eliminare una testa porta a farne crescere altre due.

Si dice che il dubbio è qualcosa che si insinua o viene insinuato, infilato per crescere e far germogliare malessere, avversione, conflitto. Il dubbio è quindi anche una serpe, o un seme velenoso capace di bruciare tutto il raccolto. E un’esperienza se così pericolosa merita attenzione.

Ci sono tre considerazioni che mi hanno incuriosito sul dubbio.

Il primo: come mai la nostra mente si è evoluta per produrre dubbi?

Una possibile risposta è che il dubbio sia una proprietà emergente dell’essere dotati di coscienza. Chissà, forse un difetto di fabbrica, oppure una componente fondamentale della nostra scalata alla vetta della piramide alimentare. In un mondo di scelte la presenza di una coscienza dotata dell’esperienza del dubbio permette di costruire scenari alternativi, di moltiplicare le possibili scelte oltre quelle determinate da temperamento (genetica) e da educazione (apprendimento). D’altronde abbiamo facoltà di scegliere se seguire un dubbio o meno. Più dubbi abbiamo, più aumentano le scelte, più il nostro moto è fluido, con maggiori gradi di libertà. Lo scorrere fluido meglio si adatta ad attraversare i mutamenti dell’ambiente. Questo perché offre molteplici occasioni di flessibilità e di modulazione della prudenza, del controllo e dell’impulsività.

Da qui ne deriva un’interessante prospettiva: chi non presta mai alcuna attenzione ai propri dubbi potrebbe irrigidirsi e seguire una traiettoria molto netta, senza rendersene conto.

Il secondo punto: quando il dubbio diventa un problema?

Qui da psicologo clinico e psicoterapeuta mi sento più a mio agio. La letteratura scientifica cognitiva ci offre un paio di appigli in questo senso. Innanzitutto il dubbio produce malessere quando viene considerato pericoloso e viene considerato pericoloso quando è mal-interpretato (Myers et al., 2009). Piuttosto che un impulso neurochimico che assume la forma di una rappresentazione ipotetica, viene considerato un plausibile se non probabile dato di realtà (es. se lo penso devo fare qualcosa altrimenti accadrà) o dato capace di influenzare la realtà (es. i dubbi sono l’anticamera di un fallimento scritto). Si parla in questo senso di fusione del pensiero. L’individuo osserva il mondo attraverso i propri dubbi e preoccupazioni considerandoli come indici affidabili di ciò che potrebbe accadere, piuttosto che ipotesi.

Ma quante volte abbiamo avuto un pensiero negativo sul futuro? Quante volte si è concretamente realizzato? Il risultato, veggenti esclusi, mostrerà verosimilmente che i pensieri sono un pessimo metro di giudizio per prevedere il futuro o leggere la realtà, anche meno affidabile del lancio di un dado. Ne deriva che il mondo dei pensieri è una cosa, il mondo dei dati sensibili, un’altra.

Strettamente connesso alla confusione tra pensiero e realtà c’è la tendenza ad assumere una posizione di assoluto controllo verso le proprie esperienze interne. Se il dubbio è pericoloso allora posso sentirmi sicuro solo se lo elimino quindi cerco rassicurazioni, cerco di distrarmi, cerco di convincermi del contrario, metto in atto un rituale fino a quando il dubbio è scomparso, cerco un modo di staccare la mente (es. bevo alcolici) oppure evito tutte le situazioni che generano dubbi nella mia mente (Wenzlaff & Wegner, 2000). Tutto questo ha un costo che supera la semplice fatica della sua attuazione. Posso eliminare i dubbi dalla mia mente? Purtroppo no, anche perché per eliminarli devo esplorare la mia mente per vedere se ce ne sono ancora. Quando siamo cacciatori di dubbi rischiamo di perdere il dono della fluidità, siamo bloccati nel caos della nostra mente.

Punto terzo: come possiamo concederci il beneficio del dubbio? Si tratta solo di ipotesi.

Però se il dubbio ha una sua utilità, paradossalmente la condizione d’esser ‘privi di dubbi’ potrebbe renderci vulnerabili all’estinzione improvvisa. Incapaci di cogliere potenziali mutamenti del mondo che ci circonda. Guardare il dubbio per quello che è significa (1) riconoscerlo come un oggetto della mente, (2) valutare quando e per quanto ci interessa occuparcene, (3) non attuare strategie per eliminarlo dalla nostra mente, (4) considerarlo una informazione che proviene dalle libere associazioni della mente, non la guida delle nostre scelte ma nemmeno la prova tangibile che le scelte vanno modificate.

Allo stesso modo il dubbio può essere un innocuo segnale che non ce la stiamo raccontando, che non stiamo costruendo una semplice visione della realtà per nostro uso illusorio. Anche uno stato di assoluta convinzione in se stessi può mostrare i suoi lati oscuri: “Era talmente convinto della tenacia delle sue membra, corpo che scelse di non curarsi e morì”.

Insomma, può esistere un danno nell’assenza del dubbio, l’estrema sicurezza non è più anormale dell’estrema dubitosità. Può essere una buona prassi concedere anche a noi stessi il beneficio del dubbio.

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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