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Covid 19: i risvolti psicologici sulla popolazione e sulla psicoterapia. Accettazione, resilienza e malessere generalizzato – Editoriale di Cognitivismo Clinico

Accettazione, resilienza e malessere generalizzato - L'Editoriale del nuovo numero di Cognitivismo Clinico.

Di Redazione

Pubblicato il 30 Mar. 2021

Pubblichiamo con piacere l’editoriale dell’ultimo numero della rivista Cognitivismo Clinico. Nell’articolo Giuseppe Femia presenta i contributi che tutti possono scaricare gratuitamente dai seguenti siti (come anche i numeri arretrati):

Si tratta di un numero speciale dedicato alla pandemia e che ha per titolo: Covid 19: i risvolti psicologici sulla popolazione e sulla psicoterapia. Accettazione, resilienza e malessere generalizzato.
Il numero contiene inoltre un articolo speciale di particolare di interesse scritto da  Francesco Mancini e Guyonne Rogier che illustra “Le linee guida per il trattamento psicologico del disturbo ossessivo compulsivo”.

 

Il numero monografico di Cognitivismo clinico che presentiamo (n. 2 dicembre 2020) vuole contribuire ad indagare l’impatto che la pandemia da SARS-CoV-2 (COVID-19) e le conseguenti misure di isolamento sociale hanno avuto sia sui professionisti della salute mentale che sui pazienti. Come riportano i dati in letteratura (Giallonardo et al., 2020), l’impatto della pandemia sulla salute mentale della popolazione mondiale è, o potrebbe divenire, inevitabilmente negativo (Rajkumar, 2020). Pertanto, appare rilevante indagarne gli effetti anche nel nuovo contesto delle psicoterapie online, oltre che nelle strutture di cura.

Nel primo contributo di Perdighe, Brasini, Giacomantonio et al., l’accento è posto sui fattori potenzialmente protettivi per fronteggiare l’impatto psicologico ed esistenziale della pandemia: l’accettazione di un evento negativo straordinario, intesa come capacità di far rientrare l’evento nella propria rappresentazione dell’ordine naturale delle cose. La spiegazione che soggettivamente, e come comunità, si è in grado di darsi di un evento di tale portata – come vendetta della natura che si ribella all’uomo, come complotto ordito da un gruppo di malvagi, come espressione di un piano divino o come, appunto, rientrante nel flusso naturale degli eventi, quindi legato all’epidemiologia e alla virologia. Dunque, la spiegazione individuale che ciascuno formula riguardo l’epidemia modifica l’impatto dell’evento avverso sulla vita psichica degli individui. A riguardo è noto come la mancata accettazione degli eventi avversi possa giocare un ruolo nel mantenimento della sofferenza psicopatologica.

Il secondo contributo di Femia, Federico, Ciullo et al. approfondisce le strategie di coping messe in atto nel contesto pandemico in relazione ai tratti personologici. In particolare, l’accettazione e l’evitamento, posti ai poli di un continuum ideale, appaiono fattori cruciali nel favorire o meno lo sviluppo e la persistenza della sofferenza psicologica e delle manifestazioni sintomatiche. Un funzionamento caratterizzato da tratti di affettività negativa e tratti di distacco insieme a strategie di coping di evitamento, negazione e conflitto, appaiono correlati all’insorgenza e all’aggravamento della sintomatologia ansiosa e di un generale assetto emotivo che non consente di fronteggiare questo evento in modo funzionale e adattivo.

Il successivo contributo di Attili è uno studio svolto nella popolazione medico-sanitaria e nei pazienti affetti da COVID-19 alla luce della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1979). I modelli mentali dell’attaccamento individuali possono fare da “diatesi da stress”; secondo l’Autrice, l’attivazione parallela dei Sistemi di Difesa, Attaccamento e Accudimento, determina una condizione di natura stressogena. Nello specifico, viene evidenziato come coloro che hanno un modello di attaccamento insicuro, rispetto a coloro che hanno invece avuto un’esperienza di attaccamento connotata da sicurezza e protezione, rischiano di sviluppare maggiori sintomi di ansia e malessere psicologico e, dunque, si mostrano maggiormente vulnerabili rispetto a quei fenomeni di facile riscontro in manifestazioni da Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD).

Il quarto contributo di Femia, Gragnani, Federico et al. raccoglie i punti di vista dei terapeuti e dei pazienti allo scopo di osservare il tema della psicoterapia online indagandone la qualità, l’autoefficacia percepita e le difficoltà legate al setting online, evidenziandone limiti e vantaggi. Ciò che emerge è che l’essere stati costretti dalla pandemia a questo notevole cambiamento di setting ha sollevato difficoltà sia nei pazienti che nei terapeuti, dove per questi ultimi le preoccupazioni riguardo all’autoefficacia percepita rispetto all’intervento e alla qualità della comunicazione con i propri pazienti, non è solo ascrivibile ad una maggiore o minore familiarità con i device tecnologici o con l’esperienza di terapia online pregressa, ma è legata a doppio filo col pregiudizio e le credenze al negativo dei pazienti circa il setting online, che sembrano avere un’influenza sulla percezione della qualità degli interventi erogati in questa modalità. Lo studio però non manca di sottolineare come i dati rimandino vantaggi tali da poter pensare il setting online non solo come funzionale alla gestione dell’emergenza, ma anche come possibile alternativa al setting standard, senza ovviamente escludere o sostituire l’osservazione clinica in presenza.

Nei due successivi contributi di Amadei, Bucci, Benetta et al. e di Arcuri, Castellani, Pellegrini et al. si approfondisce il tema dell’impatto della pandemia e delle conseguenti misure di isolamento sociale nel personale sanitario. I primi (Amadei et al.) spiegano come a fronte di una attivazione ansiosa legata alla continua e maggiore esposizione al virus, con tutto il correlato di responsabilità cui le persone che svolgono professioni di aiuto sono state esposte, si è osservato un basso rischio di burnout e minori livelli di alessitimia, contrariamente a quanto si potesse intuitivamente pensare. Dunque, partecipare attivamente all’emergenza sanitaria sembra avere contribuito al mantenimento di un maggiore senso di efficacia, nonostante la maggiore esposizione allo stress lavorativo e ai rischi psicofisici. I secondi (Arcuri et al.), mettono invece in luce come l’intervento basato sull’Acceptance and Commitment Therapy (ACT; Hayes et al.,1999), che ha lo scopo di aiutare ad accettare ciò che è fuori dal proprio controllo personale, ha mostrato nella popolazione di operatori sanitari che hanno partecipato allo studio, una riduzione dei sintomi ansiosi e depressivi, fino alla loro completa remissione. È fondamentale, quindi, continuare a sottolineare come, per le professioni di aiuto, siano essenziali tempi e spazi di attenzione alle necessità del singolo operatore, al fine di imparare a non contrastare gli eventi, ma ad accettarli volgendo lo sguardo ai propri valori, tanto più se sollecitati da un contesto pandemico così doloroso e complesso.

Il contributo di Cazzola, Castegnaro, Buscaglia et al. amplia l’indagine e la concentra sui vissuti sia dei pazienti che dei componenti dell’équipe multidisciplinare dell’Unità Funzionale per i Disturbi dell’Alimentazione (U-DA) della Casa di Cura “Villa Margherita” di Arcugnano: appare indispensabile non solo ripensare tutti i livelli di cura per patologie gravi come i DA, ma anche migliorare i protocolli di cura e la formazione degli operatori coinvolti.

Segue la proposta di Battagliese, Ledda, Attilia et al., vale a dire un’indagine sui comportamenti maladattativi nella popolazione generale, che sottolinea e conferma come la situazione pandemica, in particolare il primo lock-down, abbia contribuito all’emergere di comportamenti disadattativi, poco salutari, che potrebbero essere letti come potenziali fattori di rischio per possibili effetti negativi sulla salute mentale a lungo termine. L’aspetto preventivo appare dunque necessario e da potenziare, al fine di contenere e gestire in modo funzionale i rischi che il confinamento sociale ha comportato e comporterà per la salute mentale.

Chiudiamo questo numero dedicato agli effetti psicologici della pandemia da COVID-19 offrendo due ulteriori contributi. Mancini e Rogier forniscono, come intervento conclusivo di questa ricca monografia, una panoramica dettagliata circa le Linee Guida internazionali (NICE e APA) esistenti nel trattamento psicoterapeutico del DOC, a cui fare riferimento al fine di offrire al clinico, sulla base delle più influenti evidenze empiriche, una sintesi pragmatica e clinica circa i diversi trattamenti di elezione per i pazienti con DOC, vale a dire il gold standard: la Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) che si basa essenzialmente su tecniche di tipo comportamentale quali ad esempio l’Esposizione e Prevenzione della Risposta (ERP). Inoltre, viene ribadita l’importanza di promuovere un trattamento combinato sia di tipo psicoterapeutico che farmacologico e forniti suggerimenti circa la gestione delle recidive e la fine del trattamento. Non si trascura la soggettività di ciascun caso al fine di fornire procedure terapeutiche pensate ad hoc per ogni paziente; ad esempio, viene discussa la necessità di fornire sedute di ERP a domicilio nei casi di DOC in cui il soggetto è compromesso al punto tale da non poter uscire dalla propria abitazione, o in quei casi gravi in cui si potrebbe proporre un trattamento intensivo di tipo domiciliare, o coinvolgere un convivente nei casi di DOC resistente alla terapia TCC, oltre che ribadire l’importanza di far partecipare i familiari all’interno del trattamento del DOC in età evolutiva, soprattutto con lo scopo di agire sui fattori di mantenimento che questi possono involontariamente promuovere. Al contempo appare necessario collocare questo contributo nella più ampia cornice di riferimento riguardante gli effetti psicologici della pandemia sulla salute mentale. Si sottolinea infatti un significativo aumento nella popolazione generale dei comportamenti a connotazione ossessiva e compulsiva in aggiunta a livelli elevati di preoccupazione, ansia e vissuti di tipo depressivo.

Per tale ragione, appare necessario leggere tale contributo in riferimento all’attuale situazione legata al COVID-19, che proprio sui pazienti con DOC potrebbe avere avuto e avere in futuro (tema questo controverso) un impatto del tutto peculiare, elicitando alcuni temi salienti di tale disturbo nella più ampia popolazione, quali il disgusto, la paura del contagio, il controllo e la temuta responsabilità.

Infine, Giuseppe Nicolò recensisce il libro “CBT Case Formulation as Therapeutic Process”, curato da Giovanni M. Ruggiero, Gabriele Caselli e Sandra Sassaroli, in cui il concetto fondamentale riguarda la condivisione della formulazione del caso quale strumento che consente di gestire vari aspetti del processo psicoterapeutico, aumentando anche le capacità metacognitive del soggetto e la consapevolezza circa il proprio funzionamento e disagio.

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