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Come si riorganizza il cervello dopo l’asportazione di un emisfero?

Il cervello umano è in grado di riorganizzarsi anche in situazioni estreme, come l'emisferectomia, nell'ottica di recuperare le funzioni perse.

Di Giulia Samoré

Pubblicato il 09 Dic. 2019

Sebbene sia piuttosto semplice descrivere in cosa consista un’operazione di emisferectomia, molto più difficile è invece cercare di spiegare cosa comporti, a livello funzionale, perdere il contributo di una parte così fondamentale dell’organo cerebrale, centrale operativa per il corretto funzionamento di tutte le funzioni vitali.

 

Alcune gravi forme di epilessia, richiedono che il paziente si sottoponga ad emisferectomia, ovvero la resezione chirurgica di un emisfero asportandolo interamente oppure recidendo il corpo calloso e troncando così la comunicazione tra l’emisfero in cui hanno origine gli attacchi e quello controlaterale (Kim et al., 2018). Sorprendentemente, vi sono diversi casi in letteratura che riportano un ottimo recupero delle funzioni cognitive, soprattutto in quei pazienti che si erano sottoposti alla procedura da bambini, sebbene a fronte di un significativo declino nella funzionalità motoria e sensoriale, ad esempio emiparesi ed emianopsia (Moosa et al., 2013; Liu et al., 2018; Ramantani et al., 2013).

Questi casi, sono esemplificativi della comprovata capacità del nostro cervello di modificare la propria architettura funzionale per far fronte ad un deficit causato da un danno strutturale di natura traumatica o congenita; è stato identificato un numero relativamente esiguo di network di attivazione cerebrale, che sono riscontrabili, con diversi gradienti d’attivazione, sia negli stati di riposo che durante compiti cognitivi (Smith et al., 2009). Tuttavia, questi sono di solito bilateralmente distribuiti, dovendo quindi presumibilmente subire una drammatica riorganizzazione nei pazienti sottoposti ad emisferectomia.

Un nuovo studio, pubblicato di recente da Kliemann e colleghi (2019) si è servito della tecnologia della risonanza magnetica funzionale o fMRI, per confrontare i pattern osservati in sei soggetti operati con quelli già noti nei soggetti sani, con l’intento di cogliere eventuali differenze ed indagarne la natura qualitativa.

Utilizzando un metodo noto come “functional connectome finger printing” (n.d.t.: impronta connettomica funzionale unica) i ricercatori hanno confrontato i profili di connettività interemiferica di ciascuno dei partecipanti, rilevati in due momenti differenti (6-7 minuti). Lo scopo era quello di determinare se fosse possibile riconoscere una stessa “impronta cerebrale” che confermasse l’identità di un individuo basandosi sui suoi pattern di attivazione cerebrali, rispetto a due soggetti di controllo. In cinque dei sei pazienti uniemisferici si è riscontrata la presenza di un’impronta funzionale riconoscibile, una proporzione equiparabile a quella rilevata in un vasto campione di riferimento normativo (n=1077).

I ricercatori hanno esaminato la connettività dei network cerebrali in stato di riposo dei pazienti che avevano subito emisferectomia potendo escludere che vi fossero differenze sostanziali rispetto a quelli esibiti dai pazienti sani: i collegamenti funzionali tra diverse regioni di uno stesso network si presentarono infatti equiparabili a quelle dei cervelli diemisferici. Tuttavia, l’assenza del contributo dell’emisfero mancante, è apparso correlare con la nascita di connessioni tra network differenti, non riscontrabili nei soggetti sani: quattro dei soggetti esaminati si posizionavano nel 95% percentile per numero di connessioni infra-network e un soggetto nel 90% percentile rispetto alla popolazione generale.

E’ stata inoltre presa in esame l’Efficienza Globale dei network rilevati, definita come l’inverso della lunghezza del percorso minimo tra due punti di un network (Latora e Marchiori, 2001), per valutare se una diversa struttura tra le connessioni cerebrali potesse risultare in una migliorata efficienza del sistema: sei dei quattro partecipanti si posizionavano nel 95% percentile in termini di Efficienza Globale.

I promettenti risultati ottenuti in questo studio sollevano ulteriori domande su come i diversi pattern di attivazioni cerebrale ed in particolare l’apertura di connessioni funzionali ed anatomiche in regioni prima non palesemente comunicanti del cervello si possa tradurre in termini di funzionamento individuale. In sostanza, i soggetti esaminati da Kliemann e colleghi, si comportavano o pensavano in maniera sostanzialmente differente rispetto ai soggetti con specularità emisferica?

Gli autori rimandano a studi futuri il compito di indagare in maniera sistematica l’eventuale genesi di tratti comportamentali o caratteristiche personologiche derivanti dalla riorganizzazione documentata nell’architettura cerebrale dei pazienti sottoposti ad emisferectomia; tuttavia osservano cautamente in fase preliminare un’associazione positiva tra l’incremento di interconnettività infra-network ed una migliore performance nella Social Responsiveness Scale, Scala del QI e misure di funzionalità motoria e di controllo esecutivo.

 

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