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Il manicomio chimico: cronache di uno psichiatra riluttante di Piero Cipriano (2015) – Recensione

Il libro costituisce una denuncia critica nei confronti della psichiatria di oggi, soprattutto quella riferita a patologie gravi - Psichiatria

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 28 Lug. 2015

Il libro del collega psichiatra Piero Cipriano si inserisce in un filone di (auto)denuncia sulla psichiatria di oggi, che in parte trae ispirazione dalle opere del giornalista americano Whitaker, citato a più riprese nel volume.

Cipriano, che si definisce un basagliano, svolge la propria attività in un SPDC di Roma e ha accumulato anni di esperienza nella “trincea” psichiatrica, fino a diventare riluttante all’attuale sistema di cura, che si avvale purtroppo ancora troppo spesso della contenzione fisica, per non parlare di quella farmacologica. Il libro è una sorta di confessione abbastanza confidenziale in cui l’autore racconta in modo critico la sua pratica clinica, arricchendo la narrazione con riferimenti a libri che ha letto, a film che ha visto, a convegni a cui ha partecipato.

Direi un racconto psichiatrico molto umanistico e umano, dove emerge fortemente l’amore dell’autore per la letteratura (in particolare Bolano) e l’interesse per le persone e la loro storia. Cipriano scrive bene, anche se a tratti indugia un po’ troppo sull’autocelebrazione dello psichiatra controcorrente, senza macchia e senza paura, paladino dei poveri pazienti indifesi, spesso vittime di colleghi sadici. Le parti più riuscite sono a mio avviso i racconti delle storie dei pazienti incontrati nell’SPDC romano, ottimo osservatorio dell’attuale patologia psichiatrica metropolitana, con tutti i risvolti sociologici del caso (tra le altre cose si parla anche di rom ed etnopsichiatria, di psicanalisti psicotici, di deliri da cannabis e cocaina, etc.).

Come altri libri del genere la parte di denuncia critico-distruttiva al sistema attuale è di gran lunga superiore a quella propositiva fatta di soluzioni reali e possibilmente efficaci per risolvere alcuni dei problemi della cura della patologia mentale più grave (schizofrenia e dintorni). C’è qualche accenno ad alcune soluzioni ispirate al modello triestino (zero contenzioni, SPDC aperti, Centri di salute mentale aperti 24 ore), che paiono sicuramente affascinanti, ma non hanno mostrato dove applicare queste rivoluzioni in termini di risultati terapeutici.

La denuncia desta sicuramente più clamore rispetto al racconto delle cose che funzionano, all’impegno silenzioso di tanti operatori che fanno del loro meglio per compiere il proprio dovere, spesso in condizioni lavorative difficili. Il problema delle contenzioni è sicuramente vitale e desta sempre molto clamore mediatico, ma pensandoci bene non è forse il problema principale della psichiatria di oggi, come possono esserlo lo stigma, l’esclusione sociale o una riabilitazione psichiatrica realmente efficiente che riporti la persona che soffre di un problema psichiatrico grave a un funzionamento e una qualità della vita accettabili.

Il manicomio chimico è un racconto sicuramente autentico, che a tratti ti fa arrabbiare non tanto per la questione delle contenzioni, quanto perché fa trasparire un certo senso di impotenza che abbiamo di fronte alla follia e alla sua cura.

 

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