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Vita carceraria e processi di “Prisonizzazione”

La Prisonizzazione: l’impatto con l’istituzione e la cultura carceraria costituisce uno dei momenti più drammatici della vita del reo.

Di Redazione

Pubblicato il 26 Set. 2013

Aggiornato il 08 Set. 2014 15:03

Monica Salvi

I processi di prisonizzazione . - Immagine:© olly - Fotolia.comLa “Prisonizzazione”: l’impatto con l’istituzione e la cultura carceraria costituisce uno dei momenti più drammatici della vita del reo.

Come scrive Clemmer “…il mondo della prigione è un mondo privo di benevolenza. C’è sporcizia, puzza e sciatteria; ci sono monotonia e stupore. La sua popolazione è frustrata, infelice, smaniosa, rassegnata, amareggiata, astiosa, vendicativa… Se si eccettuano pochi individui, regna lo smarrimento…”.

Quando un individuo viene incarcerato perde la libertà, il contatto con i propri cari, le proprie abitudini, la possibilità di scelta, e si trova costretto a convivere con un sentimento diffuso di disorientamento, precarietà e incertezza; non solo: il detenuto, presto o tardi, viene a contatto con la cultura carceraria e con essa si deve confrontare.

Clemmer utilizza il concetto di “assimilazione” per indicare quel processo di acculturazione che avviene quando, in un gruppo formato da membri differenti portati a condividere sentimenti, ricordi e tradizioni si inseriscono nuovi membri. Tale processo risulta lento, graduale, fornito di un grado di consapevolezza più o meno alto, e porta ad apprendere gli aspetti culturali tipici del gruppo e a venire  indicati come “appartenenti”.

Nell’ambiente carcerario, al processo di acculturazione viene dato da Clemmer il termine di “prisonizzazione” ed indica “l’assunzione in grado maggiore o minore del folklore, dei modi di vita, dei costumi e della cultura generale del penitenziario”.

Con la progressiva integrazione alla cultura carceraria si assiste anche a modificazioni personologiche operate dal regime carcerario, quali ad esempio la perdita di individualità; la perdita dei valori e delle capacità che il soggetto possedeva nella propria vita in libertà; l’isolamento, non solo dalle interazioni del mondo esterno ma anche con quelle del mondo carcerario; l’estraniamento, ossia la capacità di partecipare nuovamente alla realtà esterna…

La familiarità con le regole e i costumi della comunità carceraria si acquistano attraverso il contatto con gli altri detenuti: la vita quotidiana, l’ora d’aria, l’apprendimento dello slang, la scommessa, il gioco d’azzardo, i comportamenti sessuali anormali, la volontà di ottenere un ruolo e i relativi privilegi nel gruppo…

Nella sua analisi, Clemmer individua alcuni fattori che, combinandosi tra loro, sono in grado di influire sul processo di prisonizzazione, e distingue tra fattori universali e fattori individuali.
L’influenza, per un certo periodo di tempo, dei fattori universali è sufficiente affinché avvenga l’integrazione di un individuo alla cultura carceraria, a discapito del reinserimento sociale futuro.

I fattori universali individuati da Clemmer sono: l’acquisizione di dati relativi all’organizzazione della prigione; il riconoscimento che niente è dovuto all’ambiente per la soddisfazione dei bisogni; l’adozione del linguaggio locale; lo sviluppo di alcuni nuovi modi di mangiare, vestire, lavorare, dormire; l’accettazione di un ruolo inferiore; l’eventuale desiderio di un buon lavoro.

Il processo di prisonizzazione, lento e graduale, non si sviluppa in modo lineare e può avere diversi esiti su un continuum, i cui estremi rappresentano il grado più basso e quello più alto di prisonizzazione, ossia di integrazione nella cultura carceraria.

Contribuiscono alla collocazione nel grado più basso di prisonizzazione alcuni aspetti: una condanna breve, quindi un’esposizione breve ai fattori universali; una personalità abbastanza stabile, resa tale da un numero adeguato di relazioni positive durante la vita pre-carceraria; il perdurare di relazioni positive con persone all’esterno del carcere; il rifiuto o l’incapacità di integrarsi in un gruppo carcerario, pur mantenendo un equilibrio con gli altri uomini; il rifiuto di accettare ciecamente i dogmi ed i codici della popolazione carceraria, e la volontà, in certe condizioni, di aiutare le guardie, operando in questo modo per identificarsi con la comunità dei liberi; un collocamento casuale con un compagno di cella e compagni di lavoro che non hanno le qualità del leader e che non siano neppure loro completamente integrati nella cultura carceraria; l’astensione da comportamenti sessuali anormali, e una non eccessiva dedizione al gioco d’azzardo, accompagnate da una ferma volontà ad impegnarsi seriamente nel lavoro e nelle attività ricreative.

Di contro, incidono nella collocazione al grado più alto di prisonizzazione i seguenti altri aspetti: una condanna a molti anni, e quindi una lunga soggezione ai fattori universali di prisonizzazione; una personalità in qualche modo instabile a causa dell’inadeguatezza delle relazioni prima della condanna, ma capace di forti convinzioni e di un particolare genere di fedeltà; mancanza di relazioni positive con persone all’esterno del carcere; capacità di integrarsi prontamente nei gruppi carcerari; una cieca, o quasi cieca, accettazione dei dogmi e dei costumi della popolazione carceraria; una casuale collocazione con altre persone di orientamenti simili; disponibilità a partecipare al gioco d’azzardo e a pratiche sessuali anormali.

Allo stesso modo, aspetti culturali e fattori individuali, in connessione reciproca tra loro, possono bilanciare e fungere da fattori protettivi contro la prisonizzazione. Clemmer indica: il numero e il tipo di relazioni prima dell’incarcerazione; la sensibilità alla cultura; la mancata affiliazione a gruppi nel carcere; la collocazione casuale in un gruppo di lavoro, in un braccio della struttura o con un compagno di cella resistente alla prisonizzazione; la non accettazione dei dogmi e dei codici della cultura carceraria; altri fattori soggettivi non trascurabili quali l’età, la nazionalità, la razza, i condizionamenti regionali.

Clemmer, tuttavia, sottolinea, nel determinare il grado e la rapidità del processo di prisonizzazione, l’importanza di una valutazione caso per caso, non escludendo la probabilità della parzialità del fenomeno, nel senso che la maggioranza dei detenuti tende a subire gli effetti della prisonizzazione solo per alcuni aspetti e non per tutti.

 

LEGGI:

PSICOLOGIA PENITENZIARIA

L’INTERVENTO DELLO PSICOLOGO PENITENZIARIO 

 

 

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