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Il Colloquio Psicologico – La Comunicazione Terapeutica #4

Il Colloquio Psicologico -La Comunicazione Terapeutica:è necessario conoscere come la propria cultura influenzi il rapporto con il paziente.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 19 Feb. 2013

Il Colloquio Psicologico - La comunicazione Terapeutica#4. - Immagine: © apops - Fotolia.com

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PARTE I – PARTE II – PARTE III

CIÒ CHE È INUTILE È DANNOSO

 “Un guerriero della luce ascolta ciò che l’avversario ha da dire. E lotta solo se è necessario”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.87]

IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA

Nel rapporto con il paziente non bisogna mai fare nulla più del necessario, perché se qualcosa non è necessario è superfluo, e ciò che è superfluo può sempre essere potenzialmente dannoso. E’ bene tenere questo principio a mente poiché potrebbe in alcune occasioni salvare il rapporto con il paziente. Per esempio i professionisti, trasportati dalla curiosità e dalla volontà di conoscere e scoprire tutte le variabili che hanno un ruolo nella risoluzione del problema, possono essere indotti ad esplorare assieme al paziente aree del tutto scollegate dal problema principale, oppure connesse con quest’ultimo ma non necessarie per affrontarlo.

Il Colloquio Psicologico - Introduzione. - Immagine: © emiliau - Fotolia.com
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Oltre che rischiare una perdita inutile di tempo, questo modo di comportarsi può portare paziente e psicologo fuori rotta, decentralizzando il focus dal problema ad aspetti del tutto marginali e arrivando a definire obiettivi che possono essere inutili per risolvere la difficoltà principale. Spesso la conseguenza di questo modo di agire è l’elaborazione di affermazioni interpretative che pongono interesse su aree molto lontane dal problema e sulle quali si interviene senza la consapevolezza che comunque il sintomo non viene colpito. In questo caso il superfluo diventa dannoso.

Questa norma deve essere applicata sempre, anche per aspetti per i quali non vediamo possibili conseguenze negative, perché spesso esse non sono chiare come nell’esempio precedente. L’obiettivo del terapeuta è il problema e all’interno di questo percorso deve mantenere sempre vivido nella mente un criterio di economia e scartare tutto ciò che può essere scartato senza intaccare la possibilità di eliminare il disturbo.

PROCEDERE A TRAZIONE ANTERIORE

“Un guerriero della luce studia con molta attenzione la posizione che intende conquistare”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.38]

Esistono due modi per superare gli ostacoli che si presentano nel corso del colloquio. Adeguandosi alla metafora della trazione anteriore e posteriore si può affermare di poter spingere o tirare il paziente oltre l’ostacolo. E’ sempre meglio evitare il primo di questi metodi. Usare la trazione posteriore vuol dire di fatto costringere di forza il paziente in una direzione che entra in contrasto con la sua forza di inerzia portandolo a “sbandare” verso l’esterno del percorso. Comportarsi in questo modo può quindi favorire continue ricadute del soggetto con pochi apparenti miglioramenti. Se, al contrario, ci affidiamo alla trazione anteriore le cose cambiano.

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I contrasti con l’inerzia del paziente non vengono rilevati e il soggetto si mantiene con maggior facilità all’interno del percorso terapeutico. Nel colloquio psicologico la trazione anteriore si realizza dando al paziente un obiettivo da seguire, qualcosa che gli interessa e che persegue con impegno, in questo modo si può mettere in luce ciò che c’è di positivo nella strada che si sta percorrendo, si condivide con lui la conoscenza della meta finale e si alimentano, quindi, le sue motivazioni. In questo modo si evita che il paziente sbandi lungo il percorso.

CONOSCERE GLI ALTRI E SÉ STESSI

“Un guerriero approfitta di qualsiasi opportunità per imparare.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.26]

A volte i clienti posso essere molto diversi dal psicologo. Attraverso il colloquio costui è in grado di scalfire la profondità della cultura del paziente ma non può raggiungere la consapevolezza della sua complessità [Fine e Glasser, 1996] . La presenza di questa differenza richiede un maggior lavoro mentale e una maggior riflessione su di sé.

Da un lato lo psicologo deve cercare di capire gli altri e di capire in che modo si differenziano da lui nei comportamenti, nelle loro convinzioni, nel loro modo di pensare, nei loro valori ecc… Esistono diversi fattori che possono essere fonte di queste profonde differenze tra psicologo e paziente ed è bene che ciascuna di esse sia presa attentamente in considerazione:

1) La cultura: intesa come attività caratteristiche di un gruppo di persone, influenza comportamenti, credenze e atteggiamenti del paziente. Quando un paziente sembra mostrare un forte senso di appartenenza ad un gruppo culturale diverso da quello dello psicologo, quest’ultimo deve cercare di comprendere queste differenze studiando la cultura e di capire l’origine di convinzioni positive e negative.

2) La classe socioeconomica: rappresenta lo status del paziente all’interno della società che non comprende solo il livello di reddito ma anche lo stile di vita.

3) Il sesso: rappresenta la differenza più profonda e rigida che può intercorrere tra il paziente e il professionista. è molto importante imparare a relazionarsi con le caratteristiche tipiche dell’altro sesso, imparare a non lasciarsi lusingare dalla seduttività e a non essere seduttivi.

4) I gruppi oppressi: rappresentano gruppi sociali oggetti di pregiudizio, astio e discriminazione. I clienti di questo tipo vedono spesso nel terapeuta un rappresentante del nemico e manifestano un atteggiamento ostile. In tali casi lo psicologo deve cercare di comprendere i sentimenti che provano queste persone e le esperienze che hanno vissuto e che le hanno condotte ad assumere tale atteggiamento.

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In tutti questi casi, che spesso si intrecciano tra loro, è fondamentale l’impegno dello psicologo nel comprendere le profonde differenze che separano le proprie credenze da quelle del paziente. Questa comprensione è alla base di un avvicinamento tra paziente e professionista, alla base di un rapporto di fiducia, alla base del buon esito della terapia. Questa comprensione non può essere separata dalla conoscenza della cultura del paziente, ricevere informazioni su di essa è quindi indispensabile.

Queste si possono ottenere dallo stesso paziente (basta chiederlo) mostrando la propria ignoranza al riguardo ma, allo stesso tempo, il proprio interesse nei confronti della persona. In questo modo lo psicologo è in grado di avere informazioni sul background culturale del paziente e di mostrare contemporaneamente la propria comprensione empatica.

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Oltre alla comprensione degli altri lo psicologo deve prestare la dovuta attenzione anche a sé stesso. Ciascuno di noi, infatti, possiede un background culturale che influenza le proprie convinzioni e i propri atteggiamenti. E’ importante conoscerci e conoscere il modo attraverso il quale mostriamo la nostra cultura, anche inconsapevolmente, e conoscere come questa possa influenzare il rapporto con il paziente in relazione alle differenze nelle convinzioni e negli atteggiamenti di quest’ultimo.

Il rischio che si corre non preoccupandosi di questi aspetti è quello di impedire lo sviluppo di un rapporto di fiducia, alimentando i contrasti, oppure di imporre valori e atteggiamenti che sono figli della storia dello psicologo ma non di quella del paziente.

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IL COLLOQUIO È FIGLIO DELLA CULTURA DEL TERAPEUTA

Infine, un ultimo principio che sarebbe bene tenere in considerazione riguarda l’importanza della cultura dello psicologo. Per riuscire a mostrare la propria professionalità, per riuscire a comprendere e conoscere gli atteggiamenti degli altri, per riuscire a pronunciare la frase giusta al momento giusto, in grado di provocare l’insight e di cambiare le prospettive del paziente, è necessario che la sua  cultura di base sia all’altezza della situazione.

Questa cultura riguarda innanzitutto l’ambito psicologico all’interno del quale lo psicologo deve sapere muoversi con naturalezza: dalla conoscenza delle caratteristiche sintomatiche dei disturbi psicologici alle dinamiche dei rapporti interpersonali, dai meccanismi di funzionamento del sistema nervoso alle teorie principali sullo sviluppo infantile ecc…

Ma la cultura necessaria non si limita solo al mondo della psicologia. Non v’è confine ai vantaggi che si ottengono in ambito terapeutico continuando a coltivare ed aumentare la propria conoscenza in qualsiasi campo, dalla letteratura alla chimica, alla storia, alla filosofia ecc… Maggiore è il campo delle conoscenze possedute più grande è la fonte dalla quale si possono cogliere quelle informazioni che, trasmesse al paziente, possono mostrargli punti di vista diversi e sostenere l’avvio del cambiamento. 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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