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Una gamba davanti all’altra. Psicologia della Shoah

La psicologia dei prigionieri dei campi di sterminio, analizzando la disintegrazione e l’alienazione psichica dovuti alla shoah.

Di Silvia Dioni

Pubblicato il 30 Gen. 2012

Aggiornato il 08 Feb. 2012 16:39

Silvia Dioni. 

Una gamba davanti all'altra. Psicologia della Shoah. - Immagine: © photlook - Fotolia.com - Venerdì 27 gennaio è stato celebrato il Giorno della Memoria, commemorazione che ogni anno rinnova il cordoglio per la shoah, una delle massime espressioni della distruttività umana.

Primo Levi sosteneva che conoscere l’Olocausto è necessario, ma comprenderlo è impossibile; lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim, anch’egli deportato nei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald, tenta quantomeno, nella sua opera “Sopravvivere”, di comprendere la psicologia dei prigionieri dei campi di sterminio, analizzando la disintegrazione e l’alienazione psichica che derivavano da quell’esperienza.

L’analisi riguarda da una parte l’adattamento, individuale e di massa, alla vita nel lager, caratterizzato da diversi fenomeni psicologici comuni alla gran parte dei detenuti: tra le altre cose, vissuti ambivalenti nei confronti dei famigliari scampati all’arresto, la tendenza ad indulgere in fantasie irreali sulla vita dopo la liberazione, la regressione a comportamenti infantili nel tentativo di ingraziarsi gli ufficiali ed evitare le punizioni, l’aggressività dei detenuti più anziani nei confronti dei nuovi arrivati, che a volte finiva addirittura per tradursi in un’identificazione con le SS e con i loro valori.

Bettelheim non si limita alla descrizione della vita nel campo, ma si sofferma anche sulla sindrome del sopravvissuto al campo di concentramento, che vede emergere l’impossibilità di reintegrare la propria personalità a seguito di quell’esperienza atroce, il senso di colpa e il rimorso per ciò che si era fatto o non fatto, la necessità di mettere in atto potenti meccanismi di rimozione e negazione per non impazzire.

Il Corriere della Sera online propone in questi giorni un toccante documentario interattivo proprio con le testimonianze di alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio; tra queste la storia di Liliana Segre, ebrea di origini milanesi deportata al campo di concentramento di Auschwitz, che ha il merito di rivendicare il suo statuto di vittima di un crimine orrendo senza però cedere mai all’autocommiserazione.

Sono infatti tanti gli episodi che racconta e in cui confessa con rimpianto la sua personale “psicopatologia da campo di concentramento”, analizzando come le condizioni di gravissima degradazione fisica e morale l’abbiano ad esempio portata ad essere egoista e indifferente al destino di una compagna più sfortunata, a passare le giornate tesa al solo e unico scopo animale di procurarsi il cibo, e a dormire “con le dita dentro le orecchie” per non sentire le urla dei bambini che venivano strappati alle loro madri.

Uno degli aspetti più toccanti della sua testimonianza è il fatto che non vuole limitarsi ad essere una condanna nei confronti della ferocia dei propri aguzzini, bensì vuole essere anche un messaggio di profonda speranza e di incoraggiamento a non arrendersi mai.

Parlando della disastrosa “marcia della morte” verso la Germania nel gelo dell’inverno polacco alla vigilia della liberazione, in cui i prigionieri stremati che cadevano a terra venivano fucilati sul posto, la Segre riferisce di come continuasse a ripetersi “voglio vivere, voglio vivere, voglio vivere” e in una disperata quanto lucida forma di analisi del compito, dato che il compito di dover camminare le appariva impensabile in quelle condizioni, avesse mentalmente ridotto la marcia al “mettere una gamba davanti all’altra” per non cadere, mentre i cadaveri cadevano dietro e davanti a lei ai bordi della strada.

Un messaggio audace a chi sta soffrendo, un’esortazione a cercare dentro di sé la forza anche nelle situazioni più drammatiche, spesso rivolto alle giovani generazioni che vivono un periodo storico di oggettiva e scoraggiante incertezza affinché affrontino la complessità e non accettino di subirla.

Una gamba davanti all’altra.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Bettelheim B. (2005) Sopravvivere. Milano: SE Edizioni
  • Il Corriere della Sera (Edizione Online), 2012, Salvi per Caso. Documentario interattivo.  http://video.corriere.it/salvi-per-caso/index.shtml
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Silvia Dioni
Silvia Dioni

Psicologa Psicoterapeuta laureata presso l’Università degli Studi di Parma e specializzata in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale all’Istituto “Studi Cognitivi” di Modena.

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