– Rassegna Stampa –
Un interessante ricerca condotta da un gruppo di scienziati del Virginia Tech Carilion Research Institute ha messo in luce come l’esercizio di alcune funzioni cognitive possa venire compromesso in alcune situazioni sociali. In particolare sembra che l’espressione del QI possa, in alcuni individui, subire un temporaneo declino in contesti sociali competitivi.
Dopo avere misurato con uno strumento standard il QI dei partecipanti allo studio, i ricercatori hanno chiesto loro di svolgere una serie di compiti in piccoli gruppi per i quali ricevevano un feedback in cui le loro prestazioni venivano paragonate a quelle degli altri membri del gruppo. Gli scienziati hanno usato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per studiare come il cervello elabora le informazioni sullo status sociale in piccoli gruppi e come la percezione di questo status influenzi l’espressione di capacità cognitive.
Ecco alcuni dei dati raccolti:
1. Sono state registrate attività in diverse regioni cerebrali, in particolare l’amigdala, la corteccia prefrontale e il nucleo accumbens – regioni che si pensa siano coinvolte rispettivamente nei processi emotivi, nel problem solving, e nella ricompensa e piacere.
2. Tutti i soggetti hanno avuto inizialmente un aumento dell’attivazione dell’amigdala e una diminuita attività nella corteccia prefrontale; in entrambi i casi si è registrata minore capacità di problem-solving.
3. A fine compito, alte prestazioni di gruppo hanno coinciso con una ridotta attivazione dell’amigdala e una maggiore attivazione della corteccia prefrontale, entrambe associate ad una maggiore capacità di risolvere i problemi più difficili.
4. Variazioni di status in positivo erano associate ad una maggiore attività nel nucleus accumbens bilaterale, che è sempre stato legato all’apprendimento e ha dimostrato di rispondere alle ricompense e piacere.
Variazioni negative nello stauts corrispondevano a una maggiore attività nella corteccia cingolata anteriore dorsale, coerente con la risposta a informazioni contrastanti.
Età ed etnia non sono risultate variabili rilevanti
I risultati indicano quindi che l’espressione del QI in alcuni individui ha risentito dei segnali sullo status all’interno del gruppo e questo dato indica che non è appropriato considerare il QI come misura attendibile dell’intelligenza di una persona, senza considerare come questa funzione interagisce con il contesto sociale. Inoltre, data la profonda interazione tra elaborazione sociale e cognitiva, sembra proprio che l’idea di una divisione tra queste due funzioni cerebrali sia piuttosto artificiale.
“Gran parte della nostra società è organizzata intorno a piccole interazioni di gruppo”, sottolinea Kishida, principale autore dello studio, “capire come il nostro cervello risponde a dinamiche sociali è un’importante area di ricerca futura e ulteriori ricerche di brain imaging possono aiutare nello sviluppo di strategie efficaci a minimizzare l’effetto della pressione sociale in chi risulta più sensibile”.
BIBLIOGRAFIA:
- Kenneth Kishida et al. Implicit signals in small group settings and their impact on the expression of cognitive capacity and associated brain responses. Philosophical Transactions of the Royal Society B, Jan 23, 2012 SCARICA IN PDF