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Rassegna Stampa: Venerdì 28-10-2011

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 28 Ott. 2011

rassegna stampaPensare al concetto di Dio può diminuire la motivazione per il raggiungimento di obiettivi individuali.

La pratica religiosa, ingrediente fondamentale dei modelli di ciascuna cultura, può influenzare gli atteggiamenti, i comportamenti, le priorità, le motivazioni e la progettualità degli individui. Una ricerca di Kristin Laurin, University of Waterloo in Canada, e pubblicata su Journal of Personality and Social Psychology, ha coinvolto più di trecento studenti universitari di età media di 19 anni in una serie di sei esperimenti con la finalità di verificare come l’idea e la concezione di Dio possa influenzare indirettamente la motivazione individuale, anche tra coloro che si definivano persone non religiose. Mediante una serie di espedienti di manipolazione sperimentale basata sul priming si è verificato che le persone che indirettamente erano state spinte a pensare a Dio  presentavano un livello di motivazione e di performance minore in un compito di produzione linguistica rispetto al gruppo di controllo. Per di più, tra tutti gli studenti sottoposti al “priming divino”, coloro che, in fase pre-sperimentale avevano dichiarato di ritenere che, fattori divino-religiosi, potessero influenzare in qualche modo la loro futura carriera lavorativa tale effetto di priming divino è risultato ancora più saliente e significativo. Un secondo gruppo di esperimenti ha invece valutato la capacità degli individui di resistere alle tentazioni: di nuovo, coloro ai quali poco prima era stato chiesto di leggere un breve brano religioso, riportavano una maggiore volontà di resistere alle tentazioni.

 

Paura, avidità e crisi finanziarie: il punto di vista delle neuroscienze cognitive.

Segnaliamo un interessante contributo di Andrew W. Lo, Professore di Finanza e Direttore del Laboratory for Financial Engineering presso il MIT Sloan School of Management, che propone una lettura cognitiva e neuroscientifica delle crisi finanziarie e relativi stati mentali individuali. Partendo dalla prospettiva storica che identifica la paura e l’avidità come comuni denominatori delle crisi finanziarie, il professore di finanza si avventura nella lettura  e in tentativi di analis delle dinamiche emotive e comportamentali umane in relazione a tali eventi con il supporto delle recenti evidenze empiriche nell’ambito della neuroscienza cognitiva. Secondo l’autore, esplorando le basi neuroscientifiche della cognizione e del comportamento sarebbe auspicabile identificare i fattori implicati nelle crisi finanziarie e quindi costruire modelli di previsione e intervento efficaci. Il contributo, capitolo del libro Handbook on Systemic Risk, Cambridge University di J.P. Fouque  e J. Langsam è scaricabile online gratuitamente qui.

Segnaliamo inoltre: Cognitivismo ed Economia.

 

Cannabis: un caos cognitivo nel cervello

L’uso di Cannabis sarebbe associato a difficoltà di concentrazione e di memoria: ecco i risultati di una ricerca guidata dall’Università di Bristol e pubblicata su Journal of Neuroscience.  Nello specifico è stato identificato che l’attività cerebrale diventa scoordinata e inaccurata durante questi stati di alterazioni della mente, ricordando in qualche modo le deficitarietà neurofisiologiche e comportamentali rilevate anche nella schizofrenia. L’attività cerebrale può essere paragonata alla prestazione di un’orchestra filarmonica, tale per cui diverse strutture cerebrali, proprio come diversi strumenti musicali, lavorano sintonizzandosi a specifiche frequenze: la loro attività ritmica da origine a onde cerebrali, e la sintonizzazione di queste onde cerebrali sostanzialmente consente il processamento delle informazioni finalizzato a orientare il nostro comportamento. I ricercatori hanno misurato l’attività elettrica di centinaia di neuroni nei topi ai quali era stata somministrato un farmaco simulatore dei principi psicoattivi della marijuana. Mentre gli effetti sulle singole regioni cerebrali sono risultati lievi, il farmaco ha profondamente scompaginato la coordinazione delle onde cerebrali tra ippocampo e corteccia prefrontale (regioni essenziali per la memoria e i processi di presa di decisione) proprio come se due parti dell’orchestra stessero suonando in modo asincrono. A livello comportamentale, i topi si sono dimostrati incapaci di prendere decisioni efficaci durante i loro spostamenti all’interno del labirinto.  In senso più allargato, gli esiti di questa ricerca presentano importanti implicazioni e inviti a rilanci scientifici futuri volti a ottenere una maggiore comprensione dell’attività ritmica del cervello in associazione a condizioni disfunzionali e psicopatologiche.

 

L’importanza della curiosità nello studio.

Un nuovo studio pubblicato su Perspectives in Psychological Science basato su una meta analisi di 200 studi dimostra che la curiosità rappresenta una parte rilevante delle prestazioni in ambito accademico. Il tratto di personalità della curiosità infatti sembra essere tanto importante quanto l’intelligenza nel determinare il rendimento scolastico degli studenti universitari. Tra gli altri tratti di personalità che correlano con il funzionamento a scuola vi è la coscienziosità: non è una grande sorpresa nell’affermazione, ma ora empiricamente verificata, che chi mostra maggiore inclinazione a frequentare le lezioni e a svolgere i propri compiti tende ad avere un buon rendimento accademico. Ad ogni modo, la curiosità, intesa metaforicamente come “fame esplorativa” e secondo gli autori concettualizzabile come curiosità intellettuale e percettiva, sarebbe un ingrediente chiave, ancor di più se associata al tratto della coscienziosità, per avere una brillante carriera universitaria.

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Linda Confalonieri
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Redattrice di State of Mind

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