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Mercoledì 5-10-2011

Di Serena Mancioppi, Flavio Ponzio

Pubblicato il 05 Ott. 2011

rassegna stampaIl Potere della Mimesi che Vince il Razzismo.

Gli esseri umani sono animali profondamente empatici: mentre osserviamo gli altri muoversi il nostro cervello presenta una naturale tendenza a riprodurre mentalmente le stesse azioni osservate, a entrare in “risonanza” con l’altro. Questo processo inconsapevole e automatico risulta però inibito nel caso in cui l’altro sia oggetto di pregiudizi razziali. Ma se il pregiudizio razziale riduce la simulazione mentale, può la mimica ridurre il pregiudizio? Sembrerebbe di sì! Uno studio pubblicato recentemente sul Journal of Experimental Social Psychology dai ricercatori della University of Toronto, mostra come è stato possibile ridurre il pregiudizio razziale semplicemente incoraggiando i partecipanti allo studio a imitare i movimenti dell’ “altro” di differente etnia. Gli effetti empatici della mimica per ora sono stati verificati solo a breve termine ma i ricercatori si dicono convinti che un prolungamento del periodo di imitazione possa favorire una riduzione del pregiudizio anche a lungo termine.

Disturbo Post Traumatico da Stress.

La terapia cognitiva e le terapie basate sull’esposizione (Prolonged Exposure, PE), sia precoci che tardive, sembrano ridurre efficacemente i sintomi del disturbo post traumatico da stress (PTSD) in pazienti che hanno recentemente avuto esperienze traumatiche. E’ quanto appurato da un gruppo di ricercatori israeliani dell’Hadassah University Hospital di Jerusalem grazie a uno studio che ha coinvolto più di 250 pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di PTSD entro 10 giorni dall’evento traumatico. I risultati sottolineano inoltre come anche il trattamento tardivo sia una soluzione efficace in quei casi in cui l’intervento clinico precoce è impedito dalle difficili condizioni ambientali, come uno scenario di guerra o nel caso dei disastri naturali.

Meno Pillole per Tutti!

Leggiamo su PsyPost che nel mondo scientifico cresce la consapevolezza che in alcuni casi l’uso a lungo termine degli antidepressivi possa aumentare la vulnerabilità biochimica alla depressione e peggiorarne sia gli esiti che la sintomatologia, diminuendo anche l’efficacia di futuri trattamenti farmacologici e riducendo la durata dei periodi di libertà dai sintomi. sono questi i dati presentati in un recente studio condotto da Giovanni Fava ed Emanuela Offidani  dell’università di Bologna e pubblicato sul Progress in Neuro-psychopharmacology and Biological Psychiatry. Per contestualizzare la dicotomia oppositiva tra trattamento farmacologico e psicoterapico: Pillole o Parole? di Sandra Sassaroli.

Siccome non mi piaci, non credo al tuo dolore.

Se un paziente non è di nostro gradimento rischiamo di prendere meno sul serio la sua sofferenza. E’ quanto emerge da uno studio dei ricercatori dell’Università di Ghent, Belgio e  pubblicato sul numero di ottobre di  Pain®. Le implicazioni per tutti gli operatori della salute e in generale per chi svolge professioni di assistenza è lampante: se sottovalutiamo il disagio del paziente rischiamo di fornire meno cure e attenzioni del necessario compromettendo anche gli esiti del trattamento, che rischia per questo di essere inadeguato o insufficiente. Forse avere consapevolezza di ciò che ci suscita simpatia o antipatia e ammettere coraggiosamente i nostri pregiudizi può essere d’aiuto!

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Serena Mancioppi
Serena Mancioppi

Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Cognitivo-Evoluzionista

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Flavio Ponzio
Flavio Ponzio

Direttore operativo di State of Mind

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