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Domeniche di lettura: Gerard Reve e Willem F. Hermans, un’amicizia letteraria in forma epistolare

Di Redazione

Pubblicato il 12 Ott. 2011

La domenica mattina è il giorno per le digressioni e le letture pigre e inutili a letto. Stefano Beretta è pigro quanto noi, e ci ripropone una delle sue recensioni migliori. Ci accompagna in un libro che quasi sicuramente non leggeremo mai, anche perché è in olandese: il carteggio tra i due scrittori Gerard Reve e Willem F. Hermans. Chi saranno mai? Fidatevi, Beretta riesce ad incuriosirci.

Hermans & Reve Gerard Reve Willem Frederik Hermans sono due tra i più importanti scrittori olandesi della seconda metà del ventesimo secolo e, per almeno un decennio, hanno coltivato un’amicizia letteraria che ha trovato espressione in un carteggio abbastanza fitto, pubblicato un paio d’anni fa in Olanda con il titolo Verscheur deze brief! Ik vertel veel te veel (Straccia questa lettera! Racconto troppe cose).

Le prime lettere risalgono al 1947 ed entrambi gli autori sono agli esordi della loro carriera. C’è qualcosa che li unisce: lo scandalo e la riprovazione che accolgono i loro primi romanzi, De avonden (Le sere) di Reve e De tranen der acacia’s (Le lacrime delle acacie) di Hermans. Entrambi sono accusati di crogiolarsi in un pessimismo eccessivo e di non lasciare alcuna  apertura alla speranza. In particolare Frits van Etgers, il protagonista di De avonden, vive un’esistenza monotona e priva di illusioni e si abbandona a un cinismo plumbeo. È quindi naturale, in un certo senso, che Reve e Hermans trovino tanto più consolazione e comprensione reciproca nella loro amicizia e in questa corrispondenza, quanto maggiori sono le difficoltà che incontrano le loro opere. La loro è una coalizione contro la mentalità chiusa e ristretta, molto provinciale, del mondo letterario e culturale dell’Olanda postbellica. Le lettere di quegli anni, infatti, affrontano nel dettaglio l’ostilità di critici, recensori e giornalisti e, soprattutto per quanto riguarda Hermans, la mancata pubblicazione – dopo tante discussioni con l’editore – della seconda serie di Mandarijnen op zwavelzuur (Mandarini all’acido solforico), una raccolta di articoli polemici su vari esponenti dell’intelligencija olandese dell’epoca. Alcune di queste lettere sono anche molto spassose, come per esempio quella scritta da Gerard Reve alla Paris Review – e girata poi a Hermans – in cui finge di essere stato internato in un manicomio per rendere sé stesso più interessante e i suoi racconti più “appetibili”.

Dal 1954 in avanti osserviamo come Gerard Reve tenti di smarcarsi sempre più dall’atmosfera claustrofobica dell’Olanda e di conquistarsi una caratura più “internazionale” decidendo di scrivere in inglese. Da quel momento in poi, per qualche anno, Reve scrive le sue lettere a Hermans solamente in inglese, mettendolo al corrente dei suoi progressi riguardo alla composizione dei racconti che finiranno poi nella raccolta The Acrobat and Other Stories. E’ un’impresa, questa, che lascia scettico Hermans, il quale osserva giustamente che un autore non deve soltanto maneggiare correttamente una lingua, ma deve in qualche modo anche essere immerso nella cultura e nella società che  alimentano quella lingua, suggerendogli di trasferirsi definitivamente a Londra o in un paese anglofono. Comunque sia, almeno fino alla fine degli anni cinquanta, tra i due ci sono grande stima e apprezzamento reciproco per le proprie opere letterarie. Poi, nel 1959, avviene una prima rottura, a cui succede un silenzio epistolare durato cinque anni.

Quando la corrispondenza riprende, nel 1964, le cose non sono più come prima e sono destinate a peggiorare con il tempo. Reve e Hermans hanno intrapreso strade diverse. Da un lato, Gerard Reve ha lasciato la moglie, ha fatto coming out, ha cominciato a collaborare con la rivista Tirade, per la quale Hermans non nutre alcuna considerazione, tradendo anzi un certo fastidio quando Reve insiste perché anch’egli vi partecipi con qualche articolo. La seconda frattura avviene in corrispondenza della conversione di Reve al cattolicesimo, avvenuta a metà degli anni sessanta. Hermans – geologo di formazione, ateo e razionalista – glielo dice chiaro e tondo, nel 1968: “Da quando ti sei convertito al cattolicesimo romano, mi dai semplicemente l’impressione di andare in giro con il paraocchi”, e gli chiede di lasciarlo in pace. Da quel momento in avanti nel libro ci sono quasi solo lettere di Reve, che invece continua imperterrito a scrivere a Hermans. Anzi, ce n’è una, gelida, dello stesso Hermans che, rispondendo a una esplicita richiesta dell’amico e dandogli del “lei”, gli vieta la pubblicazione delle lettere che Reve gli ha scritto.

Devo dire, però, che queste ultime lettere di Gerard Reve sono estremamente divertenti, degne rappresentanti di quello stile epistolare che ormai Reve ha elevato a forma d’arte con la pubblicazione di vari carteggi. Sono un misto di petulanza, buffoneria, stravaganza, inventiva linguistica e sragionamenti che – il lettore se ne rende ben conto – dovevano irritare sommamente un individuo come Hermans (che, infatti, spesso annota sulla busta: “Naturalmente non rispondo” o “Non rispondere a queste cazzate”). Tra queste, in particolare, ce n’è una con cui Reve spiega – a modo suo – perché si è convertito al cattolicesimo e che cosa questa religione significhi per lui, non soltanto come uomo ma anche come artista: “Sono diventato cattolico perché ne apprezzo la ricchezza di simboli, da cui ho potuto attingere, & perché per l’artista romantico è l’unica religione accettabile, in ogni caso in Europa”, e rimprovera Hermans: “Non riesco quasi a credere che tu non sia in grado di vedere & riconoscere la completa autonomia di scienza & religione. (…) La religione matura non vede più la scienza come una nemica. La scienza – o almeno certe sue branche – vede al massimo la religione come una nemica tutt’al più passiva”.

Insomma, un libro certamente non fondamentale, ma utile per chi, avendo letto sia Reve che Hermans, voglia dare un’occhiata ai retroscena della loro produzione letteraria e sia interessato a conoscere più da vicino il rapporto, non sempre facile, tra questi due capisaldi delle lettere olandesi del Novecento.


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