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EABCT 2011: Marsha Linehan

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 06 Set. 2011

Aggiornato il 27 Apr. 2012 16:31

EABCT 2011: ReykjavikEABCT 2011, Reykjavik. Una cornice spettacolare per la mia iniziazione. Da novellina a questa emozionante esperienza europea, mi avvicino ai grandi nomi con il rispetto reverenziale che meritano.

Terzo giorno EABCT, keynote serale di Marsha Linehan, con un update sugli Emotion Regulation Skills proposti dalla Dialectical Behavior Therapy. Sala gremita, con partecipanti che arrivano a prendere posto mezz’ora prima. Puntuale alle 16:30 sale sul palco la Linehan iniziando con una breve introduzione alla DBT e al motivo per cui era stata inizialmente concepita: “suicide is an important factor: if you want to treat you patient, you first have to keep him alive” è lo statement di apertura, pragmatico, in tipico stile americano, e a seguire una carrellata di informazioni sullo stato dell’arte della DBT. Alcuni dati di evidenza scientifica: l’insegnamento di abilità di gestione delle emozioni sembra essere un fattore cruciale che media gli effetti della DBT; questi skills comprendono tecniche di mindfulness (la mindfulness sembra l’argomento alla moda di questo congresso, esplorata ampiamente da Melanie Fennell ieri e da vari simposi distribuiti nelle diverse giornate), esercizi per la tolleranza delle emozioni negative, la regolazione emotiva e l’efficacia interpersonale.

La Linehan sottolinea l’importanza dei gruppi skills all’interno della terapia dei pazienti con disturbo borderline di personalità, restringe lo scopo di questi gruppi al solo e unico insegnare abilità e metodologie senza entrare nel merito della sofferenza del singolo paziente, che è invece tutta affidata al terapeuta individuale. Il fine ultimo di questi gruppi è infatti l’insegnamento al paziente di comportamenti finalizzati alla regolazione emotiva, come primo step verso la gestione più funzionale delle proprie emozioni percepite ora come intollerabili.

Continuando con il chiaro stampo concreto che la contraddistingue, la Linehan va avanti e elenca alcune delle abilità che è opportuno insegnare al paziente: se il disagio emotivo sta in un dato di fatto, la risposta è il problem solving concreto; se invece concentrare la propria attenzione su un aspetto del problema non è utile ma provoca sofferenza, la soluzione è la distrazione.

Mi affascina guardare al mondo dei disturbi di personalità attraverso le lenti della Linehan. Vedere come i pazienti siano concepiti come bambini, come inesperti delle emozioni e delle abilità di gestione emotiva, e non come persone “disturbate”. Viene proiettata una sorta di flow-chart decisionale che aiuti i pazienti stabilire se e come esprimere il proprio disagio, come interrogarlo per capire meglio quale sia la situazione reale e quale quella esperita da loro nel momento di sofferenza. I pazienti sono guidati da caselle che chiedono “la mia emozione è adeguata alla situazione?”, e procedono in base alle risposte per arrivare a definire il comportamento più consono da mettere in pratica.

Il comportamento per cambiare l’emozione, ancora prima di lavorare sulle cognizioni e le credenze. Mi ricorda l’apprendimento dei bambini, che prima di arrivare all’età del “perché, mamma?” si fanno guidare mano nella mano verso cosa sia più opportuno fare in determinate situazioni. Vedo questa donna energica e positivamente agguerrita dire ai suoi pazienti “per ora non chiedere, non hai ancora gli strumenti per gestire la situazione da solo. Nessuno te lo ha mai insegnato, te lo insegno io”. Puntuale con la mia riflessione, la Linehan colora di aneddoti i dati riportati, come l’importanza di dare fiducia al paziente anche a fronte di una sua evidente bugia, esperienza per lui riparatoria, che può arrivare a fargli dire “Marsha, you are the first person who decided to believe me”.

Affascinante, complicato, impegnativo. Stimolante. Hopeful.

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Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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