Questo pasticcio del default americano è un triste enigma economico troppo complicato per noi, uomini e donne qualunque. E sta anche diventando un pasticcio serio. Ieri l’accordo sembrava trovato, ma poi i politici dello stesso partito di Obama si sono risentiti con il presidente, le agenzie di rating hanno iniziato a borbottare e il ballo delle borse è ripartito. 15 miliardi bruciati. Possibile? E in che senso? Già il denaro è un’entità astratta, ma il denaro delle borse mi pare particolarmente impalpabile.
E le agenzie di rating, poi. Ma che cosa sono queste agenzie? Altra entità incomprensibile per il non iniziato alla scienza triste, l’economia. Di queste agenzie so che sono tre, come le Parche che controllavano il destino degli uomini, che sono statunitensi e non greche (ma la Grecia è però un ingrediente di questo pasticcio economico), e che una di loro ha un doppio nome dal significato arcano e allusivo: “Standard & Poor’s”, con quel “Poor” là in mezzo che mi pare un malaugurio e che è incatenato a quel misterioso “Standard” che sembra dettare un modello o forse una legge. Ma quale legge? La legge del destino? O della povertà? Boh. Ah, so anche che ultimamente i cinesi hanno fatto la loro agenzia di rating che ha cominciato a sua volta a sfornare voti di buona e cattiva condotta.
Se la situazione non stesse diventando nervosamente seria, ci sarebbe materia per giocare uno degli infantili Risiko fatti di nulla e di parole, guerre mondiali combattute al bar, troni di spade e di dollari disputati nelle assemblee degli studenti universitari e liceali, con schiere di anti- e filo-americani fieramente avverse. Gli anti- naturalmente vantano la superiorità numerica, ma per fortuna manca quell’astratto furore che marcava gli anni’70. Tutto è più floscio oggi, per fortuna.
Parliamo un po’ di questo Risiko che si combatte nelle conversazioni. Imbarazzanti litigi, in cui si cita alla rinfusa un po’ di tutto, perfino ancora il vecchio Marx magari accanto a qualcuno che avendo orecchiato di liberismo economico tira in ballo von Mises.
Si tratta di vera e propria psicologia politica. Non è un modo di dire, è una scienza che va affermandosi, con le sue riviste, come ad esempio Political Psychology. Una scienza che già ha avuto il suo cambio di paradigma, da cognitivo a cognitivo-emozionale (Marcus, 2003). Insomma, anche qui si prende atto che l’azione umana non è un calcolo ponderato, ma agisce per scorciatoie che privilegiano piuttosto la rapidità delle decisioni, l’economicità, perfino la ripetitività. E nelle emozioni politiche gioca un ruolo fondamentale non tanto l’interesse, lo scopo razionale, quanto il buon vecchio senso di appartenenza, la necessità di riconoscersi in un gruppo in cui si condivida un linguaggio e si possano contare su un ventaglio prevedibili di azioni e reazioni da parte degli altri.
Soprattutto, un gruppo in cui ci si possa definire in rapporto a un nemico, o almeno un avversario. Tutto questo può suonare estraneo in una cultura democratica, ma questo è un equivoco da dissipare. La democrazia o -a essere più precisi- lo Stato di Diritto moderno (che può esserci anche democrazia senza diritti, come nell’antica Grecia) non si fonda sulla comprensione reciproca, ma sulla convenzione di non procedere all’eliminazione fisica del nemico. Democrazia significa che la lotta si effettua in termini regolati e per via puramente retorica, per persuasione senza coercizione. All’interno di queste regole, vige la più pura intolleranza e incomprensione reciproca. Ci si definisce in termini sostanzialmente manichei di puro odio, in fondo avendo ben chiaro soprattutto “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Su quel che si è o che si vuole, le idee sono molto più confuse.
L’odio è l’emozione prevalente della politica (e specialmente dei regimi democratici, che da sempre vanno incontro a un caratteristico surriscaldamento politico, come aveva già notato Tucidide), uno stato emotivo prolungato il cui scopo è la netta differenziazione di se stessi rispetto all’avversario/nemico le cui idee sono considerate sempre e comunque considerate irricevibili (Ben-Zeev, 1992). Certo, in democrazia ci si mette d’accordo su certe regole: larghezza del campo, colpi più o meno proibiti, divieto dell’assalto fisico. Ma non certo sul superamento dell’odio stesso. Secondo Halperin, Canetti-Nisim e Hirsch-Hoefler (2009) questo odio non può essere ricondotto ad altre emozioni: la paura o la rabbia, ad esempio. L’odio non ha una funzione protettiva come queste due emozioni. Ma svolge una funzione definizionale. Definisce sé e il proprio gruppo in rapporto all’altro sentito come irrimediabilmente differente. Questa definizione di sé concorre a lenire l’angoscia esistenziale, incanala le decisioni in una narrazione della propria vita e del proprio gruppo almeno apparentemente coerente.
Si tratta di una ennesima versione della cosiddetta razionalità limitata di Herbert A. Simon (1997). Per Simon noi ragioniamo raramente prendendo in considerazione tutti gli elementi necessari per una decisione fondata. In realtà un smile grado di razionalità assoluta è impossibile, poiché ci costringerebbe a raccogliere una quantità immensa di informazioni davanti ad ogni decisione. Piuttosto, si preferisce imboccare scorciatoie, come quella che ci fa definire di un certo orientamento politico e soprattutto ci rende chiari a quale orientamento politico ci opponiamo (le emozioni negative danno sempre più soddisfazioni).
Allo stesso modo, un evento come il default americano spreme in noi emozioni di odio o di identificazione emotiva prima ancora che siano chiari i contorni concreti dell’evento. L’irritazione per l’egemonia culturale ed economica americana possono stimolare l’odio, mentre processi di identificazione possono innescare idee opposte. Questo naturalmente finché il default rimane un’idea astratta. Le cose possono cambiare e anche piuttosto rapidamente se oggi o nei prossimi giorni questo default si dovesse convertire in una crisi economica vera e non solo finanziaria come finora. In situazioni di emergenza, la mente mette da parte le scorciatoie emotive.
Ben-Zeev, A. (1992). Anger and hate. Journal of Social Philosophy, 2, 85–110.
Halperin, E., Canetti-Nisim, D., & Hirsch-Hoefler, S. (2009). The Central Role of Group-Based Hatred as an Emotional Antecedent of Political Intolerance: Evidence from Israel. Political Psychology, 30, 93-123.
Marcus, G. E. (2003). The psychology of emotion and politics. In D. O. Sears, L. Huddy, & R. Jervis (Eds.), Oxford Handbook of Political Psychology (pp. 182–220).New York:OxfordUniversity Press.
Simon, H. A. (1997). Models of Bounded Rationality, Volume I, II, III. The MIT Press,Cambridge,MA.