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Psiconcologia del ciclo di vita: il giovane adulto – Report dal Convegno di Palermo

Diverse le sfide che i giovani adulti malati di cancro e le loro famiglie devono affrontare. A Palermo un corso di aggiornamento in psiconcologia ha cercato di informare sul tema con l'aiuto di esperti in diverse discipline.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 13 Giu. 2018

Quali sono le specifiche sfide evolutive a cui devono rispondere i giovani adulti malati di cancro e le loro famiglie? E quali le risposte che la psicologia può dare per migliorare la qualità di vita, infondendo speranza per il futuro? A questi quesiti ha tentato di rispondere il corso di aggiornamento organizzato a Palermo dalla Società Italiana di Psiconcologia lo scorso 25 maggio.

 

La diagnosi di malattia oncologica, spesso a esito fatale, pone sempre familiari e pazienti di fronte a una serie di emozioni violente e impreviste, ansia, paura, rabbia, diniego, quanto più precoce è la scoperta della malattia.

Quali sono le specifiche sfide evolutive a cui devono rispondere i giovani adulti e le loro famiglie e quali le risposte che la psicologia può dare per migliorare la qualità di vita, infondendo speranza per il futuro?

A questi quesiti ha tentato di rispondere il Corso di aggiornamento organizzato a Palermo dalla Società Italiana di Psiconcologia lo scorso 25 maggio presso il Policlinico Paolo Giaccone, in un dialogo stretto tra Medicina e Psicologia, consapevole della necessità di un interscambio di saperi e di professionalità per il benessere di pazienti e famiglie.

Con il termine giovani adulti intendiamo persone la cui età va dai 16 ai 39 anni: si tratta di giovani per cui l’insorgenza del tumore pone difficoltà notevoli, perché incide su importanti decisioni per il proprio futuro, come la fertilità – apre i lavori la Dott.ssa Emanuela Mencaglia, psicoterapeuta – Un’altra decisione importante è quella relativa allo studio, se proseguirlo o interromperlo. Esistono poi tutte le conseguenze negative del tumore sulla sfera cognitiva (perdita di memoria), sulla sfera affettiva e sessuale e sulla vitalità (minore forza vitale). Si parla in questo caso di distress come perdita di anni importanti di vita e come interruzione dello sviluppo delle fasi evolutive fisiologiche.

Conseguenze fisiche e mentali che scatenano risposte emotive solitamente negative, variabili tra rabbia, diniego (con sentimenti di immortalità), paura del futuro, depressione, in una richiesta di visibilità, che può spingere a una dipendenza affettiva per avere conferme identitarie.

I giovani hanno paura di un futuro incerto a cui si intreccia il terrore della morte e della perdita, sensazione amplificata dal fatto di vivere in una condizione di isolamento sociale, per i lunghi periodi di ospedalizzazione e per la concentrazione dei vissuti sui sintomi, sulla loro durata e intensità: ciò provoca un’angoscia di essere esclusi dal mondo, aumentando la dipendenza relazionale o, reattivamente, portando alla decisione di non voler più utilizzare i social network, uno dei mezzi di cui potrebbero disporre per mantenere i contatti con l’esterno.

Quali allora le strategie utili per aiutare questi pazienti e donare una vita da vivere che diminuisca le ansie della morte e della sofferenza?

Per i nostri pazienti l’importante è avere un piano B, un’alternativa, raggiungibile attraverso un Counseling sul lavoro, per esempio sfruttando la facilitazione all’inserimento lavorativo dato dalle categorie protette, un Counseling nutrizionale o sessuologico – conclude Mencaglia.

Per entrare nello specifico dell’area sessuale, quali effetti collaterali delle medicazioni e dei trattamenti, troviamo, nelle donne, i disturbi del desiderio e dell’eccitazione, con cui si può intervenite attraverso tecniche comportamentali quali la lettura erotica o gli esercizi di focalizzazione sensoriale, oltre all’utilizzo di farmaci quali il testosterone – spiega Rossella De Luca, psico-oncologa – Problemi che di rimando interessano la relazione di coppia, con un impatto negativo sul benessere della donna e della coppia nel complesso.

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Psico-oncologia del ciclo di vita il giovane adulto - Report dal Convegno IMM1Imm.1 – Immagine dal Corso di Aggiornamento “Psico-oncologia del ciclo di vita: il giovane adulto”

 

Una sfida per una vita dignitosa e pienamente da vivere, intessuta di relazioni, impegni e decisioni importanti: un percorso che il giovane paziente può percorrere solo se coadiuvato da una rete professionale in costante dialogo.

Quale è il modello di cura specifico per questa fascia di età? Di certo l’integrazione tra chirurgo, psicologo, fisioterapista, educatori e assistente sociale, in dialogo tra loro – suggerisce il Professor Gianluca Lo Coco, Professore Ordinario di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione presso l’Università degli Studi di Palermo – Bisogna poi pensare al coinvolgimento della famiglia, ma in termini diversi da quanto avviene con il bambino. Il giovane adulto infatti necessita di un sostegno all’autonomia maggiore rispetto al bambino, benchè il dialogo con le famiglie e tra le famiglie e il paziente sia indispensabile per lenire la sofferenza che colpisce tutti i componenti. Un sostegno che gli operatori offrono, ma che non di rado può essere osteggiato, perché il giovane adulto spesso ritiene il suo malessere transitorio e utilizza molto meno i servizi psicologici rispetto agli over 40.

Quali sono le competenze specifiche di uno psicologo in questo settore così coinvolgente e delicato?

Lo psicologo analizza le possibilità evolutive di un progetto di vita influenzato dalla malattia fisica, dalla paura del futuro e dalla sofferenza, senza minimizzare la malattia e senza perdere e far perdere la speranza nel futuro, mantenendo un’attitudine positiva per la vita, attraverso una corretta informazione medica e la strutturazione di spazi dedicati, per esempio, al lavoro, con sale pc all’interno dell’ospedale, che creino una continuità nel progetto di vita, una traiettoria di vita che non rischi di interrompersi o di non proseguire, come purtroppo accade anche dopo la risoluzione del problema medico, soprattutto per la scarsa fiducia del giovane nel futuro e per l’ansia e i dolori fisici causati dal tumore. Ecco che, se lasciato da solo, decide il più delle volte di abbandonare gli studi o le attività di svago, con grave detrimento per la propria salute, fisica e mentale. Una situazione delicata e di complessa gestione emotiva, che richiede, da parte dello psicologo un serio e sereno confronto con il tema della vita e della morte, per elaborare eventuali angosce esistenziali che metterebbero a rischio il progetto di supporto al giovane.

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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