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La risonanza magnetica: come funziona – Introduzione alla psicologia

La risonanza magnetica è una tecnica che permette di acquisire immagini anatomiche o funzionali relative a una serie di regioni corporee.

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 04 Mag. 2017

La risonanza magnetica (MRI) è una tecnica che permette di acquisire immagini anatomiche o funzionali relative a una serie di regioni corporee. La risonanza magnetica è utilizzata in medicina e in particolare in radiologia per fornire immagini dell’anatomia e dei processi fisiologici di parti del corpo. Gli scanner di risonanza magnetica funzionano grazie alla presenza di campi magnetici che permettono di generare immagini degli organi del corpo. La risonanza magnetica ha lo scopo di produrre immagini dettagliate anatomiche sfruttando le proprietà nucleari in presenza di campi magnetici.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

 

La storia della risonanza magnetica

Il fenomeno della risonanza magnetica (MR) è stato scoperto nel 1946 da due gruppi diversi di scienziati: il primo diretto da Felix Bloch, presso l’Università di Stanford, il secondo facente capo a Edward Mills Purcell, dell’Università di Harvard.

Nel 1950, Erwin Hahn e, successivamente, Herman Carr avevano riportato una immagine di risonanza unidimensionale nelle tesi di dottorato. Nel 1960, Vladislav Ivanov aveva depositato un documento in cui si chiedeva la disponibilità allo stato di poter creare un Dispositivo Risonanza Magnetica e nel 1971 Raymond Damadian, un medico armeno-americano e professore Presso Downstate Medical Center State University of New York, ha inventato la prima risonanza magnetica e ha depositato il primo brevetto. Zenuemon Abe e i suoi colleghi, successivamente, hanno applicato il brevetto per uno scanner di risonanza magnetica nucleare e, in seguito, Paul Lauterbur, riuscì a svolgere una serie di esperimenti con la risonanza magnetica che gli permisero di effettuare la localizzazione spaziale di sezioni anatomiche.
Da allora, la risonanza magnetica si è dimostrata un utilissimo strumento di indagine, poiché in grado di generare immagini con ottimo contrasto tra i tessuti molli con un’elevata risoluzione spaziale in ogni direzione.

 

MRI: Il funzionamento della risonanza magnetica

La risonanza magnetica, dunque, ha come obiettivo l’ottenimento di immagini anatomiche dettagliate sfruttando le proprietà nucleari di certi atomi in presenza di campi magnetici.

Il segnale della risonanza magnetica dipende dai protoni dell’acqua contenuti nei tessuti, mentre l’intensità dell’immagine deriva dalla densità dei protoni ed è influenzata dall’ambiente locale delle molecole d’acqua. Ciascun protone possiede una carica e ruota attorno al proprio asse, ovvero ha uno spin. Questa rotazione produce un dipolo magnetico con orientamento parallelo all’asse del nucleo ed è caratterizzato da un momento magnetico.

Quando il tessuto è disposto in un campo magnetico statico, i protoni in pochi secondi si ordineranno assumendo un verso parallelo (up) o antiparallelo (down). I due orientamenti rappresentano situazioni di livello energetico diverse. L’insieme dei nuclei determina una magnetizzazione netta, avente come direzione e verso quello del campo magnetico statico e come risultante la somma vettoriale tra i nuclei.

Per far verificare il fenomeno della risonanza magnetica è necessario si invii un’onda a radiofrequenza specifica, cioè a frequenza uguale a quella di precessione dei protoni di Idrogeno. In questo modo si produce un’eccitazione sul sistema protonico: l’energia fornita al tessuto dall’impulso di eccitazione a radiofrequenza sarà tanto maggiore quanto più lunga sarà la durata dell’impulso stesso. I nuclei risentono della transizione energetica, e quindi perdono la loro situazione di equilibrio. Alla fine dell’impulso di radiofrequenza, il sistema protonico si trova in una situazione di non equilibrio, dovuta alla quantità di energia assorbita e ad un conseguente aumento dell’energia potenziale che genera instabilità e tendenza al ripristino delle condizioni iniziali. All’eccitazione protonica segue quindi una fase durante la quale gli spin tenderanno a liberarsi dell’energia in sovrappiù fino a tornare nella condizione iniziale che è assai più stabile e più probabile. La magnetizzazione ritorna al suo equilibrio secondo un processo di decadimento con andamento esponenziale nel tempo.

Attualmente, la risonanza magnetica è largamente impiegata nella normale prassi clinica e i parametri di acquisizione possono derivare da diverse modalità di funzionamento:
1. la risonanza magnetica Strutturale permette di ottenere immagini strutturali
2. la risonanza magnetica funzionale, consente di avere immagini relative al funzionamento di un’area cerebrale.

 

fMRI: La risonanza magnetica funzionale

La risonanza magnetica funzionale (fMRI) è una tecnica intordotta di recente per studiare nel dettaglio l’attività cerebrale. Essa nasce negli anni novanta ad opera di Thulborn e Ogawa, che intuirono l’importanza dell’ossigenazione sanguigna nel tempo (segnale BOLD, Blood Oxygenation Level Dependent), per acquisire immagini relative a una determinata area cerebrale. L’effetto BOLD era stato studiato da L.Pauling, che l’aveva legato a delle immagini strutturali cerebrali per renderle più informative da un punto di vista funzionale. La risonanza magnetica funzionale, dunque, permette di localizzare l’attività cerebrale sfruttando le variazioni emodinamiche.

Questo metodo di indagine si basa sul cambiamento del segnale MRI, al quale si associa la risposta emodinamica e metabolica in una regione in cui si ha un’attivazione neuronale indotta da stimoli interni o esterni. L’fMRI, è legata strettamente a contesti sperimentali e di ricerca per individuare, sia in soggetti normali che in soggetti patologici, le aree del cervello attivate durante compiti di stimolazione. In questo modo si ottengono mappe di attivazione (funzionali) che consentono di illustrare quali aree cerebrali sottendono funzioni cognitive specifiche. Chiaramente i compiti fatti svolgere da un soggetto in fMRI sono specifici rispetto a una funzione svolta da una determinata area. Per questo l’area in questione risulterà allo scanner di risonanza di un colore tendente al rosso al contrario di aree non attive o inattive che assumeranno un colore decisamente diverso.

 

fMRI: le immagini

L’fMRI lavora in relazione ai cambiamenti di magnetizzazione che si registrano tra il flusso ematico povero di ossigeno ed il flusso ematico ricco di ossigeno, avendo come base da cui partire acquisizioni di immagini MRI anatomiche del soggetto, che consentono di ricostruire l’intera struttura cerebrale di base.

Quando si genera un incremento di attività cerebrale in un’area si determina un maggiore afflusso sanguigno in quell’area con conseguente aumento locale della quantità di ossigeno. Di conseguenza anche il flusso sanguigno aumenterà perché è necessaria una quantità maggiore di emoglobina ossigenata. Nelle aree attivate, quindi, l’ aumento della concentrazione di ossiemoglobina è indice di un incremento dell’attività elettrica cerebrale.

La fMRI non produce immagini dirette di quello che avviene nel cervello, poiché queste immagini sono un effetto indiretto, derivante dalla risposta emodinamica, dell’attività neuronale. Si tratta, sostanzialmente, di mappe di distribuzione statistica, derivate da effetti medi, dell’attivazione di un’area nello svolgimento di un compito specifico.

Durante una sessione di un esperimento in fMRI, quindi, sono acquisite immagini funzionali quando il cervello è in una condizione di riposo (assenza di stimoli) e durante l’esecuzione di un task sensoriale, motorio o task cognitivo. Lo stesso task è ripetuto periodicamente in modo da fare una media statistica di tutti i valori delle immagini relativi all’attivazione. L’immagine finale si ottiene facendo una sottrazione mediata tra l’immagine acquisita durante l’assenza di stimoli e l’immagine acquisita durante la presentazione dello stimolo. In questo modo si ottiene un’immagine statistica parametrica, che sarà sovrapposta all’immagine anatomica.

 

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

Sigmund Freud University - Milano - LOGORUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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