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The Giver, il mondo di Jonas (2014) di P. Noyce – Recensione

Una società dove le emozioni sono bandite, che società sarebbe? The Giver ci ricorda che nel nostro mondo imperfetto, abbiamo la fortuna di provare emozioni

Di Federica Rossi, Alessia Incerti

Pubblicato il 12 Ott. 2015

Aggiornato il 24 Giu. 2019 12:47

Come una società evoluta risolve il problema delle passioni e dell’aggressività…

In una società in cui le comunità sono luoghi sereni e idilliaci, non si può mentire e si deve usare un linguaggio preciso quando si parla, ossia epurato da ogni forma di emozione, sembra che la vita scorra tranquilla e senza problemi né turbamenti per gli abitanti del mondo. In questa Terra i bambini sono generati dai genetisti e nati da donne incaricate di essere le partorienti.

Ogni differenza, sociale, economica, culturale, individuale, è stata sanata, portando a un’uniformità generalizzata. Finalmente si può vivere in un luogo dove tutto è sotto controllo, poiché è stato bandito ogni impulso che potrebbe creare discordie e separare una persona dal resto della comunità.

Fin dai primi giorni di vita gli esseri umani sono infatti sottoposti ad un esame che verifica la loro conformità ad uno standard predefinito, pena il congedo. Per mantenere questa condizione, tutti i cittadini sono obbligati ad un’iniezione quotidiana che li anestetizza completamente da ogni genere di emozione, immergendoli in un limbo neutro.

Insomma, l’alessitimia come cura delle discordie e metodo per preservare pace ed ordine! Questi sono solo alcuni dei mezzi che il Sommo Saggio e il Consiglio utilizzano per evitare che la forza prorompente e distruttiva della rabbia, dell’invidia, della gelosia, possa prendere il sopravvento sugli esseri umani e generare disordine e sofferenza.

E’ questo lo scenario che si presenta davanti agli occhi dello spettatore che sta guardando The Giver – Il mondo di Jonas. Certo lo spettatore psicologo si chiederebbe che fine farebbe il proprio lavoro in un mondo così e ovviamente troverebbe mostruosa l’eliminazione delle emozioni. Ma del resto tutto funziona…ognuno ha una famiglia e una casa. Certo, la gente vive in unità abitative, dove tutto è definito per legge e non scelto, come l’arredamento, che genera un’atmosfera finta priva di qualsiasi calore umano. E i bambini non crescono in famiglie, ma in unità famigliari, in cui i rapporti di parentela sono solo una forma senza sostanza e ogni legame è privo di qualsiasi sentimento che non sia neutrale (‘Papà tu mi ami?’ ‘Usa un linguaggio preciso Jonas, non so cos’è l’amore, posso dirti che ti stimo e ti rispetto’). Tutto funziona ma gli uomini non sembrano persone, bensì solo semplici esseri viventi.

E di che colore potrebbe essere il mondo se qualcuno gli rubasse le sue sfumature più belle e più brutte? Semplice, bianco e nero. Un monotono, scialbo, insapore, alternarsi di tempo e spazio, senza nemmeno più stagioni, una dimensione vuota perché non sarebbe movimentata dall’incessante fremito delle passioni umane, che rendono la realtà così interessante. In questo futuro non esiste un passato, non c’è una memoria collettiva che unisca l’umanità dando coerenza, unità e significato al presente.

Per fortuna che in ogni generazione, tra i vari incarichi che le autorità assegnano durante la Cerimonia dei 12, vi è un prescelto che sarà l’Accoglitore delle Memorie, ossia il Custode della storia e di conseguenza delle emozioni; costui è l’uomo che da anziano diventerà il Donatore, appunto The Giver, trasmettendo il suo sapere e il suo sentire al proprio successore. Una sola persona, scelta dai controllori per rammentare cosa accadrebbe se nella società tornassero le emozioni. Il Donatore tiene così sulle proprie spalle il peso del mondo, riempiendosi sia del dolore lacerante legato alle perdite e alle crudeltà perpetrate dall’uomo, sia della gioia luminosa dell’amore e della condivisione della vita con gli affetti più cari.

In questa realtà futuristica l’animo umano sembra alleggerito dal fardello dell’ansia, della paura, della tristezza, ma in realtà è solo svuotato della sua ricchezza, perché l’equilibrio e l’armonia derivano dalla capacità dell’uomo di mantenere e accogliere dentro di sé i vari colori del mondo, i più allegri e chiari così come i più cupi.

La visione di questo film rende ancora più chiaro ciò che noi psicologi conosciamo già così bene: la vera maturità emotiva non consiste nel distacco dalle emozioni e dalle sensazioni, nell’appiattimento che invece ricorda l’assenza del sentire che caratterizza alcune delle più gravi condizioni psichiatriche. La competenza emotiva risiede invece nel riconoscimento delle emozioni, positive e negative, segnali essenziali che ci indicano i nostri bisogni, oltre che nell’abilità di regolarle quando non ci permettono di affrontare la situazione. Non esistono realtà senza difficoltà e problemi, per cui non possono esistere mondi senza emozioni. Questo film ci fa inoltre comprendere che un mondo perfetto e organizzato sarebbe arido, freddo e sterile, perché il libero arbitrio è anche ciò che rende possibile l’individualità, l’unicità e non in ultimo la creatività, con le emozioni che si trasformano in musica e opere d’arte.

Non è un caso che proprio i primi sentimenti che il protagonista inizia a provare, dopo essersi sottoposto all’addestramento che lo ha scongelato, siano proprio quelli dettati dai nostri sistemi motivazionali innati: l’accudimento per un bimbo che avverte come simile a lui, con il quale sembra avere un vero imprinting fin dal primo sguardo e l’attrazione per un’amica, un legame che unisce sessualità, cooperazione e attaccamento.

The Giver ci ricorda che i più bei dipinti derivano dall’abilità del pittore di intingere il pennello in una tavolozza fatta da migliaia di colori, scegliendo la sfumatura che meglio si adatta a quella situazione e riuscendo a cambiare tonalità in base al paesaggio che si presenta di fronte ai suoi occhi.

E ci rammenta che in un mondo così imperfetto come il nostro, abbiamo la fortuna di poter provare emozioni, e solo tramite esse poter rappresentare sulla tela della vita capolavori sempre diversi, talvolta brillanti, talvolta cupi, ma sempre riflesso della vita, così variopinta e unica.

Geniale questo film paradossale e futuristico. Ottimo per gli adolescenti che hanno in comune con il protagonista il vivere le tensioni e le preoccupazioni per il diventare grande, maturare un’identità propria e scegliere. Ottimo per tutti, per ricordarci dell’originalità che ci distingue gli uni dagli altri ed apprezzarne le differenze. Ottimo per coloro che hanno dimenticato il valore delle emozioni!

 

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Alessia Incerti
Alessia Incerti

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

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