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La separazione ai tempi della crisi: il dramma dei padri separati

Un padre separato, in crisi economica, è vittima due volte: del naufragio di coppia, e di uno Stato incapace di garantirgli una decorosa vita da genitore.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 26 Giu. 2015

Un uomo-padre, inadempiente per la scarsità di mezzi economici, è vittima due volte: del naufragio di un progetto di coppia in cui ha investito tempo e fatica, e dell’incapacità di uno Stato che deve garantire una vita decorosa a ogni bambino, e quindi indirettamente a chi vigila sulla sua crescita.

Non sono lontani i tempi in cui la definizione clinica della Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS) accese discussioni nel mondo della psicologia e della psichiatria. Al di là di qualunque diagnosi efficace, è innegabile, per chiunque si scontri con i conflitti propri di ogni separazione difficile, l’esistenza di atteggiamenti, più spesso perpetrati dalla madre, volti a spingere il minore ad allearsi con lei (il genitore preferito), così da rifiutare la relazione con l’altro malevolo, adducendo motivazioni costruite ad hoc.

Il destino dei padri sembra così legato ai conflitti che li vogliono, più o meno consapevolmente, parte debole, anche alla luce della netta preponderanza degli affidamenti in favore della madre, sintomo di una debolezza legislativa di stampo italiano, con solide radici culturali.

Oggi però a dare un ulteriore drammatico colpo a una funzione paterna culturalmente accessoria, si pone la crisi economica che taglia i fondi per condurre una vita dignitosa, senza la quale risulta utopistico svolgere il ruolo di genitore con efficienza ed energia.

Un uomo-padre, inadempiente per la scarsità di mezzi economici, costretto a chiedersi con quale faccia dirà al figlio che non può permettersi un semplice gelato è vittima due volte, del naufragio di un progetto di coppia in cui ha investito tempo e fatica, e dell’incapacità di uno Stato che deve garantire una vita decorosa a ogni bambino, e quindi indirettamente a chi vigila sulla sua crescita.

I dati parlano chiaro: separarsi costa, e per molti padri ciò si traduce in una vita ai limiti dell’elemosina. Ecco che la scelta di continuare a convivere sotto lo stesso tetto da separati in casa, risparmiando sui generi di prima necessità, e sopportando inevitabili recriminazioni o silenzi rancorosi, diventa sempre più popolare. Vivere da soli è infatti più costoso: la spesa media per alimentari e bevande di un single è di 332 euro al mese, ben il 62% in più della media di ogni componente di una famiglia tipo di 2 o 3 persone, pari a 204 euro (Parisi, 2015).

La crisi economica detta anche il tipo di separazione: da un lato, vivere da separati resta un’opzione fissa (si rinuncia al divorzio per risparmiare sulle spese legali); dall’altro sempre maggiore è il ricorso alle separazioni consensuali perché un unico avvocato costa meno di due (Frugis, citato in Papaemammeseparati, 2009). La predilezione per le separazioni consensuali, così come per la convivenza forzata, risulta quindi espressione di un accordo fittizio teso a evitare di cadere nella povertà assoluta, soprattutto se si ha la sfortuna di avere una busta paga che andrebbe a beneficio quasi esclusivo dell’altro coniuge.

Per chi comunque non se la sentisse di vivere sotto lo stesso tetto la situazione si dipinge di toni non meno amari: sono padri, infatti, molti uomini che affollano le mense per i poveri o dormono in macchina, una presenza in crescita sul totale di 4,1 milioni di abitanti che sono stati costretti a chiedere aiuto per mangiare (Parisi, 2015).

E se la crisi economica dà il colpo di grazia a una crisi di coppia già in atto, sovente essa stessa scatena il naufragio del progetto di vita comune: le difficoltà finanziarie sono alla base delle rotture in almeno il 30% dei casi, perché vengono meno molti punti fermi nella vita familiare (dalla possibilità di uscire più spesso a cena al non riuscire a rispondere alle richieste dei figli) (Frugis, citato in Papaemammeseparati, 2009).

Separarsi è un dramma cui si può pensare di dar fine con la fine più indegna. Uno degli studi italiani più autorevoli, condotto dall’Associazione Ex – Centro Assistenza Genitori Separati, nel periodo 1994-2002, stima il rischio di omicidio/suicidio nei genitori separati in 556 su 761 casi considerati (citato in Gaetani, 2013). Il suicida tipo è di sesso maschile (62,5%), tra i 38 e i 45 anni, con grossi ostacoli nel mantenere le relazioni con i figli, e con problemi di reddito (32% dei casi). Gli effetti negativi del conflitto e della separazione non riguardano i soli genitori: come rilevato da Beck (1987), il 70% dei giovani detenuti è cresciuto in situazioni di deprivazione genitoriale, con tutte le ripercussioni di ordine economico che questo comporta (per esempio, il tempo del recupero) (citato in Gaetani, 2013). Gravissime poi le conseguenze sul piano psicologico ed esistenziale: tra le conseguenze della PAS, si citano l’uso di stupefacenti, la dipendenza da internet, gli abbandoni scolastici e i disturbi dell’apprendimento.

Considerazioni

La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989 considera la bigenitorialità un diritto del minore, in quanto soggetto cui destinare protezione e tutela, da parte di entrambi i genitori.

Un diritto che si fonda sull’evidenza scientifica per cui la sproporzione dei ruoli genitoriali è gravemente lesiva per la sua salute, come avviene nelle separazioni in cui la conflittualità è tale da non garantire un’equa ripartizione delle funzioni di cura, con la riduzione o la perdita di contatti tra figli e un genitore, solitamente il padre (Gaetani, 2013).

E’ infatti da precisare che l’elemento problematico non è la separazione in sé, ma la qualità della relazione che caratterizza le coppie in conflitto e che si può ripercuotere negativamente sui minori, se privati della presenza e del supporto del padre, agendo addirittura prima della separazione legale.

Senza voler mettere in discussione la bontà di decisioni giudiziarie di cui beneficiano quasi esclusivamente le madri, nella mia esperienza di psicoterapeuta e consulente chiamata a valutare le dinamiche messe in moto da separazioni ai limiti della lotta armata, resta sempre un obiettivo da cui non distogliersi: il benessere del bambino. Un bambino è un essere in evoluzione, necessariamente in contatto con svariati contesti, da cui trae modelli di vita e di comportamento (si è fatto per esempio un gran parlare del ruolo dei nonni come sostegno all’educazione, mentre esiste una certa resistenza culturale a considerare la figura paterna come alternativa paritaria a quella della madre).

Se è corretto parlare di importanza della figura materna, a parere della sottoscritta, tale funzione non è per diritto biologico riferibile alla madre, alla luce anche del fatto che l’esistenza univoca di un istinto materno è lungi dall’essere ancora confermata.

Si arriverebbe al paradosso per cui un genitore è idoneo sulla base del sesso, quindi che un uomo in quanto tale non sarebbe capace, come la donna, di assolvere alla funzione genitoriale. Va da sé come questa affermazione sia viziata da almeno due evidenze: l’esistenza di mamme omicide e dello sviluppo funzionale di bambini cresciuti con un solo genitore o addirittura orfani ovvero cresciuti da genitori adottivi che bilanciano una scarsa capacità genitoriale presente nel genitore biologico.

Per un sano sviluppo ogni bambino necessita di cure e amore, della sensazione di essere rispettato e considerato nei propri pensieri e sentimenti, di un genitore che sia in grado di ascoltarlo, lasciando per sé le proprie nevrosi o facendosi aiutare nel risolverle (l’incapacità di controllarsi, frequente nei litigi coniugale, non esclusiva dei padri, è l’esempio più lampante di conflitti personali irrisolti che non tengono conto della necessità del figlio di essere tenuto fuori da questioni che non devono importunarlo nei suoi bisogni di spensieratezza e gioco).

Ci sarebbe poi da interrogarsi sull’effettiva possibilità di espletare adeguatamente le proprie funzioni genitoriali in condizioni economiche disastrate e con un’immagine di sé di fallimento, quando diventa una chimera ambire a un affidamento di qualunque tipologia, se non autosufficienti a livello economico.

In proposito Maslow, noto psicologo, ricorda come la genesi dei bisogni segua un modello piramidale per cui solo dopo aver soddisfatto i bisogni primari, l’essere umano può organizzarsi per occuparsi di quelli di ordine non materiale, nonché dei bisogni altrui. Perché allora tanto clamore sui diritti della donna-madre e tanta poca attenzione nel mettere l’uomo nelle condizioni pratiche di essere padre e, prima di tutto uomo, che può fare della sua dignità e soddisfazione i punti forti con cui allevare i figli?

E se il benessere dei figli consistesse semplicemente nel lasciarli andare al genitore con cui ha instaurato un legame prezioso, a prescindere da ogni disposizione giuridica, insomma nell’autocoscienza del loro primario interesse a vivere una vita liberata dagli egoismi dei grandi? E Kramer contro Kramer non solo un film a lieto fine su come dovrebbe essere gestito altruisticamente l’amore per chi si è messo al mondo.

 

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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