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Le espressioni grafiche: dall’intrapersonale all’interpersonale

E' possibile cogliere una maturazione nel disegno infantile che costituisce una manifestazione della tappa in cui si colloca e delle abilità che padroneggia

Di Angela Niro

Pubblicato il 24 Apr. 2015

Aggiornato il 14 Mar. 2016 10:34

 

Dal punto di vista evolutivo è possibile cogliere una maturazione del disegno infantile che procede di pari passo con quella del bambino e che costituisce una manifestazione della tappa in cui si colloca e delle abilità che padroneggia e perfeziona.

[blockquote style=”1″]“Disegnare è una delle attività a cui il bambino ricorre con più frequenza e immediatezza. L’obiettivo è di poter esprimere e comunicare il suo mondo interiore”[/blockquote] (Castellazzi 2012, p.5).

Lo studio del grafismo infantile è stato caratterizzato da un interesse in costante mutamento che ne ha sondato dapprima le qualità artistiche, si pensi ai contributi risalenti all’Ottocento e in seguito la sua utilizzabilità per indagini socio-culturali.
Va rilevato che queste ricerche erano lontane dalla scoperta di un legame tra la produzione grafica e lo sviluppo delle capacità cognitivo-affettive avvenuta in studi successivi.

[blockquote style=”1″]“Il disegno infantile appare oggi, nella sua autenticità, come una via privilegiata per capire il percorso conoscitivo del bambino e lo sviluppo dei processi ad esso legati, quali: la percezione, la memoria, l’attenzione, la formazione di sequenze complesse e coordinate di movimenti”[/blockquote] (Castelli Fusconi 2002, p. 73). Dal punto di vista evolutivo è possibile cogliere una maturazione del disegno infantile che procede di pari passo con quella del bambino e che costituisce una manifestazione della tappa in cui si colloca e delle abilità che padroneggia e perfeziona.

Alla luce di una vasta letteratura sull’ argomento si vuole qui tentare una sintetica operazione di analisi dell’evoluzione del grafismo e della preziosa narrazione contenuta in esso.
Un interessante contributo sulla trasformazione dell’espressione grafica è offerto da Crotti e Magni (2006) che identificano tre livelli di sviluppo nel grafismo infantile.

Il primo livello prevalentemente motorio arriva fino a venti mesi circa, esso si caratterizza per la presenza di tracciati omolaterali, per esempio eseguiti con la mano destra e distribuiti sulla parte destra del foglio e centrifughi, ossia dal punto più vicino al soggetto a quello più lontano. Queste peculiarità e altre, come la presenza di linee curve in senso antiorario e orario sono prodotte della maturazione del sistema nervoso.
Dai venti ai trenta mesi, periodo definito percettivo, il bambino possiede un maggiore controllo del gesto, che consente un migliore adattamento allo spazio grafico e la capacità di seguire con gli occhi il tracciato.
L’ultimo livello secondo gli autori è quello della rappresentazione, esso si estende dai trenta ai quaranta mesi, è il momento in cui al disegno è accompagnata una descrizione, il bambino diviene capace di eseguire linee spezzate e oggetti diversi grazie all’ acquisizione della forma, della proporzione, del numero e dello spazio.

Il primo contatto del bambino con il segno grafico può essere collocato all’età di sei mesi e anche se non lascia una traccia visibile, una profonda sorpresa accompagna questa scoperta.
Successivamente l’esplorazione e lo sperimentarsi nel movimento consentono al bambino di tracciare linee angolose e oscillanti spesso in tutte le direzioni, puro e gratificante piacere di produrre. Questi tracciati ben presto si trasformano in un insieme caotico di linee dalla forma irregolare, gli scarabocchi, che il bambino produce senza staccare la matita dalla superficie.

Non è difficile comprendere che le progressioni evolutive del disegno qui descritte risentano dell’influenza del livello intellettivo, della stimolazione sociale, nonché di ritardi nello sviluppo.
Diversamente da quanto si possa pensare, gli scarabocchi non sono tutti uguali e le loro peculiarità caratterizzano fasi evolutive differenti.

A tal proposito Lowenfeld (1984) fornisce una classificazione di quattro tappe che implicano abilità diverse. Inizialmente l’assenza di controllo motorio consente al bambino di produrre solo scarabocchi disordinati. In un secondo momento, un più raffinato controllo individuabile dà vita a tracciati longitudinali e in seguito circolari. Nell’ultima tappa con il pensiero immaginativo prendono forma gli scarabocchi significanti.
Verso il secondo anno compaiono i precursori della figura umana, tracciati spiraliformi e forme chiuse come i cerchi disegnati singolarmente o in serie, che costituiscono la prima raffigurazione geometrica. Soltanto un anno dopo emerge l’intenzionalità comunicativa e vi è il primo tentativo di rappresentazione della figura umana, generalmente disegnando un cerchio a cui viene aggiunta una coda, o due code che raffigurano gli arti, il simpatico cefalopode.

Man mano che cresce il bambino disegna una figura umana sempre più riconoscibile, che adorna di particolari che la rendono più realistica, pensiamo per esempio a cinte, bottoni, cappelli, bambole, testimonianza di una maggiore padronanza nel disegno di figure geometriche, maggiore espressività e un’iniziale tendenza alla differenziazione sessuale.

Con l’inizio della frequenza scolastica i dettagli nel disegno abbondano, compare una maggiore abilità di sfruttare lo spazio e la linea di appoggio. Il diletto non è più solo esclusivo del disegno frontale, ma anche di quello di profilo o ibrido, inoltre, si ricorre a colori e matite per riempire gli spazi.

Alcune figure come la casa possono essere autentica espressione di calore familiare o di senso di abbandono. I paesaggi contengono non più solo alberi, ma anche il sole, gli uccelli, i fiori, l’erba e così via. Anche nel disegno di animali viene proiettato sul foglio bianco quello che denota qualche personale caratteristica.

Quanto detto coinvolge anche la raffigurazione del movimento, in cui si procede con espressioni meno mature per esempio rintracciabili nella posizione di gambe e braccia e loro elevazione verso l’alto, fino a dettagli più complessi come il movimento degli abiti o l’asse della figura.
[blockquote style=”1″]“Il disegno del bambino diventa in questo senso una mappa che guida ogni adulto nella scoperta del bambino che è stato, da rintracciare nel tratto, nei colori e nelle immagini depositate sul foglio ad opera del bambino che gli vive vicino” [/blockquote](Federici 2005, p.10).

Benché le capacità grafiche evolvano, sono conservati ancora schemi poco evoluti, che si manifestano insieme a forme più evolute.
Dai dieci-undici anni al periodo adolescenziale, il bambino possiede molti schemi figurali, la sua memoria ormai completa gli consente di ritrarre la figura in tutte le sue parti, anche se non presente, il suo stile risente dell’influenza di stereotipi culturali e dei conflitti adolescenziali. Pertanto il disegno della figura umana di un soggetto in adolescenza presenta il medesimo grado di completezza di quello di un adulto.

Anche se una qualità artistica inferiore presente durante l’età adulta è da attribuire a un minor esercizio e interesse per l’attività grafica stessa.
È importante ricordare che il grafismo consente al bambino di strutturare la sua motricità, la sua vita di relazione e di comunicare con il mondo esterno.

Un’altrettanto vasta rassegna di studi ha indagato attraverso il disegno lo sviluppo psicosessuale del bambino e lo ha reso un importante strumento psicodiagnostico.
[blockquote style=”1″]“Mentre disegna, il bambino, preso dal piacere di rappresentare, si controlla assai meno che nel colloquio, e proietta senza rendersene conto, sentimenti, desideri, conflitti, atteggiamenti” [/blockquote](Passi Tognazzo 1991, p.172).

Secondo Castellazzi (2012) l’affettività che il bambino comunica più o meno consapevolmente attraverso l’espressione grafica segue un’evoluzione attraverso le cinque classiche fasi freudiane: la fase orale, l’anale, la fallica, di latenza e la genitale e che inevitabilmente dipendono da fattori intrapsichici, fisici e ambientali.

In quest’ottica i primi segni di oralità s’identificano nei tracciati spiraliformi e significanti e prima le forme chiuse, poi il cefalopode, indicano un sé che si sta formando separandosi dall’altro. L’alternanza tra il piacere di sporcare il foglio e di controllarlo, segna la fase anale, in cui l’aggressività si concretizza in annerimenti e linee ostinatamente marcate fino a bucare il foglio. Quando il Super-Io si è strutturato e le problematiche edipiche sono state superate, compaiono immagini che richiamano alla differenziazione sessuale, alla potenza e al vigore, armi e oggetti a punta, tipici della fase fallica. Un’identità matura, porta alla riduzione dell’egocentrismo e al ridimensionamento della figura, alla condivisione dell’ambiente con i pari.

Nell’adolescenza tensioni e conflitti s’identificano in omissioni o accentuazioni di parti del corpo, come per esempio una bocca accentuata che richiama all’aggressività verbale e mani nascoste o esagerate, per indicare difficoltà d’interazione e attività manipolatorie.

[blockquote style=”1″]“I bambini non disegnano solo ciò che vedono, ma ciò che sentono. Nei loro disegni possiamo leggere le loro paure, i loro desideri, le loro emozioni”[/blockquote] (Carlino Bandinelli & Manes 2004, p. 9).

Una sete di curiosità deve guidare l’osservazione dell’attività grafica, nonché del suo prodotto finito, poiché sono moltissime le informazioni che possiamo acquisire e che diversamente non avremmo modo di conoscere. Un foglio di carta e una penna devono accompagnare l’osservatore che vorrà lasciare un’indicazione di ciò che ha visto e dovrà rivedere, magari su cui riflettere. Per evitare che l’attenzione sfugga da ciò che è importante sondare, le variabili da osservare vanno dal livello grafico, che si riferisce alle linee, alla pressione, al tratto e all’impugnatura della matita, a quello formale e contenutistico. Il secondo analizza il punto da cui il bambino inizia a disegnare, il modo in cui si esprime nel foglio-ambiente, la forma, le dimensioni, gli elementi omessi, esagerati o distorti, la simmetria, la direzione, la staticità e il movimento che conferisce alla figura. L’ultimo prende in esame una componente del disegno per volta.

[blockquote style=”1″]“Dunque il disegno è il racconto che il bambino fa di se stesso” [/blockquote](Crocetti 2009, p.105) è nello specifico la proiezione di una struttura dinamica, per esempio la propria immagine corporea, che si costruisce e muta nel tempo influenzata dalle proprie sensazioni, dal contatto con se stesso e gli altri, da stimolazioni ambientali e bisogni.

Per concludere, comprendere il significato comunicato dai disegni, fin dagli scarabocchi dei primissimi anni di vita, è importante per individuare il modo di essere, la sua vitalità e lo stato emotivo che il bambino sperimenta in quel momento. Esprimendosi in modo spontaneo, egli si libera da timori e comunica necessità, che è compito dell’adulto cogliere.

Quanto detto conduce a una riflessione sulle potenzialità dell’attività grafica, un gioco solitario o da condividere, una modalità espressiva, una tecnica terapeutica. Quest’ultimo aspetto richiede una precisazione [blockquote style=”1″]“Il gioco degli scarabocchi è soltanto un mezzo per entrare in contatto con il bambino, ciò che succede nel gioco e nel colloquio, dipende dall’uso che si fa dell’esperienza del bambino, incluso il materiale che ne viene fuori.[/blockquote] (Winnicot 2005, p.12).

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