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Il capro espiatorio in Girard e in Fornari: la violenza nelle società antiche – (Monografia)

E' una teoria sul funzionamento sociale umano, di come uomini e donne usano le credenze religiose e filosofiche per far funzionare le relazioni sociali

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 14 Apr. 2015

Aggiornato il 29 Gen. 2017 13:38

LA TEORIA DEL CAPRO ESPIATORIO IN GIRARD E FORNARI PT.1

Questo era il senso della passione greco-romana per le palestre: la guerra. Le società post-classiche, medievale e moderna, hanno messo il lavoro al posto della guerra. O quasi.

La teoria del capro espiatorio è un modello antropologico sviluppato dallo studioso franco-statunitense René Girard (1982) e poi ulteriormente elaborato e modificato dal suo allievo e successore Giuseppe Fornari (2006). In breve, si tratta di una teoria sul funzionamento sociale e culturale umano, di come gli uomini e le donne usano le credenze religiose e filosofiche per far funzionare le relazioni sociali, sia spontanee che istituzionalizzate.

La teoria non affronta il livello razionalistico della struttura sociale ovvero il patto economico e il contratto di interesse che sono alla base delle associazioni umane. Piuttosto essa tratta il livello emotivo e antropologico, di come gli uomini riescano a gestire i conflitti emotivi incanalandoli in cerimonie e riti religiosi e culturali e trasformandoli in racconti e narrazioni dotate di senso. A questo livello emotivo e cognitivo, il modello è d’interesse anche per lo psicologo clinico, che può trarre insegnamento su come nella sofferenza e nella patologia, soprattutto dei disturbi di personalità, questa gestione fallisca e i rapporti tra le persone esplodano in scontri e conflitti rabbiosi. Naturalmente questo importa soprattutto nella comprensione del caso del disturbo di personalità borderline, disturbo intriso di stati aggressivi e collerici.

Nel modello di Girard i rapporti umani sono concepiti come tendenzialmente conflittuali e rivalitari. Gli individui sono in agonismo perenne e competono per posizioni di rango in cui si sentano riconosciuti, ammirati, abbiano accesso alle risorse materiali e, soprattutto, destino ammirazione, seguito e imitazione. Il problema dell’imitazione per Girard è centrale. I conflitti umani, oltre ad avere una radice economica (l’accesso alle risorse) e gerarchica (l’acceso ai ranghi superiori), ha anche una radice puramente cognitiva, in cui chi vince la competizione diventa un modello per gli altri: in quanto vincitore i suoi comportamenti, i suoi pensieri e perfino le sue emozioni diventano oggetto di imitazione ed emulazione e ovviamente anche invidia.

La nostra società umana è quindi affetta da continue situazioni di rabbia rivalitaria, la cui gestione non è semplice. Ce la caviamo alternando continuamente scontri ritualizzati e riconciliazioni, provocazioni verbali e riconoscimenti reciproci, sfottò o anche offese a scuse. Questo accade nel mondo moderno, che è riuscito a espungere la violenza fisica nelle relazioni tra cittadini dello stato di diritto. Inoltre le organizzazioni sopra-statali (come le Nazioni Unite o l’Unione Europea) tentano, con minore successo, di risolvere anche i conflitti tra stati eliminando la guerra, ovvero il ricorso alla violenza fisica per risolvere i conflitti.
Man mano che si va indietro nel tempo il livello di violenza aumenta. All’inizio dell’era moderna già lo stato assoluto monarchico in realtà era riuscito bene a limitare la violenza, a fondare il governo della legge e, inoltre, attraverso la diplomazia tentava, con successo scarso ma non del tutto nullo, di prevenire le guerre tra stati.

Nell’età classica i rapporti tra stati sfociavano costantemente nella guerra, tanto è vero che ogni cittadino greco o romano sapeva bene che una porzione fissa dell’anno, a cavallo tra primavera ed estate, dopo la semina e prima del raccolto, era dedicata alla guerra. Le guerre diminuirono più per merito delle grandi unificazioni imperiali, macedone e romana, che per merito delle città stato greche e italiche e delle tribù barbariche, incapaci di risolvere pacificamente i conflitti. Anzi, questi organismi cittadini e tribali non si ponevano nemmeno il problema di liberarsi della guerra; la guerra era concepita come una condizione periodica inevitabile come le stagioni.

Le società antiche erano culture di contadini-cittadini-soldati per i quali la guerra faceva parte del ciclo agricolo annuale. Non a caso era così diffuso lo schiavismo, essendo i cittadini occupatissimi con la politica e la guerra, oltre che con i lavori agricoli. L’odierna complessità dei mestieri e delle specializzazioni era ignota alla cultura classica, che demandava tutto il lavoro agli schiavi. Per i filosofi greci, lavorare era un’attività ignobile e inadatta all’uomo libero.

Con tutta la sua violenza, già il successivo medioevo, con la sua economia complessa e differenziata, i suoi artigiani, i suoi artisti, i suoi banchieri, i suoi architetti, i suoi monaci studiosi e intellettuali, era meno adatto alla guerra. Insomma, con il medioevo comincia a esserci troppa gente che aveva un lavoro vero e non poteva perdere tempo a fare politica nell’agorà e partire per una campagna militare ogni primavera. Per non parlare poi della necessità continua di esercizio fisico per tenersi pronti alla guerra; necessità incompatibile con il lavoro. Questo era il senso della passione greco-romana per le palestre: la guerra. Le società post-classiche, medievale e moderna, hanno messo il lavoro al posto della guerra. O quasi.

LA TEORIA DEL CAPRO ESPIATORIO IN GIRARD E FORNARI

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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