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Viaggio attraverso il Posto delle Fragole di Ingmar Bergman (1957) – Recensione

Ingmar Bergman ci presenta un viaggio attraverso i luoghi della giovinezza che racconta l'importanza degli affetti e della disponibilità verso l'altro

Di Laura Lambertucci

Pubblicato il 08 Mag. 2014

Aggiornato il 08 Set. 2015 10:10

 

 

Viaggio attraverso il posto delle fragole_Bergman

Bergman ci lascia un capolavoro sull’importanza fondamentale degli affetti e della disponibilità ed apertura verso l’altro, incoraggiandoci a conservare sempre dentro di noi il proprio “posto delle fragole” e magari a guardarci allo specchio più spesso, per capire il tragitto che stiamo percorrendo.

In un frammento tratto dalla sua autobiografia “Lanterna magica” (1987) il regista svedese Ingmar Bergman scriveva: “Da piccolo per punizione ero spesso rinchiuso nell’armadio e qui, rannicchiato nel buio, grazie a una torcia, una sorta di lanterna magica che un giorno riuscii a portarmi dentro di nascosto, cominciai a immaginare, a sognare, a creare storie, altri mondi, personaggi, buffoni e marionette che finivano con il sostituirsi alla realtà e alleviavano il dolore della mia solitudine”.

Bergman, figlio di un pastore protestante, aveva ricevuto una rigida educazione improntata ai principi della religione luterana di “peccato, confessione, punizione, perdono e grazia”. Il dono, ricevuto a 12 anni, di un proiettore cinematografico fece sì che Bergman trovasse nel cinema la prosecuzione di quel gioco infantile di illusioni che riusciva a farlo evadere dall’oppressivo clima familiare. A 18 anni se ne andò di casa, si sottrasse alla volontà paterna che lo voleva sacerdote ed intraprese quel percorso che lo portò a diventare uno dei registi più talentuosi e in grado di scavare nell’animo umano.

Nella sua intera opera Bergman riporta i suoi temi di vita dolenti, i rapporti conflittuali con i suoi genitori, con le donne che gli sono state accanto, con i suoi figli e la sua continua interrogazione sulla fede e l’esistenza di Dio, come se cercasse di trovare nei suoi film una risoluzione ai nodi problematici che lo affliggevano.

Non si sottrae a ciò uno dei film più belli di Bergman “Il posto delle fragole” (1957).

Il film si apre con un monologo dell’anziano protagonista, Isak Borg, noto medico e professore prossimo a ritirare un prestigioso premio a coronamento di una illustre carriera:

I nostri rapporti con il prossimo si limitano, per la maggior parte, al pettegolezzo e a una sterile critica del suo comportamento. Questa constatazione mi ha lentamente portato a isolarmi dalla cosiddetta vita sociale e mondana. Le mie giornate trascorrono in solitudine e senza troppe emozioni. Ho dedicato la mia esistenza al lavoro e di ciò non mi rammarico affatto. Incominciai per guadagnarmi il pane quotidiano e finii con una profonda, deferente passione per la scienza. Ho un figlio anche lui medico che vive a Lund, è sposato da anni, ma non ha avuto bambini. Mia madre vive ancora ed è molto attiva, molto vivace malgrado la sua tarda età. Mia moglie Karim è morta da diversi anni. Ho la fortuna di avere una buona governante. Dovrei aggiungere che sono un vecchio cocciuto e pedante. Questo fatto rende sovente la vita difficile sia a me che alle persone che mi stanno vicine. Mi chiamo Eberhard Isak Borg ed ho settantotto anni. Domani nella cattedrale di Lund si celebrerà il mio giubileo professionale.

Si delinea quindi fin da subito il personaggio di Isak Borg (che in svedese letteralmente significa “fortezza di ghiaccio”). Borg è un professionista stimato da molta gente ma, per chi vive accanto a lui, dietro questa facciata di bonarietà e modi gentili si cela un uomo egoista, gelido e sordo al sentire degli altri (come emerge da uno dei dialoghi iniziali con la nuora Marianne). La mattina del giorno della cerimonia, Borg viene svegliato e scosso da un sogno angoscioso in cui da una bara vede il cadavere di se stesso afferrargli un braccio e trascinarlo a sé (il sogno in realtà è più esteso e ricco nel suo simbolismo ma per motivi di sintesi non lo tratterò). L’incubo rimanda a Isak una sensazione di morte imminente (interpretabile sia come morte interiore sia come effettivo fine percorso della vita). Al risveglio il professore decide di non prendere l’aereo ma di viaggiare in macchina verso Lund. In questo viaggio lo accompagna sua nuora Marianne che vuole incontrare il marito dopo essersi allontanata dal lui (in quanto, come si scoprirà poi, è incinta ma il marito non vuole che tenga il bambino).

Durante il tragitto, Borg fa una deviazione e si dirige verso la casa in cui da giovane passava le vacanze estive insieme ai sui famigliari, tra cui la cugina Sara, suo primo amore. La ragazza tuttavia preferì sposarsi con l’audace ed impetuoso fratello maggiore di Isak, molto diverso da quest’ultimo. Il giovane Isak infatti viene descritto da Sara in questo modo: “così buono, così nobile e premuroso, è pieno di attenzioni, sempre tanto sensibile, quando siamo insieme leggiamo le poesie e vuole che parliamo della vita e della morte, ci divertiamo a suonare il piano a quattro mani, e mi bacia solamente quando siamo allo scuro, e poi mi parla del peccato, ha un animo così elevato, a suo confronto io mi sento così tanto piccola e meschina…”. Da allora Isak sembra aver portato all’estremo la sua tendenza alla razionalizzazione, negando l’importanza ed il valore degli affetti e dedicando la sua vita al freddo lume della scienza e della ragione.

Rivisitando i posti della sua giovinezza (il posto delle fragole del titolo) e da vari incontri fatti lungo il tragitto, tra cui quello con degli autostoppisti, una ragazza e due ragazzi che se la contendono riproducendo la stessa dinamica che Isak ha avuto con la cugina (non a caso la stessa attrice interpreta la Sara-cugina e la Sara del viaggio) – in un’alternanza tra realtà, sogni e fantasie para-oniriche – l’anziano medico passa attraverso un processo di riflessione sulla sua vita e di presa di consapevolezza di quanto il suo atteggiamento di negazione della dimensione affettiva lo abbia portato a quella che è la sua paura-condanna maggiore, la solitudine.

Ciò lo condurrà ad una riacquisizione delle proprie potenzialità emotive. Il tempo ormai è agli sgoccioli (l’orologio senza lancette del sogno iniziale del film) ma qualcosa si può ancora fare per farsi voler bene da chi gli sta accanto e, soprattutto, per cercare di rompere la catena di trasmissione transgenerazionale della freddezza che da sua madre, è passata a lui ed al figlio Evald. Evald non vuole avere figli e pone la moglie incinta nel dilemma di scegliere tra il bambino e lui. In un flashback del film (quando Marianne racconta a Isak il motivo della conflittualità con il marito) Evald afferma: “…la vita è una cosa assurda ed è bestiale mettere al mondo dei figli con la sciocca speranza che potranno vivere meglio di noi (…). Io stesso fui un figlio non desiderato di un matrimonio che era la copia dell’inferno…un figlio di chissà quale padre”.

Evald è simile al padre, anche lui si sente morto pur essendo vivo ed è rigido nelle sue posizioni, mentre la dolce Marianne vorrebbe tenere questo bambino proprio per spezzare questa catena di freddezza, morte e solitudine. Non resta per Isak che tentare di facilitare la riconciliazione tra figlio e nuora e fare in modo che il cambiamento avvenuto in lui possa investire anche il figlio (in cui tuttavia già si nota un accenno di cambiamento quando rivede la moglie ed esprime al padre la sua paura di perderla).

Prove del mutamento avvenuto nel prof. Borg sono sia il modo con cui affrontra la cerimonia del suo giubileo cogliendone la formalità del apparato e dando più peso alla presenza dei sui affetti in platea e il dialogo con la governante alla fine del film a cui Isak riserva parole di autentico affetto. A questo punto il professore può riaddormentarsi tornando agli episodi della sua infanzia e sognando i suoi genitori ai tempi della sua govinezza che lo salutano sorridendo.

Riguardo questo film, Bergman scrive di aver proiettato la figura del padre distante nel personaggio dell’anziano professore ed anche il rapporto padre-figlio tratteggiato risulta autobiografico. Ma il film è autobiografico anche nella misura in cui le iniziali stesse di Isak Borg sono le stesse del regista (cosa di cui Bergman si accorse solo tempo dopo la stesura) e il film rappresenta quindi anche il bilancio della stessa vita di Bergman, quarantenne al momento della scrittura della sceneggiatura, che guarda alla sua esistenza con gli occhi del vecchio medico.

Lo stesso Bergman ha scritto: “Mi trovavo in lotta con i miei genitori. Non riuscivo a parlare a mio padre, e neppure ne avevo l’intenzione. Io e mia madre cercammo di riconciliarci almeno temporaneamente, ma c’erano troppi scheletri nei nostri armadi, troppe incomprensioni piene di veleno. Credo che i motivi più forti che stanno alla base de Il posto delle fragole si possano trovare in quelle situazioni. Cercavo di mettermi nei panni di mio padre, e cercavo spiegazioni per le amare discussioni con mia madre…Nel film cerco di supplicare i miei genitori; guardatemi, capitemi e, se possibile, perdonatemi.”

Seppure sia permeato dalla nostalgia per la giovinezza e per il tempo perduto, il film si chiude con una visione che può essere considerata positiva: presa consapevolezza, seppur molto tardi, dei suoi temi dolorosi, per il dottor Borg si è aperta la possibilità di uscire dalla ripetitività della sua condotta, a partire da una riconciliazione con il suo passato e con le figure genitoriali e da una comprensione della trasmissione intergenerazionale degli schemi (anche grazie alla nuora Marianne, capace di restituirgli in maniera chiara la dinamica che lei stessa aveva osservato nell’incontro tra Isak e la sua anziana madre).

Emergono quindi per Isak l’opportunità di vivere il tempo che gli resta proseguendo il recupero della dimensione affettiva dei suoi rapporti con gli altri, ma anche la possibilità di nuovo inizio per la famiglia Borg con la nascita di una nuova vita. E riguardo la possibile interpretazione del sogno finale come anticamera della morte, resta comunque la sensazione di serenità acquisita da Isak, che può chiudere gli occhi in uno stato emotivo completamente differente da quello dell’incubo con cui si è aperto il film.

Bergman ci lascia quindi un capolavoro sull’importanza fondamentale degli affetti e della disponibilità ed apertura verso l’altro, incoraggiandoci a conservare sempre dentro di noi il proprio “posto delle fragole” e magari a guardarci allo specchio più spesso (per citare una delle scene madri del film) per capire il tragitto che stiamo percorrendo.

 

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Laura Lambertucci
Laura Lambertucci

Psicologa clinica, Psicoterapeuta in formazione

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