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Sono un istrione: Uno, nessuno, centomila!

L'Istrione non sa bene chi è e quindi è condizionabile. Per questo gli è facile identificarsi e proiettarsi con il personaggio ideale voluto dal genitore.

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 02 Ott. 2013

 

Sono un istrione: uno, nessuno, centomila. - Immagine: © George Mayer - Fotolia.comL’Istrione non sa bene chi è, anzi non lo sa affatto e i confini sono labili, e quindi è condizionabile. Per questo gli è facile identificarsi e proiettarsi con il personaggio ideale voluto dal genitore. Un personaggio che deve primeggiare, essere ammirato, essere al centro. 

Sono un istrione! Cantava Aznavour in una nota canzone non più contemporanea.

Seduttivo e affascinante, dedito a voler fare colpo sull’altro ponendosi sempre al centro dell’attenzione, manipolatore e fatuo: questo è l’istrione.

Si tratta di un abile attore che si cala nel ruolo della sua vita e recita una parte, fingendo di essere chi non è.

Una sola persona dai tanti volti o nessuno, come diceva Pirandello in un noto romanzo? In realtà è una e una sola persona che debutta sul palcoscenico della sua vita con tante maschere, una per ogni occasione. Recita quotidianamente e per questo non riesce ad uscire dal personaggio: è l’unico modo che conosce per ricevere consensi.

E se il pubblico non ci fosse? Viene fuori per quello che è realmente, un depresso! Il fulcro della sofferenza dell’istrionico è determinato dal profondo senso di indegnità, mancanza d’affetto, inadeguatezza a badare a se stesso.

Dietro alla maschera che indossa , c’è un dolore profondo, che cerca in ogni modo di arginare, per paura di soccombere o perché dietro esiste la vana convinzione che se scoprissero quello che è realmente, disprezzabile/non amabile, gli altri possano lasciarlo solo non prendendosi cura di lui.

Ambienti familiari caotici, contraddittori, senza regole, facilitano l’insorgenza di questo disturbo. Si tratta, spesse volte,  di rapporti che si basano sulla non autenticità, dove si considera solo l’apparire e non l’essere. I rapporti, così impostati appaiono immediatamente superficiali e i bisogni sono considerati subordinati all’apparire. 

Il bambino di quel nucleo familiare non è preso sul serio; è sempre troppo piccolo, troppo stupido, troppo poco importante per rispondere alle domande, potrebbe essere rimproverato per qualcosa che subito dopo non costituisce più un problema. La conseguenza di questo atteggiamento è non essere in grado di pensare in maniera autonoma, perciò non essere capace di crescere.

L’istrionico non sa riflettere sui propri stati mentali e assumersi delle responsabilità, così individua come proprio il pensiero dell’altro. I genitori recitano una parte e il figlio si adegua, adottando gli stessi valori di conformismo, o recitando il copione opposto: il migliore appetibile, il ribelle, la pecora nera, sempre di recita si tratta! Il prezzo da pagare: l’inautenticità, l’estraneità da se stesso, la mancanza di identità. Presto impara che da solo non ce la fa e cerca qualcuno che possa accudirlo, previo il senso di colpa. Capisce che ciò che conta è la maschera che indossa, perché cela il vuoto dei sentimenti, la mancanza di verità, calore, riconoscimento.

Non sa bene chi è, anzi non lo sa affatto e i confini sono labili, e quindi è condizionabile. Per questo gli è facile identificarsi e proiettarsi con il personaggio ideale voluto dal genitore. Un personaggio che deve primeggiare, essere ammirato, essere al centro. 

Dietro questa maschera è velata la rabbia di essere squalificato, ignorato, svalutato, non riconosciuto, abbandonato. La rabbia di chi, giunto sulla scena della sua vita, è stato non visto come persona, ignorato, criticato, disprezzato. La maschera copre la rabbia e la trasforma in seduzione, creatività, fascino,”ti sedurrò, così avrò la tua ammirazione!“.

L’istrionico vuole lodi, ammirazione, plausi, o addirittura riconoscenza. Guai a criticare lo show di un istrionico: si allontana e diventa un nemico. Essere lontano dalle luci della ribalta, aumentano la ferita, il dolore, il senso di disgusto per se stesso che lo investe come un guanto. Meglio essere fatui che autentici! Se fallisce, nel non essere riconosciuto, rischia di ricadere nel vissuto depressivo, di entrare in contatto con quella parte di sé, fragile, debole, triste, che non vuole assolutamente far vedere e provare.

Di qui il grande bisogno di affermare la propria persona che, per alcuni aspetti, potrebbe far confondere col narcisista che è innamorato di se stesso, mentre l’istrionico è innamorato della sua immagine. Ma essere stregati dal proprio riflesso porta ad allontanarsi dai sentimenti e crea un profondo senso di insicurezza e sfiducia. Si genera una screpolatura shakespeariana, essere o non essere, difficile e dolorosa da sanare. L’istrionico ha un doppio, Doppelgänger, diviso in cattivo/depresso e buono/maschera.

La maschera deve  suscitare nell’altro ammirazione, invidia, fascino, e permettergli di conquistare una preda del sesso opposto: di qui la seduzione sessuale e il bisogno di competere in amore.

La conquista di un partner, specie se difficile, ricercato, magari già impegnato, fornisce all’istrionico una sorta di sfida, ma a questa fase, segue prima o poi una caduta dovuta alla delusione esperita nel momento in cui mosso dai limiti dell’altro, lo svaluta.

Successivamente vede se stesso come perdente per non essere stato capace di perseguire lo scopo principe della sua vita. L’istrionico scruta nel partner lo specchio del proprio valore e il bastone su cui poggiarsi nella vita. Il rapporto d’amore serve per l’autoaffermazione.

Spesso, l’ istrionico finisce in rapporti triangolari, nei quali ripropongono il loro menage familiare. Ciò accade soprattutto ai figli unici, che sostengono di instaurare tali relazioni per caso, senza volerlo, e interpretano questo evento come dettato dalla sfortuna: tutti gli uomini o le donne che a loro piacciono sono già legati.

In realtà, nel cercare partner non liberi, ripropone lo stile di attaccamento che aveva con i genitori. D’altra parte, ha paura di un rapporto in cui il partner sia libero, perché equivarrebbe ad impegnarsi in modo più serio, responsabile e totale. In questo modo verrebbe fuori per quello che è, un depresso, e questa intimità spaventa.

Ottiene apprezzamenti, mascherati, disprezzandosi, ottiene riconoscimento svalutandosi! Solo chi si svilisce crea un personaggio dietro cui nascondersi, solo chi non si ama può creare un falso amore per chi non è. Quindi, più l’immagine acquisisce valore a scapito della verità, più il dolore interiore diventa dilaniante. E ancora, più la tristezza si allarga e i confini si indeboliscono, più si recita un personaggio diverso da sé. In tal modo l’insicurezza di fondo aumenta.

Come potrebbe “salvarsi” un istrionico? Beh, facendo un saldo integrativo riconoscendo l’altro come persona, nella sua individualità con le proprie caratteristiche e aspettative, al di là del ruolo di pubblico di cui è investito.

Ciò avviene attraverso crisi depressive ed elaborazioni del lutto connesse alla mancanza di amore, quindi facendo pace con la parte “brutta” di se stesso, ma autentica e non fatua.

L’istrionico ama la sua immagine, e guarisce quando comincia ad amarsi, apprezzarsi come persona, abbandonando l’amore per il suo riflesso: deve vedersi per quello che è realmente incontrando e apprezzando la propria autenticità: il se stesso negletto e non apprezzato. Solo se impara ad amare il vero sé può amare gli altri. 

Sono un istrione!

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DISTURBO ISTRIONICO DI PERSONALITA’ – AMORE & RELAZIONI SENTIMENTALI 

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

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