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Sull’ingiustizia di Amartya Sen (2013) – Recensione

Recensione su Il saggio Sull’ingiustizia (Erickson, 2013) di Amartya Sen, economista e filosofo indiano e premio Nobel per l’economia nel 1998.

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 17 Set. 2013

RECENSIONE DEL LIBRO:

Sull’ingiustizia

di Amartya Sen

(2013)

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Sull’ingiustizia di Amartya Sen - Recensione

Sì, la politica ha bisogno di emozionarsi, o usando i termini di Sen ha bisogno di “idillio”, al punto da riuscire a ridurre le condizioni che generano ingiustizia partendo dal ragionamento e dall’indignazione, che significano cambiamento.

L’attuale crisi economica che ci sta attanagliando ha drammaticamente acuito le diseguaglianze fino a obbligarci a porre l’attenzione sul concetto di giustizia sociale. Insomma, come costruire uno stato “giusto”? La soluzione potrebbe essere il non perseguire un chimerico sogno di giustizia, ma prevenire ed eliminare le ingiustizie gravi e manifeste partendo dai bisogni del singolo e poi della società.

Tutto questo, arricchito da molte teorie e postulati che partono da Hobbes, Locke, Rousseau, e Kant per arrivare a Smith , Mill, Bentham e Marx, è quanto lega i concetti sviluppati e sviscerati nel saggio Sull’ingiustizia (Erickson, 2013 a cura di Yong-June Park) di Amartya Sen, economista e filosofo indiano di fama internazionale e premio Nobel per l’economia nel 1998.

Nulla è mai tanto acutamente percepito e sentito quanto l’ingiustizia”, si legge nel saggio citando  Dickens, soprattutto in questi giorni in cui la moneta sembra muovere la felicità della gente. Ed è proprio l’emozione che manca ai più e alla politica. Sì, la politica ha bisogno di emozionarsi, o usando i termini di Sen ha bisogno di “idillio”, al punto da riuscire a ridurre le condizioni che generano ingiustizia partendo dal ragionamento e dall’indignazione, che significano cambiamento.

Infatti, proprio dalla discussione politica possono emergere delle soluzioni relative ai modi in cui la giustizia può essere migliorata, muovendo da una realtà concreta e centrata sulle persone per ottenere scelte collettive giuste, o meno ingiuste, avvalendosi dell’esperienza e dell’osservazione. Questo cambiamento di prospettiva renderebbe possibile affrontare anche problemi di grande portata come le crisi economiche globali, lo sviluppo sostenibile, il terrorismo, le pandemie, i diritti umani.

Si cerca di ottenere una giustizia comparativa e non astratta dove la dimensione relazionale ha la meglio sull’utilitarismo, dove sono valorizzate le preferenze individuali e la loro pluralità, eleggendo il confronto pubblico come loro spazio di dialogo.

Possiamo comprendere la gravità della crisi globale in corso solo se esaminiamo quel che sta accadendo alla vita reale degli esseri umani, specialmente alle persone meno privilegiate, al loro benessere e alla loro libertà di vivere vite umane dignitose. Non possiamo cogliere la gravità dei problemi che si trovano ad affrontare limitandoci a considerare il PIL e altri indicatori che descrivono le condizioni economiche della libertà umana invece della libertà umana in se stessa: la sua portata e tangibilità, e naturalmente la sua deprivazione e il suo declino”.

L’innovazione, dunque, consiste nel procedere dal singolo per arrivare al globale, partire dalla base, dalle fondamenta, per ri-costruire la società. Il ruolo del ragionamento pubblico globale è sempre più importante nel nostro mondo così interdipendente, ed è fondamentale per la costruzione di una democrazia globale, anche se non si riesce sempre a riconoscerne l’importanza e la rilevanza, ma sono concetti che possono fare la differenza.

LEGGI:

SOCIETA’ & ANTROPOLOGIA – LETTERATURAFILOSOFIA & PSICOLOGIA

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THE SELF ILLUSION: SIAMO DAVVERO SOLO UNA MASSA DI ATOMI?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

 

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