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Accordo Prematrimoniale: Controllo o Tutela?

Accordo Prematrimoniale: differenze tra Italia e USA e riflessioni sull'impatto psicologico di tale procedura.

Di Andrea Bassanini

Pubblicato il 13 Feb. 2013

Martina Rinaudo, Dottoressa in Giurisprudenza abilitata al patrocinio (Ordine degli Avvocati di Milano)

Andrea Bassanini

Accordi Prematromoniali. Immagine: © kanvag - Fotolia.com

Accordo Prematrimoniale: differenze tra Italia e USA e riflessioni sull’impatto psicologico di tale procedura.

Quante volte ci è capitato di vedere, nell’ennesima commedia romantica americana, i due promessi sposi alle prese con il contratto prematrimoniale e, la maggior parte delle volte, con la difficoltà, da parte di chi lo proponeva, di farlo accettare al partner che lo interpretava quale segnale di un’incolmabile assenza di fiducia nei propri confronti?

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Ma mentre negli Stati Uniti l’ accordo prematrimoniale (prenuptial agreement), quale vero e proprio accordo che vada a determinare ogni aspetto della vita economica dei coniugi in caso di divorzio, compreso l’ammontare dell’assegno di mantenimento da parte di uno dei due in favore dell’altro, è altamente diffuso, specie nel caso in cui i coniugi godano di un certo reddito e di un conseguente alto tenore di vita, in Italia è impossibile imbattersi in una di queste fattispecie. In nostro ordinamento, infatti, vieta esplicitamente questo tipo di accordi. Colpisce molto e, da un punto di vista specificamente psicologico, sembra che l’ accordo prematrimoniale abbia a che fare con un mix di credenze  (legate ad una sempre maggiore intolleranza dell’incerto e a pretese irrealistiche di pre-visione delle situazioni future) e di un genuino senso della tutela personale.

E forse, a rifletterci bene, necessita anche (e questo è un paradosso interessante…) di grande fiducia tra i partner.

Proviamo a pensarci: proponiamo al partner un accordo prematrimoniale; lei/lui, quali messaggi potrebbe leggere in questa proposta? sfiducia? paura? potrebbe sospettare qualcosa? potrebbe iniziare a sviluppare paranoie sui comportamenti del partner? oppure, se è stato concordato, tutto procede in una cornice cooperativa, di accordo e fiducia della solida coppia… Però, forse il/la partner leggerebbe nella proposta messaggi coerenti e vicini alle intenzioni dell’altro a condizione che vi fosse una genuina, funzionale e sana comunicazione tra i partner che è ed è stata alla base della scelta congiunta di convolare a nozze? E non è forse proprio in questa situazione che l’ accordo prematrimoniale perde di necessità? E allora dove nasce il bisogno di un accordo matrimoniale se non in quelle situazioni di coppia in cui l’oggetto (l’ accordo prematromoniale) e le motivazioni dei soggetti sono dovute alla presenza degli stessi circoli viziosi disfunzionali di coppia basati sulla sfiducia, sulla competizione e sulla paura?

Sarebbe importante discuterne… 

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All’interno del Codice Civile è presente un’elencazione di diritti e doveri che scaturiscono dal matrimonio in capo ai coniugi: si parte dall’obbligo di fedeltà reciproca, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia, sino al dovere di coabitazione sotto lo stesso tetto.

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Come corollario, il legislatore ha stabilito espressamente che tali diritti e doveri non possano essere in alcun modo derogati (art. 160 Cod. Civ.).

Un orientamento ormai tradizionale della Corte di Cassazione ha inoltre statuito l’invalidità degli accordi economici che riguardino il futuro assegno di divorzio, poichè tale assegno costituisce un diritto non disponibile dal titolare stesso in quanto ha natura prevalentemente alimentare, il che significa che trova il proprio fondamento nel principio di solidarietà che impone, al familiare più prossimo, di assicurare a chi versa in stato di bisogno i mezzi necessari alla sussistenza.

Una seconda motivazione viene ravvisata nel rilievo che il contratto prematrimoniale avesse una causa illecita, poichè limitante della libertà di difendersi all’interno del futuro procedimento giudiziale di divorzio, comportando la rinuncia a un diritto futuro, che non esiste ancora ma che sorgerà in seguito alla pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (si parla di scioglimento in caso il matrimonio sia stato celebrato unicamente con rito civile, mentre si addiviene alla cessazione degli effetti civili quando il matrimonio è stato celebrato con rito religioso). Ancora una volta, l’immagine che potrebbe saltare alla mente è un ring, un arbitro che spiega le regole del gioco e i colpi non permessi e i due contendenti ognuno al proprio angolo, saltellando per prepararsi a mantenere alta la guardia. Il tutto farcito e sostenuto dalla consapevolezza che le regole e un arbitro tutelino e proteggano entrambi in contendenti dalle scorrettezze…

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Una recentissima sentenza della Suprema Corte (n. 23713 del 21.12.2012) ha però aperto un piccolissimo spiraglio in questo muro invalicabile creato dalle precedenti sentenze.

Il caso esaminato riguardava un accordo prematrimoniale stipulato tra due coniugi prima del matrimonio, con il quale si era previsto che, in caso di separazione o divorzio, la moglie avrebbe ceduto al marito un immobile di sua proprietà, quale contropartita per la ristrutturazione, operata dallo stesso, della casa familiare, di esclusiva proprietà della moglie; per contro, il marito avrebbe trasferito alla moglie un titolo BOT. Mentre il Tribunale rigettò la domanda del marito di farsi trasferire l’immobile, la Corte d’Appello dichiarò che l’ accordo prematrimoniale doveva considerarsi valido ed efficace.

 La Cassazione si allinea a quanto deciso in Appello, statuendo che il carattere indisponibile dei diritti dei coniugi deriva dalla necessità di tutelare il coniuge economicamente più debole, mentre nel caso in oggetto non vi sarebbe un coniuge più debole dell’altro da tutelare, dato che non era stato previsto alcun contributo al mantenimento e che le prestazioni previste dal contratto potevano considerarsi proporzionate tra loro.

Occorre porre attenzione sul rilievo che la Corte non inquadra tale accordo sottoscritto come un contratto prematrimoniale inteso all’americana, ma lo identifica come un patto che esprime l’autonomia negoziale delle parti, quale spazio di libertà in cui i soggetti possono regolare da sè i propri interessi, per mezzo dello strumento contrattuale.

In definitiva, questa sentenza non modifica l’orientamento giurisprudenziale, ma riconosce sicuramente che, ove non ci sia una rilevante disparità tra le condizioni economiche dei coniugi e purchè le prestazioni previste in capo ai due non siano tra loro sproporzionate, marito e moglie possano determinare in via preventiva come risolvere le questioni economiche, senza rimandare ogni determinazione alla sede processuale.

Insomma, sembra che quando si parla di matrimoni, l’indicazione “il controllo non è la soluzione bensì il problema” non sia ancora stata digerita… forse in Italia un po’ di più. 

 

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Psicologo - Spec. in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale

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