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La chiusura degli Opg: una speranza di civiltà

Nella discussione del decreto-legge sul sovraffollamento delle carceri, il Senato ha approvato un emendamento che dispone la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (opg) entro il marzo 2013.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 30 Gen. 2012

 

La chiusura degli OPG: una speranza di civiltà. - Immagine: © tribalium81 - Fotolia.com - Nella discussione del decreto-legge sul sovraffollamento delle carceri, il Senato ha approvato un emendamento che dispone la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari entro il marzo 2013. L’iter parlamentare prevede ora il passaggio alla Camera per il via libera definitivo ad un provvedimento che ha già suscitato numerose reazioni, sia per la delicatezza dell’argomento trattato sia per il carattere innovativo di un’azione politica che, nell’epoca intollerabile della casta, si è distinta per competenza, efficacia e chiarezza. La Commissione di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, presieduta dal Senatore democratico Ignazio Marino, ha preso in esame la “Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”, presentata dai Senatori Michele Saccomanno e Daniele Bosone. Tale rapporto ha evidenziato, negli istituti di detenzione psichiatrica italiani:

  • gravi carenze strutturali e igienico-sanitarie ad eccezione dell’Opg di Castiglione delle Stiviere e -in parte- Napoli;
  • un assetto strutturale “totalmente diverso da quello riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani”;
  • una presenza di professionalità mediche specialistiche “globalmente insufficienti in tutti gli Opg rispetto al numero di pazienti in carico”;
  • la messa in atto di contenzioni fisiche e ambientali che “lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della dignità della persona”, e inoltre “la mancanza di puntuale documentazione degli atti contenitivi”.

 

La chiusura dei manicomi criminali - OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) - Immagine: © victor zastol'skiy - Fotolia.com -
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Fra le varie misure proposte dalla Relazione, le più significative sono:

  • elaborare un’organizzazione dell’assistenza sanitaria “conforme ai Piani sanitari regionali della salute mentale delle regioni sede di Opg”, che possa ricondursi “alla legislazione nazionale e alle linee guida nazionali in materia di cura e riabilitazione della patologia mentale”;
  • attuare la normativa già esistente in merito alla creazione di “reparti specifici di osservazione psichiatrica e per minorati psichici […] nell’ambito degli istituti penitenziari ordinari”;
  • realizzare “un più stretto raccordo fra magistratura e servizi psichiatrici territoriali per dare seguito alla giurisprudenza della Corte Costituzionale”. Il rapporto Saccomanno-Bosone sottolinea che “in una psichiatria coerente con le proprie finalità istituzionali non dovrebbero ricercarsi recinzioni più forti nei luoghi di cura e di recupero psicosociale”.

 

L’indagine sugli Opg italiani ha dedicato estrema attenzione alla pratica delle contenzioni, presente in tutte le strutture esclusa quella di Aversa, ritenendola una misura di sicurezza illegittima, ingiustificata e antiterapeutica. Sono state inoltre delineate le “Linee per una riforma legislativa della psichiatria giudiziaria”, che propongono un “ripensamento complessivo dell’istituto della non imputabilità e di tutti i suoi perniciosi corollari”; Saccomanno e Bosone specificano che:

  • la prevenzione, cura e riabilitazione dei pazienti autori di reato devono essere competenza dei Centri di Salute Mentale;
  • la valutazione di pericolosità sociale non è diretta emanazione dell’accertamento di infermità mentale;
  • il proscioglimento penale per infermità psichica implica la nomina di un amministratore di sostegno “con specifico incarico di provvedere alle necessità di cura del paziente”.

 

La Relazione Saccomanno-Bosone, recepita dalla Commissione Marino e rafforzata da un sostegno bipartisan dei gruppi parlamentari, ha ispirato il provvedimento di chiusura degli Opg appena licenziato dal Senato. La nuova norma prevederà l’affidamento ai servizi del territorio per i pazienti giudicati socialmente non pericolosi, e la creazione di strutture alternative per gli altri soggetti. La responsabilità di questa riorganizzazione viene affidata alle singole Regioni, che saranno chiamate a coniugare il superamento degli Opg con il quadro specifico di problematiche e risorse di ciascun territorio. I timori manifestati anche da chi si è sempre schierato per questa conquista di civiltà riguardano il rischio che vengano semplicemente creati degli Opg più piccoli, all’interno dei quali verrebbero mantenute le stesse modalità di non cura e, sovente, di maltrattamento la cui individuazione ha generato il percorso riformista che stiamo descrivendo.

Sono perplessità legittime, peraltro giustificate dalle difficoltà con cui un altro storico provvedimento, la chiusura delle case manicomiali, venne attuato sul territorio. La chiusura degli Opg, che riguarderà circa 1400 pazienti, può avvalersi però di due fattori rilevanti: la definizione di una data precisa, l’1 marzo 2013, entro la quale le Regioni dovranno aver approntato e concretamente realizzato il progetto di riorganizzazione delle risorse sanitarie; il reperimento di fondi certi, già illustrato in Senato, per dare attuazione al provvedimento sia sul piano delle strutture da creare sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle necessarie figure professionali. Superare gli Opg è un passo dovuto se vogliamo accedere ad una forma di convivenza civile più evoluta; non è pensabile che in un Paese dove spesso per i “sani” garantismo significa impunità, dove i “sani” possono eludere una pena adducendo malesseri fisici non meglio identificati, esista una categoria, quella dei “folli” – come l’immaginario umano li ha storicamente definiti per difendersi dalle ombre che possono appartenere a tutti -, di fronte alla quale valgono solo le regole del cinismo, di uno Stato che non perdona e non recupera. Superare gli Opg significa credere nella democrazia più difficile e più scomoda, che riconosce dignità umana anche a chi non ha il potere, la forza e il prestigio sociale necessari a far valere i propri bisogni.

 

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