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NEURO-PSICOTERAPEUTI: la naturale evoluzione?

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 03 Nov. 2011

Neuroscienze e psicoterapia tra sacro e profano

Neuroscienze - © Ben Chams - Fotolia.com“Un’importante differenza tra chi pensa che l’intelligenza sia flessibile e chi pensa che sia cristallizzata sta nel modo in cui reagiscono agli errori!”, sostiene Jason S. Moser dell’Università del Michigan.

In altre parole chi pensa di poter imparare dai propri errori avrebbe un’attivazione neurale differente, rispetto a chi pensa che l’intelligenza sia fissa e immodificabile, questo quello che l’autore pubblicherà sul prossimo numero di Psychological Science.

In questo periodo di timori che la macchina delle neuroscienze investa mortalmente le psicoterapie ad una velocità sfrenata (per quanto cognitive siano!), mi colpisce l’esito di questa ricerca che sembra riportare l’attenzione sul legame tra attivazione neurale e credenze disfunzionali, a favore di un intervento su queste ultime, inequivocabile campo d’azione di noi psicoterapeuti.

Numerosi studi hanno evidenziato che le credenze principali di chi pensa che l’intelligenza sia flessibile siano “Quando le cose diventano difficili, mi impegno di più per affrontarle!”, “Se commetto errori, cerco di imparare e risolvere la situazione”. Al contrario, le persone che pensano di non poter fare meglio non credono che si possa imparare dai propri errori.

L’esperimento condotto da Moser e colleghi, prevede l’utilizzo di un compito in cui sia molto facile commettere errori: è richiesto ai partecipanti di identificare la lettera centrale in una stringa di 5 lettere (ed es: “MMMMM” oppure “NNMNN”), mentre viene registrata in continuum la loro attività neurale. I ricercatori parlano di due segnali differenti che il cervello invia quando viene commesso un errore: un primo segnale che chiamano “oh crap response” – che indicherebbe (chiarissimamente!) che qualcosa sta andando storto – e un secondo segnale legato ad una elaborazione più consapevole dell’errore, subito seguita dal tentativo di rimediare. Entrambi gli eventi si verificherebbero entro un quarto di secondo dall’errore!

Dall’attività registrata i ricercatori si propongono di prevedere quali soggetti siano più inclini a pensare di poter imparare dagli errori e quali no.

I risultati hanno mostrato come i soggetti con attitudine ad imparare dagli errori, migliorino la loro performance a seguito dello sbaglio – in altre parole, l’attività corticale si riduce più rapidamente dopo la “oh crap’ response” – e mostrano invece un secondo segnale maggiore rispetto ai soggetti meno inclini ad imparare dagli errori, che sembra legato, secondo Moser, ad un pensiero del tipo “Mi sono accorto di aver fatto un errore, ora farò più attenzione!”. Le conclusioni degli autori confermano che Il cervello di chi pensa di poter imparare dai propri sbagli è sintonizzato su una maggiore attenzione agli errori e quindi più capace di migliorare. I ricercatori propongono infine la possibilità di “allenare” le persone alla credenza che possano lavorare più duramente e imparare di più, mostrando loro come il loro cervello possa reagire agli errori.

Più che i risultati in sé, per i quali attendiamo la pubblicazione ufficiale sulla rivista, l’aspetto che può risultare illuminante per gli psicoterapeuti è la possibilità introdurre nella pratica clinica metodologie e strumenti che possano misurare l’impatto delle nuove credenze modificate in terapia non solo attraverso la nostra valutazione clinica, ma perché no, anche attraverso la misurazione dell’attività cerebrale!

Senza bisogno di diventare freddi cyber-psicologi in un futuro alla Philip K. Dick, credo sarebbe utile rispondere alla velocità con cui lavorano le neuroscienze, iniziando a guardare con una maggiore curiosità e minor timore all’introduzione di nuove tecniche nell’assessment e nei follow up delle nostre terapie.

Non vorrei mai che ci affezionassimo troppo al setting terapeutico tradizionale!

 

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