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L’importanza delle parolacce: Anche Francesco le diceva (2016) di N. Fioretti – Recensione

Un libro sull'importanza sociolinguistica del turpiloquio e delle sue due funzioni: quella espletiva e quella abituale.

Di Eleonora Natalini

Pubblicato il 23 Giu. 2016

Sostenitrice di un lessico meno controllato, scelgo di leggermi ‘Anche Francesco le diceva‘ di Natale Fioretto, per avere la conferma dell’importanza sociolinguistica che le parolacce e il turpiloquio possiedono.

 

Ho passato ore della mia adolescenza sui volumi dell’enciclopedia Utet che possedevano i miei nonni. Quei libri, così grandi rispetto alla mia fisicità, mi facevano immaginare di essere in un film d’avventura sul punto di svelare un grande mistero.

Tra i tanti tomi, mia nonna ne aveva acquistato uno piuttosto curioso dal titolo ‘Dizionario del lessico amoroso. Metafore, eufemismi e trivialismi‘. Presa dal mio spirito romantico un giorno lo sfogliai e capii che di romantico c’era ben poco! Termini molto forti si susseguivano nelle numerose pagine costringendomi a chiuderlo subito e riporlo nella libreria nel timore di essere sorpresa in flagrante… cosa avrebbero pensato di me?

Oggi invece, sostenitrice di un lessico meno controllato, scelgo di leggermi ‘Anche Francesco le diceva‘ di Natale Fioretto, per avere la conferma dell’importanza sociolinguistica che le parolacce e il turpiloquio possiedono. L’autore infatti afferma:

Siamo erroneamente portati a pensare che il turpiloquio tolga pregio ed efficacia alla comunicazione, ma da un punto di vista squisitamente linguistico i termini “turpi” non inficiano la comunicazione, semmai la arricchiscono di connotazioni di varia pregnanza provocando risposte di tipo neurologico e psicosociale.

Fioretto evidenzia la carica emotiva che l’emittente esprime utilizzando un linguaggio scurrile. Percepiamo chiaramente i sentimenti e le passioni, e l’ascolto di determinate parole volgari ci svela inoltre la partecipazione fisica dell’interlocutore come l’accelerazione del battito cardiaco quando si è arrabbiati o eccitati.

Interessante la riflessione in ambito politico partendo dal presupposto che una lingua improntata alla spontaneità riflette l’aspetto sincero e autentico di chi si esprime. Arma a doppio taglio però mi viene da pensare… preferiamo un politico che sappia controllare la sua emotività come il caso di Vincenzo De Luca, oppure chi si fa prendere da un facile cameratismo come Silvio Berlusconi? Difficile come scelta, ma ora sappiamo per certo che sono strategie comunicative altamente studiate. Scrivo nei giorni seguenti le elezioni amministrative (andremo al ballottaggio), i 5 stelle hanno raggiunto buoni risultati… Merito del Vaffa-Day di Grillo?

Fioretto tocca anche il tema complesso della religione riportando parole scurrili uscite dalla bocca di Martin Lutero ed espressioni scatologiche di Francesco D’Assisi. Era lui che le diceva ed ovviamente contro il demonio. Seguendo le orme del santo umbro il nostro attuale Francesco le dirà?

L’autore riporta che l’utilizzo di ‘male parole’ può svolgere diverse funzioni tra le quali ad esempio quella espletiva o quella abituale. Nella prima esprimiamo impulsivamente l’emozione che stiamo provando del tipo ‘che figata!‘, in quella abituale inseriamo le parolacce nel lessico comune desemantizzandone il significato come il termine ‘casino‘.

Alla fine della sua trattazione Fioretto pone l’accento sulla necessità di inserire questo tipo di linguaggio nel processo di apprendimento di una lingua. Questo forse è utile se non siamo ancora arrivati nel paese straniero perché in realtà le parolacce sono le prime cose che apprendiamo, le prime parole che gli autoctoni che ci vogliono bene ci spiegano e ci dicono di imparare. Conoscere il turpiloquio del posto che ci ospita non ci pone in una totale sottomissione nei confronti dell’altro: se tu mi sorridi e nel mentre mi stai insultando io so di non potermi fidare di te. Mi chiedo inoltre… Apprenderle in un ambito educativo ne legittima poi l’uso tanto da non vedere poi il turpiloquio come la pecora nera del linguaggio? Questo sì che sarebbe interessante capire.

Al termine della lettura si è vogliosi di sapere ancora. Se l’intenzione di Fioretto era quella di portare il lettore ad una propria riflessione e ad una ricerca più approfondita sul tema credo ci sia riuscito in pieno. Incuriosita e più consapevole me ne torno in salotto a sfogliarmi il ‘volume della vergogna’ lasciatomi in eredità dai miei nonni.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Fioretto, N. (2016). Anche Francesco le diceva. Graphe.it Edizioni
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