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Fattori di mantenimento interpersonali nei disturbi del comportamento alimentare: il ruolo della famiglia

Il coinvolgimento della famiglia nel trattamento dei disturbi alimentari sembra potenziare il buon esito del trattamento e il mantenimento dei risultati.

Di Eleonora Zoppi

Pubblicato il 31 Ago. 2015

Aggiornato il 28 Ott. 2015 09:24

 

Nel corso della mia esperienza clinica con le persone affette dai disturbi del comportamento alimentare, ho sviluppato la convinzione sempre più marcata della necessità di coinvolgere il sistema familiare. Tale coinvolgimento sembra potenziare il buon esito dell’intervento terapeutico, migliorando la qualità della vita sia per chi soffre che per tutti gli altri membri della famiglia e il mantenimento nel tempo dei risultati raggiunti (Treasure e coll., 2007).

Il disturbo del comportamento alimentare, per la complessità che lo caratterizza, la difficoltà del trattamento e la delicatezza degli aspetti personali, relazionali e sociali che coinvolge, necessita di un intervento in équipe multidisciplinare che possa coinvolgere in modo significativo le figure di riferimento oltre che il portatore del sintomo. Così facendo sarà possibile creare una rete di sostegno attorno alla persona in difficoltà e tra le figure che la prendono in carico.

Spesso sono gli stessi familiari che mi contattano per avere informazioni, conoscere, capire cosa sia un disturbo del comportamento alimentare tanto familiare per chi se ne occupa, oscuro e sconcertante per chi, non addetto ai lavori, si trova d’improvviso a farlo entrare nel proprio mondo.
Spiego che il loro ruolo è fondamentale, poiché la persona (spesso adolescente o giovane adulta) e il disagio che riporta, richiedono necessariamente una messa in gioco e un adattamento del sistema familiare in cui vivono.

Inoltre, la famiglia presenta una duplice potenzialità: se coinvolta e valorizzata può diventare o ritornare ad essere una risorsa estremamente preziosa, se lasciata ai margini può contribuire al mantenimento del disturbo in quanto molto spesso ciò che si fa per tentare di ridurre i sintomi produce l’effetto contrario (Treasure e coll., 2008). I sintomi dei disturbi del comportamento alimentare possono avere delle profonde implicazioni sociali ed emotive per le figure di accudimento. I sintomi variano per forma ed impatto, spaventano e sono frustranti ed intrusivi. Ogni parvenza di “normalità” scompare.

Janet Treasure e coll. (2008), in un interessante articolo, propongono una lista di caratteristiche e/o di reazioni presenti nei caregiver e in chi circonda la persona con disturbo del comportamento alimentare che possono contribuire al mantenimento del problema e che, quindi, vanno tenute in debita considerazione nell’intervento terapeutico.

– Rigidità e preoccupazione per i dettagli. Interferiscono nella possibilità di creare nuove forme di comportamento. Non consentono l’apertura ad una visione d’insieme, ma rinforzano l’attenzione su aspetti specifici, tipici della patologia.

– Emozionalità espressa: criticismo, ostilità ed eccessivo protezionismo. Non consentono alla persona di sviluppare in autonomia le proprie capacità e propensioni e di affrontare le sfide della vita. Un buon esito della terapia è connesso all’attivazione di un percorso terapeutico familiare parallelo a quello della persona con disturbo del comportamento alimentare.

Colpa, vergogna e stigma. Possono contribuire alla chiusura e all’isolamento sociale sia della famiglia che della persona ammalata, impedendo il confronto con modalità comportamentali e relazionali più funzionali. Tali atteggiamenti rendono difficile il potersi confrontare e parlare apertamente del problema.

– Mancata comprensione del disturbo del comportamento alimentare. Contribuisce ad appesantire il clima e a complicare le relazioni interpersonali conducendo all’utilizzo di strategie di gestione spesso improprie.

– Comportamento accomodante nei confronti della malattia. Spesso per paura di peggiorare la relazione, di accrescere l’ostilità ed evitare conseguenze peggiori, i familiari consentono alle regole del disturbo del comportamento alimentare di prendere il sopravvento regolamentando la quotidianità. Questo è forse uno dei fattori di mantenimento più potenti in quanto consente alla patologia di predominare e prosperare.

Accudire una persona cara con un disturbo alimentare è un compito difficile.
Secondo il modello di intervento proposto da Treasure e coll. (2008) lo scopo del coinvolgimento delle figure di riferimento è quello di renderli “allenatori” in grado di incoraggiare e supportare la persona, aiutandola a liberarsi dalle trappole in cui è imprigionata. I familiari della persona malata entrano, quindi, a pieno titolo nel percorso terapeutico. In questo modo sarà possibile costruire la continuità e la coerenza dell’intervento, necessari per un sostegno efficace.

L’intervento è volto a fornire strategie per poter migliorare le loro personali reazioni alla malattia e fronteggiare le difficoltà in modo funzionale, evitando di raggiungere livelli di stress troppo elevati.

Viene fornito un modello di comprensione e analisi del disturbo del comportamento alimentare, con particolare attenzione alla presenza e al ruolo dei fattori di mantenimento sopracitati. La presenza di “controllo” ed “emotività espressa” e le possibili combinazioni di queste due variabili, forniscono importanti informazioni circa gli stili di accudimento, che secondo gli autori rivestono un ruolo fondamentale.

Vengono presentati due stili di accudimento funzionali cui aspirare, adottando analogie dal regno animale per renderli più comprensibili ed applicabili (Treasure e coll., 2007):
– Il “delfino” presenta la giusta quantità di accadimento e controllo. È in grado di sospingere dolcemente verso la “salvezza”, a volte nuotando davanti e mostrando la strada, altre volte nuotando a fianco ed incoraggiando, oppure nuotando tranquillamente dietro.
– Il San Bernardo presenta la giusta quantità di compassione e coerenza. È calmo e padrone di sé, anche nelle situazioni più pericolose. Si dedica al benessere e alla sicurezza delle persone che si perdono. Una risposta di accudimento ottimale corrisponde ad un atteggiamento di calma, calore e compassione. Diventare modelli di calma e compassione aiuterà chi soffre a prendersi maggiormente cura di se stesso come importante passo verso il cambiamento.

Si lavora, inoltre, sulle rigidità e sui comportamenti estremi, sulla comprensione del “trasferimento” agli altri membri della famiglia di una elevata emotività espressa, in modo tale che ognuno possa migliorare le proprie capacità di regolazione emotiva.
Si forniscono strumenti per una comunicazione aperta, chiara ed efficace che possa consentire ad ognuno di poter esprimere adeguatamente il proprio vissuto senza colpevolizzare, ma attraverso l’accoglienza dell’altro.
Infine, si cerca di attivare o creare attorno alla persona e alla famiglia una rete sociale supportiva in questo delicato e lungo percorso (Treasure e coll. 2008).

 

 

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