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La simulazione di patologia in ambito giuridico – Psicologia

Simulazione: Simulare e dissimulare come due facce di una realtà, due processi che compromettono il nucleo significativo della relazione medico-paziente.

Di Cristina Fratini

Pubblicato il 23 Apr. 2014

Aggiornato il 08 Set. 2014 14:56

Cristina Fratini

 

 

La simulazione di patologia in ambito giuridico. -Immagine: © ra2 studio - Fotolia.comSimulare e dissimulare come due facce di una realtà nascosta e unica, due processi che compromettono il nucleo significativo della relazione medico-paziente.

Mettere in scena una malattia mentale, mostrare in modo esagerato dei sintomi psichici, fingere di non avere problemi quando invece si è afflitti da una condizione morbosa a carattere psichiatrico, sono tutti comportamenti accomunati dal fatto che il soggetto che li mette in atto, riferisce una menzogna rispetto alla malattia presentata, con motivazioni e finalità che possono essere completamente differenti.

La possibilità che un paziente manifesti un quadro clinico che non ha un’effettiva corrispondenza con la sua realtà psicologica, oppure presenti dei sintomi che non corrispondono alla sua esperienza sensoriale, è certamente più frequente di quanto il clinico ritenga di solito.

Il problema della simulazione va ben al di là del fenomeno in sé e per sé considerato e investe il nucleo significativo della relazione medico-paziente: il contratto basato su un rapporto di reciproca fiducia.

In un setting valutativo come quello peritale è normale che il periziando/vittima/convenuto faccia il suo gioco autotutelante e cerchi di ottenere il massimo vantaggio con il minimo rischio. Simulare una malattia psichiatrica è azione dai molti risvolti positivi per l’interessato: in ambito penale, non dover rispondere agli interrogatori; non dover partecipare al processo; invalidare la credibilità di testimonianze; godere di trasferimenti in reparti clinici o psichiatrici o di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere; vedersi riconosciuto un vizio di mente al momento del fatto e via dicendo.

In ambito civile i vantaggi possono essere il vedersi riconosciuto un danno biologico di natura psichica a varia genesi e dinamica; ottenere una pensione; godere di un favorevole riconoscimento del danno e via discorrendo. Porre un’ipotesi di simulazione crea facilmente una condizione di conflitto tale da far precipitare la relazione medico-paziente. Da questa situazione si generano le innumerevoli difficoltà che s’incontrano, sia sotto il profilo medico-legale sia sotto il profilo prettamente psichiatrico, quando ci si trova nella condizione di dovere differenziare una patologia vera da una patologia simulata (Ferracuti S., Parisi L. & Coppotelli A., 2007).

L’analisi psicopatologica è l’unica che può dimostrare se è per lo meno lecito dubitare del “significato di malattia” e discriminare i veri malati da quelli che tali non sono (Fornari, 2011). Una definizione di simulazione che tutt’oggi può essere ritenuta valida a livello operativo è quella di Callieri e Semerari (1959): “un processo psicologico caratterizzato dalla decisione cosciente di riprodurre, imitandoli, sintomi patologici, e di mantenere tale imitazione per un tempo più o meno lungo e con l’aiuto di uno sforzo continuo fino al conseguimento dello scopo, quando il simulatore non si renda conto dell’inutilità del suo atteggiamento”.

Il concetto di simulazione porta con sè il tema della dissimulazione in cui chi mente nasconde, minimizza certe informazioni senza dire effettivamente nulla di falso, fa trasparire solo in parte la propria sofferenza e i segni della malattia.

Come afferma Bruno (2000): “simulare e dissimulare possono essere considerati due facce di una realtà nascosta e unica, due soci che sono tutt’uno come la patologia e il benessere. Negare la realtà e affermare i desideri: non sempre illegale è la simulazione. Ottenere un beneficio e conservare un ruolo: non sempre immorale è la simulazione. Divenire quello che non si è, o che si pensa di non essere”.

Da un punto di vista pratico le difficoltà sono legate alla varietà di tipologie cliniche di simulazione messe in atto dal soggetto. Verranno di seguito elencate le patologie che maggiormente vengono simulate senza però entrare nello specifico dei comportamenti che il simulatore mette in atto.

La simulazione di schizofrenia è rara e la si osserva in contesti psichiatrico-forensi a carattere penale, di solito per reati gravi e ci si riferisce al simulatore cosciente, ossia alla persona che in piena lucidità attua una serie di comportamenti e riferisce dei sintomi che hanno come scopo quello di accreditare la presenza di una schizofrenia. Le motivazioni sono varie: valutazione di pericolosità sociale e, in ambito civile, evitare licenziamenti, cambi di ruolo lavorativo, mobbing. Molto frequente è la dissimulazione nei procedimenti di adozione o affidamento dei minori.

La sindrome di Ganser: stato crepuscolare isterico durante il quale il detenuto cerca di recitare la parte del malato di mente, in conformità con quello che egli ritiene essere la malattia mentale.

I quadri depressivi sono simulati per finalità medico-legali che rientrano prevalentemente nella possibilità di ottenere un beneficio in relazione alla detenzione o al riconoscimento di un danno biologico. In sedi civilistiche si osserva anche la dissimulazione di condizioni depressive in corso di perizie di affidamento di minori da parte di uno dei genitori.

La simulazione di amnesia la troviamo molto spesso negli indagati o imputati di fatti di sangue che affermano di essere amnesici del fatto oppure nei casi di valutazioni di danno biologico a seguito di traumi. 

Il Disturbo Post-traumatico da Stress è simulato maggiormente per ragioni economiche. I sintomi principali sono ben conosciuti per la loro frequente rappresentazione attraverso i media e sono facilmente simulabili perché non verificabili.

I disturbi fittizzi e la sindrome di Munchausen sono condizioni cliniche non direttamente determinate da agenti patogeni esterni o processi degenerativi interni; questi pazienti “scelgono” di rendersi malati per una “necessità psicologica” che appare slegata dall’idea di ottenere da tale scelta vantaggi materiali riconoscibili.

In conclusione, si evidenzia come la simulazione di patologia sia un campo che a tutt’oggi necessita di approfondimenti poichè ricco di fenomeni che non consentono una facile soluzione e che richiedono necessariamente l’interazione di diversi punti di vista. Alla luce di tutto ciò appare idonea la frase di Lunghi “il limite della simulazione è l’immaginazione umana”.

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Cristina Fratini
Cristina Fratini

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.Specializzata in Psicologia dell’Età Evolutiva. Perfezionata in Psicologia Forense.

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