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Le psicoterapie che non funzionano: il punto di vista della ricerca empirica

Cosa accade quando le psicoterapie non sono efficaci o sono addirittura dannose? Queste domande hanno una rilevanza scientifica ed etica da non trascurare..

Di Alessia Zoppi, Stefano Blasi

Pubblicato il 27 Ott. 2011

Aggiornato il 17 Mar. 2015 09:51

Che cosa accade quando le psicoterapie non sono efficaci o sono addirittura dannose? Queste domande hanno una rilevanza scientifica ed etica da non trascurare. 

Psychoterapy - © Athanasia Nomikou - Fotolia.comNegli ultimi cinquant’anni la ricerca in psicoterapia ha compiuto grandi progressi nell’identificare i fattori di processo e di esito che sono associati al cambiamento e che favoriscano un outcome positivo in terapia. È stata dimostrata un’efficacia generale nell’esito delle psicoterapie che si attesta attorno al 60%. Ma viene da chiedersi: cosa ipoteticamente accade al restante 40% del campione che non rientra all’interno della categoria delle terapie efficaci?

Che cosa accade quando le psicoterapie non sono efficaci o sono addirittura dannose? Queste domande hanno una rilevanza scientifica ed etica da non trascurare.

La letteratura scientifica si è focalizzata parzialmente sull’aspetto dell’inefficacia o della dannosità della terapia. I risultati positivi dell’esito delle terapie hanno spesso offuscato quelli negativi, che, seppur meno rilevanti, sono comunque presenti. Questo atteggiamento, più attento a confermare l’efficacia delle terapie che a comprenderne i limiti, ha lasciato una zona d’ombra su un aspetto che è in realtà molto più significativo di quanto si pensi. In una recente ricerca Boisvert e Faust (2002) sostengono che mediamente i pazienti in terapia vanno incontro nel 3-10% dei casi a peggioramento con ricadute gravi e irrimediabili per il paziente stesso.

Quindi non solo le psicoterapie possono essere inefficaci, ma talvolta possono far peggiorare e danneggiare un paziente. Questo fenomeno meriterebbe una certa attenzione, sia trovando maggiore spazio nella letteratura specialistica sia stimolando nuove ricerche empiriche.

Un articolo particolarmente pregevole è quello scritto da Barlow nel 2010. L’autore presenta una revisione della letteratura degli ultimi 40 anni in merito agli effetti negativi dovuti a trattamento psicologico e all’atteggiamento dei ricercatori rispetto a questo fenomeno. L’attenzione dell’autore è posta sul problema della pericolosità e del rischio iatrogeno insito in alcuni processi terapeutici o nelle tecniche usate in questi processi.

In primo luogo l’autore si sofferma sul problema inerente la chiarezza concettuale: la difficoltà di definire una terapia negativa. Per un clinico di un modello terapeutico, infatti, potrebbe essere negativo un effetto non considerato tale da un clinico di un altro modello. Questo problema riguarda sia gli obiettivi terapeutici, sia la tecnica specifica sia il modello teorico a cui il clinico appartiene. Per definire in generale cosa sia considerato un effetto terapeutico negativo, Barlow parte dalla definizione del problema proposta negli anni ’60 da Bergin.

L’autore coniò il termine deterioration con cui si designava il processo di “scadimento” psicologico nel paziente a seguito di una terapia. Egli partì dalla posizione provocatoria di Eysenck, che nel 1952 aveva sostenuto la generale inefficacia della terapia. Bergin dimostrò la presenza del fenomeno dopo un’ampia revisione meta-analitica di alcuni dei risultati terapeutici ed evidenziò il fenomeno in un campione clinico in psicoterapia rispetto ad uno di controllo, in una valutazione pre e post-trattamento (Fig.1).

Figura 1 - Bergin: Deterioration

Fig.1: L’effetto del Fenomeno di Deterioramento in due campioni (M1: campione di controllo; M2: campione clinico) nella fase pre e post trattamento in una valutazione di outcome terapeutico (Barlow, 2010 p.15).

Secondo Barlow, negli ultimi anni, si è assistito a un rinnovato interesse rispetto allo studio del problema, determinato da alcuni cambiamenti concettuali e metodologici nel campo della psicologia:

  • Alcuni autori hanno effettuato delle attente disamine del problema;
  • La possibilità di impiegare nelle ricerche metodi più sofisticati sia quantitativi che qualitativi;
  • Una maggiore attenzione dei clinici stessi al problema;
  • Un maggior dialogo tra i diversi orientamenti teorici;
  • Una più chiara definizione delle procedure terapeutiche da utilizzare rispetto alla specifica psicopatologia del paziente;
  • Infine una politica pubblica attenta ad investire nelle ricerche sulle terapie di dimostrata efficacia, con la creazione di vere e proprie linee guida di trattamento (mettendo quindi in luce, per converso, anche ciò che non funziona).

Uno dei risultati più rilevanti è pervenuto dalla ricerca di Lilienfeld (2007), che analizzando alcuni studi RCT (Randomized Controlled Trial: questo disegno di ricerca è considerato in medicina ed in psicologia in grado di produrre evidenze piuttosto robuste), identifica una lista di trattamenti potenzialmente dannosi (potentially harmful therapies) che sembrano causare danni su certi pazienti. Tra questi possiamo menzionare, ad esempio, il Rebirthing e la Recovered-memory techniques. Questo tipo di studi, con le dovute cautele, può essere importante per informare sia i clinici in formazione sia il grande pubblico rispetto alle psicoterapie che alcuni autori hanno definito “folli” (Singer & Lalich, 1996).

Le ricerche quindi, non solo, hanno confermato la possibilità generale di effetti dannosi nel caso di terapie mal condotte ma soprattutto la presenza di un possibile rischio iatrogeno rispetto a specifiche categorie di pazienti e nell’accoppiata terapia specifica – paziente specifico. I dati, però, in questo senso non sono però ancora abbastanza convincenti.

Un’altra domanda importante concerne il fatto di come sia possibile, consapevoli dell’incidenza di negatività terapeutica, ridurre il rischio di manifestazione del fenomeno. Barlow propone di intervenire precocemente, cercando di cogliere le micro-modificazioni durante il processo di cambiamento per individuare prematuramente il fenomeno di deterioramento e le eventuali cause scatenanti, anche tramite la somministrazione in terapia di questionari auto valutativi del paziente.

Non vi è però ancora chiarezza su quali siano, come si manifestino e come agiscano questi fattori precoci di cambiamento negativo. L’individuazione di questi indici precoci potrebbe giovarsi di ricerche empiriche che poggino su studi approfonditi su singoli soggetti (single-case). Questo tipo di disegno intensivo e non estensivo, secondo l’autore non è importante solo nello studio degli esiti positivi, ma anche per osservare più chiaramente l’emergere di effetti negativi.

Nonostante la proposta di classificazione di indici precoci di deterioramento nel paziente presentata da Barlow sia fondamentale nello studio del fenomeno non è, però, sufficiente ad evitare il rischio iatrogeno insito nelle terapie.

Una prospettiva utile sarebbe quella di indagare empiricamente anche la natura e l’azione degli “errori” del terapeuta che sono associati agli esiti negativi. Ovviamente quando si cerca di comprendere cosa non funziona e perché le ricerche incontrano tutta una serie di reticenze e difficoltà. In merito al tentativo di chiarificazione concettuale e all’identificazione precoce dell’errore in psicoterapia, presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, stiamo portando avanti un progetto di ricerca per l’identificazione di una tassonomia di errori psicoterapeutici.

Lo scopo è identificare una serie di “errori” per poter avere una mappa concettuale che contenga una tassonomia degli errori, i fattori che predispongono all’errore, gli errori legati agli orientamenti teorici di psicoterapia o condivisi da tutti gli orientamenti. La tecnica utilizzata è il CQR di Hill, una metodologia di ricerca qualitativa, basata sull’analisi di trascritti di interviste semistrutturate somministrate ad esperti.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Barlow, D.H. (2010). Negative Effects From Psychological Treatments. A Perspective. American Psychologist, Vol. 65, No. 1, 13–20.
  • Boisvert, C.M. & Faust, D. ( 2002). Iatrogenic symptoms in psychotherapy: A theoretical exploration of the potential impact of labels, language, and belief systems. American Journal of Psychotherapy; 56, 2.
  • Lilienfeld, S. O. (2007). Psychological treatments that cause harm. Perspectives on Psychological Science, 2, 53–70.
  • Singer, M., & Lalich, J. (1996). Crazy therapies: What are they? How do they work? San Francisco: Jossey-Bass. (Tr. It: Psicoterapie folli”, Edizioni Erickson, Trento, 1998).
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