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La verità risiede tra le emozioni della menzogna: analisi Scientifica del Comportamento Ingannevole

Non esistono singoli segnali verbali e non che indichino al 100% che una persona stia mentendo: per rilevare la menzogna è necessario avere diversi indizi %%page%%

Di Redazione

Pubblicato il 04 Nov. 2015

Nicola Schirru

Otello accusò erroneamente sua moglie Desdemona di infedeltà, minacciandola di morte se non avesse confessato il suo tradimento. Desdemona chiese a Cassio, il suo presunto amante, di presentarsi per testimoniare la sua innocenza. Otello però disse di aver già ucciso Cassio per tale affronto! Desdemona, realizzando di non poter più provare la propria innocenza, scoppiò in uno sfogo emotivo piangendo disperata, pianto che Otello interpretò come prova indiscussa della colpevolezza di sua moglie, che quindi uccise!

Mentire è una costante negli esseri umani. Allo stesso tempo, essere sospettosi è un prerequisito necessario per smascherare un bugiardo.

Circa un anno fa si è tenuto in Italia un evento scientifico senza precedenti, organizzato dal Laboratorio di Analisi Comportamentale NeuroComScience. Il Prof. Aldert Vrij (Università di Portsmouth), massimo esperto mondiale in analisi della menzogna e psicologia della testimonianza, ha tenuto un convegno nella Capitale in cui ha presentato le più importanti ricerche presenti in letteratura sulla valutazione della credibilità. Il suo contributo a questa scienza vanta più di 300 tra articoli e manuali con oggetto la comunicazione verbale (parlata e scritta) e non verbale applicata alla lie detection. Consulente per le forze dell’ordine nella conduzione degli interrogatori di testimoni e sospettati, viene invitato in tutto il mondo a congressi e workshop quale massimo esperto in materia, ed è editore della rivista scientifica forense ‘Legal and Criminological Psychology‘.

Nei suoi studi (Vrij, 2008) viene approfondita l’analisi scientifica della comunicazione verbale e non verbale, dimostrando quali siano le relazioni con la valutazione della credibilità. Il principio basilare da cui nascono tutte queste ricerche è quello di allontanarsi dal pregiudizio secondo cui mentire sia sbagliato. L’inganno e la menzogna sono concetti sorprendentemente complicati da definire. Filosofi, sociologi, scienziati cognitivi e numerosi altri studiosi per secoli hanno cercato di chiarirne la natura. Alcuni lo definiscono un fenomeno psicopatologico, una deviazione dalla vera natura di quello che viene considerato un comportamento intelligente, altri semplicemente forma (comportamentale) indispensabile per la sopravvivenza dell’essere umano (Happel, 2005). In generale può essere considerato un atteggiamento machiavellico atto a manipolare le interazioni sociali, indistintamente usato da tutte le categorie, a prescindere dal genere, dall’età, dal mestiere: l’essere umano mente in quanto è nella sua natura farlo, che sia un professore, un killer, un prete, una casalinga, un aborigeno, un astronauta. Nella vita di ogni giorno infatti, la maggior parte delle bugie sono white lies, ovvero bugie a fin di bene, che talvolta possono portare più benefici che problemi, utilizzate quali lubrificante sociale.

Vengono sfatati diversi miti, primo tra cui quello che coloro che dovrebbero essere considerati esperti (es., poliziotti), hanno le stesse probabilità di scovare un bugiardo di una persona non esperta, ovvero il 50%, quindi come lanciare una monetina (Mann e colleghi, 2004). La sola categoria che raggiunge un livello superiore alla media è quella degli agenti segreti. E no, l’orientamento dello sguardo a destra piuttosto che a sinistra (come nel film ‘La regola del sospetto’ di Roger Donaldson) non ha correlazione alcuna con le dichiarazioni più o meno mendaci (Vrij & Lochun, 1997).

Oltremodo, in alcuni Paesi (es., Inghilterra, USA, Israele) vengono utilizzati diversi strumenti considerati utili ai fini del detecting deception (es., Behaviour Analysis Interview; Statement Validity Assessment, SVA; Criteria-Based Content Analysis, CBCA; Reality Monitoring; Voice Stress Analysis, VSA; Thermal Imaging; EEG-P300; Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI; Poligrafo, anche detto Macchina della Verità), ma quasi nessuno di questi potrà essere considerato un vero e proprio naso di pinocchio, anzi. Non esistono singoli segnali verbali e non verbali, singoli comportamenti, che indichino al 100% che una persona stia mentendo (Zuckerman e colleghi, 1981), di conseguenza per rilevare la menzogna non ci si può basare su un solo indizio ma è necessario averne diversi.

Così come diversi sono i modi di mentire di ogni essere umano, e diverso sarà ogni volta il suo grado di motivazione (DePaulo e colleghi, 2003). Anche mentire a se stessi viene considerato un modo per ingannare qualcuno, o in altre parole, proteggere la propria autostima. Questi e tanti altri aspetti sono sempre da considerare nelle fasi dell’analisi della menzogna, come per esempio la differenza di genere, gli uomini sono inclini alle menzogne self-oriented, concentrate verso se stessi, mentre le donne a quelle other-oriented, concentrate verso gli altri (DePaulo & Bell, 1996). Dovremmo tenere in considerazione l’età (es., già da neonati, Reddy, 2007), la personalità (es., Weiss & Feldman, 2006, sostengono che gli estroversi sono più bugiardi degli introversi), i trascorsi traumatici: i carcerati, così come coloro che da piccoli hanno subito abusi sessuali sono migliori lie detectors (smascheratori di bugie) di coloro che non hanno subito alcun abuso (Bugental e colleghi, 2001). Comprendere il comportamento umano significa considerare le pressioni ambientali che lo influenzano, pressioni situazionali, cultura, fede religiosa e stato d’animo momentaneo, evitando quindi di commettere il cosiddetto errore fondamentale di attribuzione, e orientando la nostra salienza percettiva non solo verso la persona ma anche verso la situazione circostante (Aronson e colleghi, 2010).

I tempi sono importanti. Le bugie spontanee sono precedute da lunghi periodi di latenza rispetto alle verità spontanee, mentre le bugie pianificate hanno periodi di latenza di gran lunga superiori a quelli delle verità pianificate (DePaulo e colleghi, 2003). Tuttavia, i bugiardi manifestano maggiori momenti di esitazione quando la bugia da raccontare incontra un alto sforzo cognitivo rispetto a quando la menzogna da dire risulta semplice nell’elaborazione (Vrij & Heaven, 1999). Le reazioni verbali e non verbali possono presentarsi in anticipo o in ritardo rispetto all’avvenimento causante la reazione della persona, così come l’esatta collocazione di un’espressione (facciale o gestuale) rispetto al flusso del discorso. Un pugno sbattuto sul tavolo accompagnato dall’espressione ‘Non ne posso più!’ sarà probabilmente falsa se l’espressione verbale e quella del viso avverranno successivamente a quella del gesto.

L’intelligenza è importante. Ci sono evidenze che suggeriscono che preparare con cura una bugia non è poi più di tanto utile negli individui poco furbi (Ekman & Frank, 1993).

Le espressioni sono importanti. Ekman e colleghi (1998), hanno scoperto che i sorrisi sinceri sono più espressi in chi dice la verità, mentre chi mente utilizza più sorrisi finti, che questi ultimi sono più asimmetrici (Rinn, 1984), e che chi dice la verità tende a mostrare più illustratori (Friesen e colleghi, 1979): semplici azioni manuali come versare un caffè saranno più complicate se allo stesso momento si sta costruendo una menzogna, di conseguenza si tenderà a parlare interrompendo manualmente l’eventuale movimento dedicato. Coloro che meglio esprimono le espressioni facciali di rabbia, gioia, tristezza, paura, sorpresa, e disgusto, appaiano più credibili di coloro che hanno inferiori capacità motorio espressive (Riggio & Friedman, 1983).

Le emozioni che prova una persona quando mente sono importanti. Quattro in particolare possono essere associate al comportamento ingannevole, ovvero la paura, l’eccitazione, il senso di colpa e la vergogna (DePaulo e colleghi, 2003). Chi mente può avere paura di essere scoperto, può eccitarsi all’idea di riuscire a fregare qualcuno, può sentirsi in colpa per aver cercato di ingannare il prossimo e addirittura arrivare a vergognarsi. Ma caduta almeno in parte la paura di essere smascherati, uno dei deterrenti della menzogna viene perduto definitivamente. Se un soggetto pensa di non ricavarne alcun vantaggio, o qualora si senta legittimato, mentendo non proverà nessun senso di colpa per la propria bugia. Anzi, talvolta una persona può provare il cosiddetto piacere della beffa, ovvero la soddisfazione di aver saputo giocare d’astuzia, parallela al godimento della sfida, la gioia di aver avuto la meglio su qualcuno, spesso riscontrabile attraverso il sorriso di disprezzo (Legiša, 2015).

La modalità in cui viene condotta un’intervista per valutare la credibilità è importante, anzi fondamentale. Determinate domande possono influenzare le risposte, con la tragica conseguenza che l’intervistatore si convince che il soggetto stia mentendo, a causa del nervosismo del soggetto e/o della risposta falsata dall’influenza della domanda (Vrij, 2006). Per non parlare di quanto sia facile cascare nell’inconscio pregiudizio di sospettare maggiormente di una persona se vestita con abiti scuri piuttosto che abiti chiari (Vrij & Akehurst, 1997), o quando è di brutto aspetto piuttosto che bell’aspetto, le persone più good looking vengono credute maggiormente (Bull, 2004).

Secondo Vrij tre sono le motivazioni principali per cui ci è difficile capire se uno mente: mancanza di motivazione nel voler capire se uno mente (es., nel rapporto di coppia); difficoltà tecniche associate allo smascheramento della menzogna; errori comuni che vengono commessi nell’identificare una presunta bugia, in primis l’Errore di Otello. Inoltre vanno tenute in considerazione alcune ulteriori cause che tendono a rendere complicato lo smascheramento delle bugie:

  • Spesso chi è bravo a mentire cercherà di farlo solo su un dettaglio fondamentale, tenendo nel resto della storia dettagli perfettamente attendibili;
  • Chi riesce a non provare emozioni quali paura o senso di colpa ha più probabilità di sembrare credibile;
  • Uso di euristiche da parte dell’interrogatore (es., sta mostrando nervosismo quindi è colpevole; è vestito con abiti neri e/o è brutto!);
  • Fiducia nell’utilizzo di strumenti senza validità scientifica che dimostri efficacia reale nella valutazione della credibilità (es., BAI, VSA, poligrafo).

Le parole sono importanti, anzi, secondo Vrij (2008) sono il metodo diagnostico più efficace per verificare un potenziale inganno e ci consiglia di procedere con un approccio cognitivo:

  • Imporre un sforzo cognitivo intenso, ovvero rendere l’intervista più impegnativa (es., contemporaneamente alle dichiarazioni fargli compilare un documento o fargli disegnare l’avvenimento: chi dice la verità include più dettagli spaziali, ha meno timore di commettere errori e di inserire testimoni (Vrij e colleghi, 2012);
  • Incoraggiare il soggetto a parlare di più;
  • Inserire domande che non si aspettano;
  • Fare la stessa domanda ma in maniera diversa;
  • Chiedere di raccontare in ordine cronologico degli eventi, per esempio quelli svolti nell’arco della giornata, e successivamente chiedergli di ripetere con la stessa precisione l’ordine cronologico contrario degli avvenimenti. Quando diciamo una bugia, basata su episodi astratti, è molto più complicato riportare esattamente un ordine cronologico inverso (Evans e colleghi, 2013; Vrij e colleghi, 2008);
  • Quando possibile, intervistare gruppi di persone mettendoli a confronto (Klein & Epley, 2015; Vernham e colleghi, 2014);
  • Quando possibile videoregistrare l’intervista codificando i segnali comunicativi (verbali e non verbali).

Vi siete mai chiesti quali emozioni provano Verità e Menzogna? E se potessero parlare tra loro, cosa si direbbero? Probabilmente si accuserebbero a vicenda di dire rispettivamente sempre l’una la verità e l’altra la menzogna, lamentandosi di non riuscire mai a capirne il motivo. Questa è la più grande difficoltà. Possiamo capire quando una persona mente, ma certe volte il perché è quello da comprendere e su cui concentrarsi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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