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Interdipendenza tra fattori terapeutici: metacognizione e alleanza

La creazione di un contesto relazionale di sicurezza permetterebbe un miglioramento della metacognizione del paziente.

Di Redazione

Pubblicato il 09 Gen. 2014

Aggiornato il 21 Gen. 2014 11:34

Sara Citro

 

La creazione di un contesto relazionale di sicurezza, in cui poter riflettere sulla propria esperienza, e il confronto tra stati mentali propri e stati mentali dell’altro in un clima paritetico, permetterebbero un miglioramento della metacognizione del paziente.

Interdipendenza tra fattori terapeutici: metacognizione e alleanza

Introduzione

Uno studio ha provato ad analizzare in che modo la qualità della relazione instauratasi tra paziente e clinico durante la psicoterapia influenzi la capacità del paziente di riflettere sui propri stati mentali (come ad esempio pensieri, emozioni e desideri). 

Il buon funzionamento di questa capacità, definita metacognizione, consente alla persona di affrontare le situazioni problematiche con un’adeguata flessibilità affettiva, cognitiva e comportamentale; al contrario, deficit metacognitivi conducono la persona a sviluppare veri e propri sintomi psicopatologici. La metacognizione è pertanto considerata attualmente un aspetto rilevante su cui lavorare all’interno della psicoterapia con i pazienti.

Attraverso l’analisi di un campione di 96 colloqui, audioregistrati e trascritti parola per parola, relativi a 24 pazienti in psicoterapia, è stato indagato in quali momenti della seduta i pazienti mostravano maggiori capacità metacognitive. 

I risultati statistici hanno messo in luce che i pazienti riuscivano a riflettere con maggior profondità sulle proprie esperienze nei momenti in cui era presente una maggior alleanza terapeutica con il clinico, ovvero nei momenti in cui il paziente si sentiva contenuto all’interno di un clima paritetico e collaborativo.

Inoltre, è stata rilevata un’associazione tra i livelli metacognitivi più alti dei pazienti e la presenza di un maggior numero di interventi supportivi del clinico, ovvero quelli in cui trasmetteva comprensione, validazione e supporto alle esperienze dei pazienti.

Questi risultati empirici sembrano essere in linea con le attuali teorizzazioni cliniche sull’argomento, secondo cui la creazione di un contesto relazionale di sicurezza, in cui poter riflettere sulla propria esperienza, e il confronto tra stati mentali propri e stati mentali dell’altro in un clima paritetico, permetterebbero un miglioramento della metacognizione del paziente.

Inoltre, diversi autori sottolineano che le variabili relative alla metacognizione, all’alleanza terapeutica e agli interventi del clinico siano legate tra loro da un rapporto di influenza bidirezionale: si muovono all’interno dell’interazione paziente-terapeuta secondo una dinamica di tipo circolare, condizionandosi costantemente e vicendevolmente.

In linea con questa prospettiva teorica, pertanto, i risultati dello studio potrebbero nel contempo indicare che l’espressione di maggiori difficoltà metacognitive dei pazienti ostacoli la costruzione di un clima relazionale positivo all’interno della psicoterapia; al contrario, laddove i pazienti risultano più abili nel riflettere metacognitivamente sulla propria esperienza, si creerebbe con maggior facilità un rapporto positivo e collaborativo tra clinico e paziente.

In conclusione, i dati emersi dallo studio sembrano indicare che la metacognizione sia una capacità cognitiva che viene favorita dalla presenza di una relazione positiva e paritetica con il clinico, e che, in un’ottica di interdipendenza reciproca, a sua volta tale abilità sia in grado di influenzare la creazione di una soddisfacente relazione terapeutica tra paziente e clinico.

 

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LEGGI:

METACOGNIZIONEALLEANZA TERAPEUTICA

 

L’AUTORE: 

Sara Citro, Dipartimento di Psicologia, Università degli studi Milano-Bicocca, Italia

 

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