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Tabagismo

Nel trattamento del tabagismo, l’intervento multidisciplinare integrato (medico e psicologo) incrementa l’efficacia della disassuefazione

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Nel 1914 Sir Henry Hallet Dale, ricercatore inglese, studiò per la prima volta la connessione tra nicotina e acetilcolina, evidenziando un’azione peculiare della nicotina destinata a divenire un riferimento antologico: eccitante a minime dosi ed inibente a dosi maggiori.

Dale non poteva neppure immaginare, a quel tempo, che le sue ricerche avrebbero successivamente permesso di chiarire il meccanismo della dipendenza da Nicotina, identificata col termine di Tabagismo. Ma dovettero passare altri 70 anni prima che questa parola venisse usata. Tabagismo è dunque una definizione moderna affermatasi negli anni Ottanta. Il suo significato sfugge ancora oggi, più o meno coscientemente, a molti. Non solo in Italia. Nel 1973 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si pronunciava sul binomio “fumo = dipendenza”. Nel rapporto su: “I Giovani e la Droga” l’OMS dichiarava per la prima volta che il tabacco sarebbe una “sostanza capace di dare assuefazione e di provocare danni fisici ai consumatori, al punto da diventare un vero e proprio problema di Sanità Pubblica”. Nel 1977 arrivarono dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra i rapporti più convincenti, quelli del National Institute on Drug Abuse (NIDA) e del Royal College of Physician (RCP) di Londra. In particolare il NIDA, nelle note introduttive redatte dal suo direttore di allora William Pollin, presentava il Tabagismo come vero e proprio “prototipo della dipendenza” (Mangiaracina, 2005).

Tabagismo: l’intervento psicoterapico

Nel trattamento del tabagismo non è ancora stata individuata una terapia che in assoluto si sia dimostrata migliore di altre. La combinazione del trattamento farmacologico e quello di tipo psicologico si sono rivelati efficaci, in più, l’intervento multidisciplinare integrato (medico e psicologo) incrementa l’efficacia della disassuefazione (Fiore, 2008).

Quale che sia l’approccio, la fase diagnostica iniziale è determinante. La diagnosi psicologica dovrebbe comprendere i seguenti aspetti:

  • Storia tabaccologica
  •  Livello di dipendenza dalla nicotina
  •  Analisi della motivazione al cambiamento
  •  Stima della Self-efficacy
  •  Presenza di dipendenza/abuso di alcol o altre sostanze psicotrope
  •  Presenza di disturbi del comportamento alimentare
  •  Presenza di disturbi depressivi
  •  Presenza di disturbi d’ansia
  •  Altre patologie psichiatriche (MMPI, SCID, MAC-T, ecc.)

Questa analisi darà origine ad un “profilo del fumatore”; la terapia, che procede necessariamente per fasi prestabilite che gradualmente portano dalla dipendenza alla disassuefazione completa, deve garantire flessibilità ai cambiamenti che man mano il paziente dimostra. E’ bene che il clinico abbia a disposizione diversi strumenti psicodiagnostici dato che, per essere efficace, il trattamento prevalentemente “psicologico” della dipendenza tabagica implica una verifica continua degli effetti della terapia mediante la rilevazione di indici che orientano e correggono il tiro terapeutico.

Esistono differenti criteri di valutazione pertinenti alla valutazione del fumatore. I due principali riguardano il livello di dipendenza fisica dalla nicotina e il livello motivazionale del paziente, ovvero la misura della volontà di cessare l’utilizzo della sostanza.

L’incrocio di questi due parametri (livello di dipendenza fisica dalla nicotina – livello motivazionale al cambiamento) inquadra 4 differenti classi di fumatori:

  • AM-BD (alta motivazione-bassa dipendenza)
  • AM-AD (alta motivazione-alta dipendenza)
  • BM-BD (bassa motivazione-bassa dipendenza)
  • BM-AD (bassa motivazione-alta dipendenza)

In seguito, sarà necessario valutare il livello di autoefficacia (Bandura, 2000) e determinare l’orientamento del locus of control poiché uno stile di coping problem focused orienta funzionalmente le intenzioni del soggetto, i piani d’azione, il livello motivazionale e l’atteggiamento mentale. Vanno rilevate eventuali dipendenze in comorbidità (alcol, stupefacenti) e psicopatologie relative all’umore, allo spettro ansioso, ai disturbi psicotici e ai disturbi di personalità; ogni condizione psicopatologica aggiuntiva sia in Asse I che in Asse II (DSM-IV-Tr, APA, 2000) costituisce un indicatore prognostico sfavorevole. Nel caso di diagnosi aggiuntive starà al clinico valutarne la gravità, l’incidenza sulla terapia e quale condizione debba ricevere per prima attenzione.

Infine, la presenza o meno di una rete di supporto sociale è una variabile importante per la riuscita della terapia.

La procedura psicodiagnostica del fumatore è un processo piuttosto semplice ma fornisce il grande vantaggio di poter immediatamente individuare e in seguito discutere con il paziente variabili, spesso del tutto psicologiche, che svolgono un ruolo importante nel mantenimento della dipendenza.

Quello della disassuefazione tabagica è un campo di importanza estrema perché il fumo rappresenta la prima causa di morte evitabile al mondo.

 

Bibliografia:

Mangiaracina, G. (2005) La dipendenza da tabacco. Curare il fumo, manuale per smettere di.

 

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