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Psicopatia

La psicopatia è un disturbo caratterizzato da deficit emotivi e interpersonali, con comportamenti antisociali e scarsa moralità.

La psicopatia (o Disturbo Psicopatico di Personalità – DPP) è un Disturbo di Personalità – PD caratterizzato da comportamento antisociale e distacco affettivo ed interpersonale (Benning, Patrick, Blonigen, Hicks, e Iacono, 2005).

Dal punto di vista dei sistemi di classificazione internazionale dei disturbi mentali, il Disturbo Psicopatico di Personalità è stato incluso nella sezione III dei “Modelli Emergenti e Misure” del DSM 5 (APA, 2013). Il DSM IV-TR (APA, 2000) includeva soltanto il Disturbo Antisociale di Personalità.

In letteratura e nella pratica clinica il Disturbo Psicopatico di Personalità (DPP)  viene a volte confuso con il Disturbo Antisociale di Personalità (DAP) e può accadere che i due termini vengano erratamente utilizzati come sinonimi. È importante invece mantenere distinti i due disturbi sul piano concettuale per le loro specificità e deficit, in modo da orientare in modo più efficace il trattamento. Pur avendo diversi punti di similarità, di cui il fondamentale è un pattern durevole di comportamenti antisociali che iniziano durante l’infanzia, il Disturbo Psicopatico di Personalità implica specifici e distintivi deficit emotivi e interpersonali.

La Psicopatia (Disturbo Psicopatico di Personalità): che cos’è?

L’attuale concettualizzazione della psicopatia è stata influenzata dagli studi di Cleckley (The Mask of Sanity, 1941), il quale elencò 16 criteri diagnostici che potevano essere utilizzati per identificare le persone con il Disturbo Psicopatico di Personalità. Particolare enfasi veniva posta sulle scarse abilità affettive ed interpersonali dello psicopatico (superficialità, incapacità di amare, mancanza di rimorsi, mentire patologico) e sul suo comportamento antisociale (scarso controllo degli impulsi, assenza di pianificazione, incapacità di apprendere dalle esperienze passate, delinquenza, stile di vita parassitario).

Questa nozione di psicopatia è stata poi operazionalizzata negli anni seguenti con messa a punto della Psychopathy Checklist (Hare, 1991), la quale comprende 20 items atti a misurare queste due dimensioni del disturbo.

La psicopatia risulta essere dunque un disturbo caratterizzato da una costellazione di caratteristiche affettive, interpersonali e comportamentali specifiche, quali:

  1. Loquacità/fascino superficiale: disinvoltura e loquacità nella conversazione, capacità di dare risposte pronte, divertenti e intellingenti, o di raccontare storie improbabili ma convincenti su di sé che lo mettono in buona luce (anche se ne emerge un fascino superficiale);
  2. Senso grandioso del Sé: opinione eccessivamente elevata del proprio valore e delle proprie qualità, che lo porta a risultare arrogante e supponente;
  3. Bisogno di stimoli/propensione alla noia: il soggetto sperimenta facilemente la noia e tende per questo a mettere in atto comportamente rischiosi;
  4. Menzogna patologica: tendenza a mentire come modalità frequente nelle interazioni con gli altri e con un’ottima abilità nel mentire;
  5. Manipolazione: per conseguire un proprio scopo personale può far uso di inganni, menzogne e frodi manipolando gli altri;
  6. Assenza di senso di colpa: assenza di emozioni morali quali colpa e vergogna e di preoccupazione per le conseguenze negative delle proprie azioni;
  7. Affettività superficiale: può dimostrare freddezza emotiva oppure mostrare un’espressione teatrale, superficiale, recitata e di breve durata delle emozioni;
  8. Deficit di empatia: mancanza di empatia, insensibilità e disprezzo per le emozioni e il benessere degli altri, visti unicamente come soggetti da manipolare per il proprio vantaggio;
  9. Deficit del controllo comportamentale: discontrollo comportamentale, bassa tolleranza della frustrazione con comportamenti aggressivi di fronte alla critica e al fallimento, associati ad un’elevata irritabilità e disregolazione della rabbia;
  10. Comportamento sessuale promiscuo: comportamenti e condotte sessualmente promiscue;
  11. Mancanza di obiettivi e piani realistici a lungo termine: difficoltà nel formulare ed eseguire piani realistici a lungo termine;
  12. Elevati livelli di impulsività;
  13. Delinquenza in età giovanile con una storia di comportamenti antisociale in età adolescenziale;
  14. Problematiche comportamentali precoci: gravi problemi comportamentali in età infantile (comportamenti persistenti di menzogna, furto, rapina, frode, piromania, assenze scolastiche ingiustificate, bullismo, vandalismo, fughe da casa, attività sessuali precoci).

Considerando l’analisi fattoriale del costrutto della psicopatia misurato attraverso al scala PCL-R (1991) si evidenziano 2 fattori correlati. Il primo fattore descrive le caratteristiche emotive e interpersonali tipiche del Disturbo Psicopatico di Personalità: il primo corrisponde ad uno stile arrogante e menzognero e distacco emotivo-esperienza emotiva deficitaria, il secondo fattore fa riferimento invece alle condotte impulsive e antisociali ed è fortemente associato alla criminalità.

Da alcuni studi di Hare (2003) emerge che solo il secondo fattore del costrutto definibile “antisocialità’” correla positivamente con il Disturbo Antisociale di Personalità, mentre il primo fattore relativo allo stile emotivo interpersonale sembra essere tipico e correla positivamente solo con Il Disturbo Psicopatico di Personalità e non con il Disturbo Antisociale di Personalità.

In termini di schemi cognitivi – che si caratterizzano come rigidi e inflessibili – il soggetto con psicopatia valuta se stesso come forte e autonomo, mentre l’altro è percepito come debole, sfruttabile e manipolabile per raggiungere i propri scopi. È frequente un bias di attribuzione di intenzioni malevoli degli altri; presenta pertanto ipervigilanza all’intenzionalità malevola dell’altro e tendenza ad aggredire minimizando la possibilità di essere vittimizzato.

A livello emotivo, è evidente un deficit in termini di competenza emotiva relativamente a diversi aspetti. Alcuni studi hanno evidenziato una riduzione dell’espressione e riconoscimento prosodico vocale non verbale delle emozioni negli individui con psicopatia.  Altri studi hanno suggerito che gli individui con psicopatia avrebbero un deficit di risposta emotivo selettivo, riguardante la paura ma non altre emozioni: in tal senso, ricerche sugli indici fisiologici delle emozioni dimostrano una ridotta risposta elettrodermica a stimoli minacciosi negli individui psicopatici (Herpetz et al., 2001), mentre non mostrano deficit nell’esperire altre emozioni, incluse quelle positive.

In ogni caso, il deficit a carico dell’empatia appare centrale nella psicopatia. Considerando gli aspetti cognitivi ed emotivi dell’empatia, la letteratura suggerisce che le disfunzioni negli psicopatici non sono a carico degli aspetti cognitivi dell’empatia di riconoscimento di stati mentali, pensieri, desideri, credenze e intenzioni (tipicamente misurati attraverso compiti e test di Teoria della Mente, quali l’Advanced Theory of Mind Test oppure il Reading the Mind in the Eyes’ task). D’altro canto, facendo riferimento alle componenti emotive dell’empatia sembrano significativi i deficit a carico del riconoscimento delle emozioni nell’altro (es. attraverso espressioni facciali).

Il deficit empatico è implicato nell’insorgenza e mantenimento della psicopatia poiché l’altro viene visto dal soggetto con psicopatia come oggetto da utilizzare per i propri scopi, con scarsa o assente esperienza di emozioni morali come la colpa e e il rimorso.

In generale, gli psicopatici non mostrano alcuna preoccupazione riguardo gli effetti che le loro cattive azioni possono avere sugli altri, o addirittura su loro stessi. Spesso commettono crimini impulsivi e non pianificati, persino quando la probabilità di essere scoperti e puniti sono elevate. Alla base di tali comportamenti sembrerebbe esserci un’incapacità di apprendere informazioni associate alle punizioni e di rispondere in maniera appropriata ad esse. Ad esempio sono stati trovati deficit in compiti di condizionamento avversivo (Flor, Birbaumer, Hermann, Ziegler, e Patrick, 2002) ed in compiti di apprendimento passivo dell’evitamento (Blair e colleghi, 2004; Newman e Kosson, 1986), una ridotta capacità di riconoscere espressioni facciali negative (Blair e colleghi, 2004) e una risposta elettrodermica deficitaria in risposta ad espressioni vocali negative (Verona, Patrick, Curtin, Bradley e Lang, 2004).

Essendo incapaci di imparare dalle punizioni, le persone con psicopatia manifestano spesso comportamenti impulsivi, perseveranza ed una sostanziale incapacità di inibire la scelta di opzioni precedentemente vincenti nel momento in cui un cambiamento della situazione le renda svantaggiose (Whiteside & Lynam, 2001).

In letteratura si è osservato che la storia di attaccamento dei soggetti con psicopatia  è caratterizzata da esperienze di parenting disfunzionale tra cui: a) stile genitoriale incoerente e instabile: le regole sono scarse, instabili, il genitore non fornisce in modo stabile, coerente, significativo e contingente un feedback per regolare il comportamento aggressivo del bambino (spesso gestito in modo coercitivo); b) stile genitoriale autoritario ed eccessivamente severo e coercitivo; c) trascuratezza e scarso monitoraggio; insufficiente condivisione ed espressione affettiva; elevata emotività espressa. Dalla storia evolutiva di attaccamento, emergono e si mantengono schemi e credenze su sé e gli altri che predispongono alla modalità di funzionamento della psicopatia, come la percezione degli altri come ostili e rifiutanti e la tendenza alla dominanza, coercizione e manipolazione dell’altro.

Psicopatia e processi di decisione

Van Honk, Hermans, Putnam, Montagne e Schutter (2002) hanno esaminato, in partecipanti con alti e bassi tratti di psicopatia, le performances in un famoso task sperimentale, l’Iowa Gambling Task. I risultati hanno dimostrato come i partecipanti con alta psicopatia non imparassero dai feedback negativi (perdita di denaro) che ricevevano durante il compito e manifestassero quindi comportamenti maladattivi, confrontati con i non psicopatici.

Newman, Patterson e Kosson (1987) hanno chiesto a psicopatici e non psicopatici incarcerati di eseguire un compito monetario del tutto analogo all’Iowa con l’obiettivo di esaminare le loro risposte perseverative. Anche in questo caso gli psicopatici compivano scelte non vantaggiose e perdevano maggiori somme di denaro durante il compito. Blair, Morton, Leonard e Blair (2006) hanno studiato la capacità di decision making in persone con psicopatia usando il Differential Reward/Punishment learning task, nel quale i partecipanti dovevano scegliere tra due oggetti che erano associati a differenti livelli di premio o punizione. I dati, anche in questo caso, hanno rivelato una significativa difficoltà, negli psicopatici, nello scegliere tra oggetti con diversi livelli di premio o punizione.

Altri ricercatori recentemente hanno somministrato l’Ultimatum Game ed il Dictator Game ad un gruppo di psicopatici e ad un gruppo di controllo. Nell’Ultimatum Game un primo giocatore decide come dividere una somma di denaro tra sé e un secondo giocatore, mentre quest’ultimo può decidere se accettare o meno la divisione proposta. Nel caso in cui egli rifiuti l’offerta, entrambi i giocatori non riceveranno la somma di denaro. Nel Dictator Game, invece, il primo giocatore decide come dividere la somma di denaro, mentre il secondo giocatore semplicemente riceve la parte di denaro decisa dal primo. I risultati hanno mostrato come gli psicopatici accettassero in minor misura le offerte valutate come ingiuste e non eque in questi due giochi, ottenendo di fatto a fine gioco una minore somma di denaro rispetto ai non psicopatici. In uno studio più datato Blanchard, Bassett e Koshland (1977) hanno indagato la sensibilità a premi e ricompense in un gruppo di psicopatici incarcerati, rispetto ad un gruppo di controllo, ai quali veniva chiesto di effettuare una scelta tra ricevere un premio nell’immediato, seppur piccolo, oppure ricevere un premio tre volte maggiore ma con un ritardo di qualche ora o qualche giorno. Gli psicopatici mostravano una minore capacità di ritardare la gratificazione rispetto al gruppo di controllo.

I dati riscontrati in questi diversi studi permettono di trarre alcune osservazioni e riflessioni su un disturbo così complesso e ricco di sfaccettature. I comportamenti impulsivi, irresponsabili, privi di pianificazione potrebbero essere in parte spiegati dalla sostanziale incapacità dello psicopatico di frenare la necessità di ricompensa e gratificazione immediate, di resistere alla tentazione di provare emozioni ed esperienze forti, e dalla sua insensibilità di fronte a feedback negativi o punizioni, come si è potuto rilevare nei diversi studi con compiti di decision-making. Le conseguenze negative, nel breve e lungo periodo, che la messa in atto di questi comportamenti può portare sono di notevole impatto non solo nella vita dello psicopatico, ma anche delle persone che gli stanno attorno e nella società in cui vive.

Psicopatia e moralità

Kohlberg (1958) per primo trovò che ragazzi aventi storie di antisocialità usavano in modo consistente ragionamenti morali di tipo preconvenzionale, suggerendo quindi l’idea che fattori esperienziali e ambientali negativi potessero contribuire a determinare un arresto dello sviluppo morale a livelli più immaturi della norma.

L’ipotesi che l’arresto a forme di giudizio morale preconvenzionali sia correlato alla manifestazione di condotte devianti ha trovato evidenza clinica anche in relazione alla personalità psicopatica.

Una spiegazione che è stata avanzata per giustificare le differenze di ragionamento morale riscontrate tra soggetti psicopatici e non è quella che i due gruppi funzionino secondo diversi livelli di sviluppo cognitivo ed in particolare secondo forme più immature nel primo caso rispetto al secondo.

L’approccio di Kohlberg allo studio dello sviluppo morale prevede infatti una considerazione centrale dei processi di tipo cognitivo, proponendo un parallelismo fondamentale fra gli stadi dello sviluppo intellettivo e quelli dello sviluppo del pensiero morale. In questa prospettiva, la maturazione di strutture cognitive sempre più complesse viene considerata una condizione necessaria per l’emergere di livelli morali sempre più avanzati: così un individuo che ad esempio non abbia superato lo stadio delle operazioni concrete potrà raggiungere solo le prime fasi del giudizio morale.

A conferma dell’esistenza di una relazione tra le scarse capacità morali rilevate nei soggetti psicopatici ed una corrispettiva immaturità cognitiva, nello studio di Campagna e Harter (1975) sono stati testati i partecipanti con la Wechsler Intelligence Scale for Children, con il risultato che, all’interno di ciascuno dei due gruppi, i ragazzi con migliori punteggi di intelligenza cognitiva manifestavano anche più elevati livelli di ragionamento morale e viceversa. In particolare, i soggetti psicopatici risultavano avere punteggi significativamente più bassi dei controlli a tutti e sei i subtest verbali della scala, riflettendo una generale carenza nelle abilità di concetto, di astrazione e di simbolizzazione.

Il fatto quindi che i ragazzi risultati meno intelligenti ad una valutazione cognitiva fossero anche quelli con maggiori difficoltà di natura morale ha supportato l’idea di un fattore di tipo cognitivo alla base dello sviluppo morale e di una carenza in entrambe le funzioni negli individui con psicopatia.

In generale, le ricerche sulle capacità di ragionamento morale in individui con psicopatia che hanno utilizzato sia il paradigma di Kohlberg sia quello di altri studiosi (ad esempio, Turiel) delineano un’immagine dell’individuo con psicopatia come essenzialmente mancante di un’adeguata moralità e perciò insensibile ed inosservante dei principi dell’etica comune. In particolare in una prospettiva cognitivo-evolutiva, si ritiene il soggetto psicopatico carente nelle funzioni meramente intellettive che dovrebbero consentirne lo sviluppo sul piano della socializzazione morale, suggerendone un arresto ad un’organizzazione cognitiva al secondo livello epistemologico di Kohlberg, ossia basata su un orientamento individualistico di tipo premio-punizione: si può dunque considerare che lo psicopatico sia guidato da valutazioni meramente egoistiche rispetto alle conseguenze dei propri comportamenti, senza saper invece tenere in debito conto quei principi interiori che normalmente impediscono l’attuazione di gravi condotte etero-lesive.

Caratteristiche neurobiologiche del Disturbo Psicopatico di Personalità

Diversi studi in letteratura hanno evidenziato caratteristiche neurobiologiche specifiche del Disturbo Psicopatico di Personalità riguardanti l’attivazione di aree e strutture implicate nella regolazione emotiva e delle relazioni interpersonali, come l’amigdala, le strutture limbiche e la corteccia prefrontale ventromediale (vm PFC).

In particolare, alcuni studi di neuroimaging dimostrano l’associazione tra disfunzioni a carico dell’amigdala e psicopatia, sia in termini di attivazione funzionale che di caratteristiche struttuali anatomico-morofologiche.

Anche disfunzioni a carico della corteccia prefrontale ventromediale (vm PFC)  correlano con la psicopatia, come evidenziato da studi su pazienti neurologici con lesioni focali e da studi sperimentali sul decision making. Infatti la rilevanza di tale correlazione fa riferimento all’interazione della corteccia prefrontale ventromediale con altre regioni cerebrali corticali e sottocorticali coinvolte nella cognizione sociale e nei processi decisionali, nella regolazione emotiva e dell’aggressività.

La disfunzione dell’amigdala in relazione alla psicopatia, si può leggere attraverso due ipotesi interpretative: la prima che evidenzia la correlazione tra deficit empatico del soggetto psicopatico con l’anomalia nel funzionamento dell’amigdala (Blair, 1995); la seconda che evidenzia come la disfunzione dell’amigdala si manifesta nella bassa reattività agli stimoli minacciosi e dannosi ( e di conseguenza con bassa sensibilità alle punizioni e alle norme morali).

Bibliografia

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