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Il Disturbo Borderline di Personalità: dalla diagnosi alla quotidianità

Diverse teorie si sono occupate del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) e hanno cercato di individuare i meccanismi sottostanti e trattamenti efficaci

Di Manuela Tedeschi, Giorgia Cipriano

Pubblicato il 05 Mar. 2021

Per diagnosticare un Disturbo Borderline di personalità vi deve essere un pattern pervasivo di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività, che inizi entro la prima età adulta e sia presente in svariati contesti.

Manuela Tedeschi e Giorgia Cipriano – OPEN SCHOOL Psicoterapia e Ricerca Milano 

 

È questa la definizione che il DSM 5 dà del Disturbo Borderline di Personalità che ad oggi sta acquisendo una sempre più rilevanza ed è sempre più oggetto di studio sia a livello psicoterapico che psichiatrico (Paris, 1993). Ciò è spiegato dalle numerose diagnosi effettuate dai medici: oggi viene diagnosticato a circa il 2 – 5% della popolazione. Esso rientra nella parte dei disturbi di personalità del gruppo B insieme al disturbo antisociale, al disturbo istrionico e al disturbo narcisistico. Esso però può essere diagnosticato se e solo se l’individuo presenta almeno 5 dei 9 criteri diagnostici che riguardano gli stili di comportamento e gli atteggiamenti emotivi. I nove criteri sono: (1) forte sentimento di instabilità e incertezza circa la propria identità, (2) paura cronica di essere abbandonati, (3) drammatica instabilità nelle relazioni affettive, (4) marcata reattività dell’umore (rapide oscillazioni del tono emotivo fra depressione, euforia, irritabilità e ansia), (5) frequenti esperienze di collera immotivata, (6) cronici sentimenti di vuoto interiore, (7) transitori ma ricorrenti sintomi dissociativi (depersonalizzazione, amnesie lacunari, stati oniroidi di coscienza) oppure di ideazione paranoide, (8) comportamenti auto-lesivi impulsivi e incontrollabili (abbuffate compulsive, promiscuità sessuale senza attenzione a rischi di infezioni o di gravidanze indesiderate, cleptomania, abusi di alcool e droghe, ferite auto-procurate), (9) minacce o tentativi ricorrenti di suicidio.

Diagnosticarlo implica effettuare una complessa valutazione a livello dei sintomi. Esso è spesso presente in concomitanza con altri fattori quali: l’ansia, la depressione, le fobie, le condotte alimentari abnormi, le ossessioni e il delirio, gli stili di comportamento e gli atteggiamenti emozionali. In base ad essi la persona può essere inquadrata lungo un continuum: dai limiti della non diagnosi all’evidente patologia. E’ molto difficile effettuare diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità poiché spesso è difficoltoso discriminarlo da altri disturbi in quanto condivide con essi determinati criteri come lo spettro impulsivo, depressivo, la rabbia e l’uso di sostanze (Paris, 1993, 1996). Il modello bio-psicosociale (Paris, 1996) evidenzia come il disturbo Borderline di Personalità sia stato attribuito ad alcuni fattori sia di natura biologica che psicologici e sociali. L’autore specifica che i fattori biologici sono ereditati e fa l’esempio del temperamento o delle disfunzioni neuropsicologiche. Quelli psicologici possono invece derivare dalle esperienze precoci traumatiche di non adeguata cura o comunicazione e come quelli sociali si innescano a causa della disgregazione dei valori tradizionali. È evidente la complessità di questo disturbo e la difficoltà a differenziarlo da altri con cui condivide questi stessi principi; è necessario ancora una volta evidenziare come il disturbo Borderline di Personalità possa essere in concomitanza con altri disturbi psichiatrici (Paris, 1993).

L’eziopatogenesi del Disturbo Borderline di Personalità

Ad oggi, gli studi che si sono concentrati sul ruolo della componente genetica nello sviluppo di un Disturbo Borderline di Personalità ne hanno sostenuto una parziale ereditarietà, del 50% circa. Recentemente (Distel 2012) è stata ipotizzata invece la trasmissibilità solo di alcune componenti, ed in particolare dell’impulsività e non l’ereditarietà del Disturbo Borderline nel suo complesso.

Altri autori si sono invece soffermati sull’impatto decisivo della variabile socio-ambientale nello sviluppo del disturbo.

Da questa concezione si snodano una serie di orientamenti teorici che individuano l’“origine” del disturbo borderline nella presenza di un’esperienza traumatica precoce (Kernberg, 1994), nell’interazione di una vulnerabilità biologica e un ambiente invalidante (Linehan 1993), in una relazione di attaccamento fallimentare (Fonagy 2000).

I modelli teorici individuano rispettivamente il cuore del Disturbo Borderline in una mancanza di integrazione di componenti scisse dell’io, in una disregolazione emotiva o in una scarsa capacità di mentalizzazione.

Disturbo della personalità o comportamenti dettati da una società fluida?

Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità nella regolazione delle emozioni, delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e del controllo degli impulsi (Lieb et al. 2004; Skodol et al. 2002a) ed è di frequente riscontro diagnostico sia nei campioni clinici, sia in quelli non clinici (Leichsenring et al. 2011).

È interessante notare come Bauman definisca la società moderna come una società liquida in cui emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno. Ciò è dettato anche da come è la formazione del soggetto da quando nasce a quando diventa adulto. È necessario studiare e verificare quando e quanto una persona sia influenzata dalle modificazioni culturali sia a livello personale e dunque famigliare che per quanto concerne la scuola e la società in generale. Le persone non sono tutte folli e non soffrono tutte di disturbi della personalità ma nonostante questo hanno bisogno d’aiuto poiché vi è una sempre più forte crisi dei modelli tradizionali autoritari. Tutti hanno il bisogno e la necessità di ristrutturarsi, di ridefinirsi, di essere aiutate a costruire un mondo nuovo e diverso, con tutte le normali ansie che ciò comporta.

Per la studiosa Miller, il bambino ha bisogno di essere ascoltato nei propri bisogni e nei propri ritmi, al fine di instaurare il vero Sé che, a sua volta, permette la costruzione di solide fondamenta di personalità. Se ciò non  avviene e dunque non si verifica l’ascolto dei bisogni e si chiede, invece, all’infante di compiacere le aspettative degli adulti, allora si instaura il cosiddetto Falso Sé, cioè quella sorta di maschera, per lo più inconsapevole, che si utilizza per essere accettati dall’ambiente ed in particolare dalla famiglia e dalla società che la richiede, in cambio dell’amore e di cure dei genitori, in mancanza delle quali il bambino morirebbe. Dalla mancanza di fondamenta solide nella struttura di personalità, che sono necessarie e di possibile sviluppo solo se vi è un ascolto profondo dei bisogni e dei ritmi dei bambini, che permette la crescita del cosiddetto Vero Sé consegue la necessità di appoggiarsi sull’immagine esterna, che è molto fragile e dipendente dallo sguardo degli altri. Quando l’immagine di successo non viene sostenuta e riflessa dall’adulto nel bambino vi è il passaggio dalla grandiosità alla depressione per la Miller. L’adolescenza è considerata da Erikson come quella fase in cui vi è una crisi d’identità. L’adolescente e il giovane adulto oggi cercano fuga dalla realtà reale nei videogiochi. Il mondo dei videogiochi è uno spazio solitario in cui come nella realtà, i ragazzi possono presentare disregolazione emotiva. Tale disegolazione è invisibile agli occhi altrui perché spesso avviene in camera propria senza che nessuno veda. La domanda che dunque è lecito porsi è: “Tale disregolazione é dunque dovuta ad un Disturbo Borderline della Personalità o al fatto che la società di oggi essendo sempre più liquida non permette alle persone di apprendere nella fase adolescenziale il controllo delle emozioni e degli impulsi?” Lo stesso discorso si potrebbe applicare alla difficoltà che le persone con disturbo di personalità mostrano nelle relazioni interpersonali. Le nuove generazioni, chiamate Nativi digitali, sono sempre connesse e hanno la possibilità di fare amicizie sui social senza però creare veri legami. Lo sviluppo dei social ha anche reso doveroso fare ragionamenti sulla concezione dell’immagine di sé e qui che i giovani a volte si creano nuovi personaggi e indossano le più disparate maschere. Le persone che allora mostrano alterazione dell’identità lo fanno perché soffrono di un disturbo di personalità borderline o perché a furia di cambiare sé non si sanno più “riconoscere”?

Teorie Cognitive del Disturbo Borderline di personalità

Le teorie cognitivo comportamentali che più si sono occupate del Disturbo Borderline di Personalità sono state: il modello di Beck e il modello di Marsha Linehan (Liotti, 1999b, 2001). Per lo studioso Beck questo disturbo è da attribuirsi alla comparsa di schemi mentali che condizionano la vita intrapsichica e interpsichica. Attraverso questi schemi che sono di 3 tipi, la persona percepisce il mondo e dunque la realtà e se stesso in 3 modi. I 3 schemi mentali sono: la convinzione che il mondo è pericoloso e malevolo, la convinzione di essere impotente e vulnerabile, e la convinzione di essere intrinsecamente inaccettabile e quindi destinato all’abbandono (Beck, 2005). Dal primo schema mentale hanno origine paure e fobie, ma anche disposizioni alla collera immotivata e intensa. Dal secondo emerge l’incapacità di impegnarsi in progetti coerenti di vita nonché intense reazioni emotive all’abbandono nelle relazioni interpersonali e dal terzo schema si sviluppano le emozioni di vuoto e comportamenti autolesivi (Beck, 2005).

La seconda autrice che ha sviluppato la sua teoria su questo disturbo è stata la studiosa Marsha Linehan che ha affermato che il core del disturbo consiste in un grave deficit del sistema di regolazione delle emozioni dovuto dalla presenza di fattori biologici e temperamentali che si combinano con un ambiente familiare disfunzionale. Così i sentimenti e le emozioni si manifesterebbero con una maggior intensità fino a diventare eccessive sia nell’esperienza soggettiva che nel comportamento e nella comunicazione. Da ciò vi è la spiegazione delle emozioni come rabbia immotivata ed intensa, le oscillazioni rapide dell’umore, l’intensità caotica delle relazioni affettive, la paura esagerata di fronte alla possibilità di essere abbandonati, e l’incapacità di controllare gli impulsi emotivi che può arrivare fino ai comportamenti autolesivi (Linehan, 1993, cit. in Liotti, 2001). Per cercare di gestire queste emozioni la persona che soffre di questo Disturbo potrebbe far uso di droghe, alcool o abbuffate di cibo. Il modello Life themes and plans Implicated in Biases: Elicitation and Treatment (LIBET), che è un modello di concettualizzazione della persona in ambito cognitivo esistenzialista, evidenzierebbe come indipendentemente dal tema che la persona con Disturbo Borderline di Personalità ha, i piani che utilizzerebbe per fronteggiarlo sono quelli immunizzanti come il far uso di droghe o l’alcool o le abbuffate.

Un’ulteriore teoria cognitivista che si è dedicata alla comprensione del Disturbo Borderline di Personalità è la Schema Focused Therapy (Young 2002) che è una teoria di terza ondata (Basile et al. 2017) su cui si sta ponendo particolare attenzione e che sembra promettente (Sempertegui et al. 2013). Essa è stata elaborata dallo psicoterapeuta Jeffrey Young (Young et al. 1993). Young ha notato che erano numerosi i pazienti che non riuscivano a trarre beneficio dalle varie terapie e che molto spesso non la portavano a termine (Serrani 2013). Così egli si è posto l’obiettivo di trovare un metodo efficace per coloro che presentavano schemi rigidi in terapia e credenze disfunzionali radicate tanto da non riuscire a sostenere per lungo tempo un percorso psicoterapico (Kellogg e Young 2006).

La loro teoria ha come presupposto teorico l’integrazione della terapia cognitivo-comportamentale con quelle psicodinamiche, gestaltistica e dell’attaccamento. La SFT afferma che già dalla nascita sono presenti alcuni bisogni emotivi universali come ad esempio il bisogno di sicurezza o quello di autonomia. Se essi vengono soddisfatti garantiscono lo sviluppo dell’equilibrio psicologico, il quale garantisce al soggetto il benessere psicofisico.

Questo modello presuppone come la formazione degli schemi maladattivi (SMP) sia attribuibile al loro mancato soddisfacimento. Gli schemi maladattivi possono a loro volta essere attribuiti ad una varietà di pattern comportamentali ed esperienziali. Uno SMP è pertanto “una struttura emotiva e cognitiva disfunzionale che si consolida nelle prime fasi dello sviluppo e si mantiene per tutta la vita” (Young et al. 2007, p. 7; Serrani 2013). In questo modello è presente anche un altro costrutto non trascurabile: il mode. Esso è definito lo stato emotivo di una risposta di coping (adattivo o maladattivo) allo stato emotivo stesso. La comprensione dei mode offre dunque una declinazione operativa su come il paziente affronta i suoi problemi ricorrenti e diviene un target fondamentale della terapia. L’obiettivo della SFT è infatti quello di trasformare gli SMP del paziente in modo da aiutarlo a trovare modalità maggiormente adattive di soddisfacimento dei propri bisogni profondi (Sempertegui et al. 2013; Young 2002).

Nel particolare caso del trattamento del Disturbo Borderline di Personalità, la teoria SFT presuppone 5 mode differenti principali (Bambino abbandonato; Bambino arrabbiato e impulsivo; Genitore punitivo; Protettore distaccato; Adulto funzionale) che rappresentano il focus della concettualizzazione per come formulata originariamente da Young (Young et al. 2007) e per come sviluppata successivamente nel trattamento individuale (Arntz e Genderen 2009) e di gruppo (Farrell e Shaw 2011) del paziente con DBP.

Nonostante la presenza di un certo numero di dati empirici a sostegno dell’efficacia della TFP (vedi per es., Stoffers-Winterling et al. 2012) non è attualmente disponibile una revisione sistematica quantitativa della letteratura che permetta di stabilire l’entità dell’efficacia.

L’efficacia della schema focused therapy per la cura del disturbo borderline di personalità cumulativa (effectsize) della SFT

A partire da queste considerazioni, si è progettato uno studio meta-analitico allo scopo di valutare l’efficacia della SFT per il trattamento del DBP. Nello specifico, nella presente meta-analisi la riduzione delle caratteristiche DBP è stata considerata come misura di outcome primario, mentre la riduzione dei sintomi acuti è stata considerata quale indicatore di outcome secondario. Sulla base dei dati di letteratura inerenti all’efficacia delle terapie manualizzate per il DBP disponibili (Cristea et al. 2018; Leichsenring et al. 2011; Stoffers-Winterling et al. 2012), ci attendiamo di osservare una stima di effectsize cumulativo ampio sia per quanto riguarda la riduzione delle caratteristiche DBP, sia per quanto riguarda la riduzione dei sintomi psicopatologici acuti.

In conclusione si può affermare che le teorie cognitiviste e l’inquadramento LIBET del Disturbo Borderline di Personalità dimostrano come ci sia un continuum tra normalità e patologia. I tratti presenti in questo disturbo si possono infatti riscontrare anche nella popolazione generale e ciò potrebbe essere dettato dai cambiamenti della società che hanno reso le relazioni più fluide.

È necessario perciò prestare molta attenzione nel fare diagnosi poiché i criteri necessari presenti sono condivisi con altre patologie ma anche con caratteristiche della popolazione generale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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