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Cronache dal congresso di Scienza Cognitiva 2015 – Report del Prof. Bruno Bara

Questa estate il prof Bara ha partecipato al congresso di Scienza Cognitiva (Pasadena USA). Pubblichiamo con piacere la sua corrispondenza dal congresso. %%page%%

Di Bruno Bara

Pubblicato il 12 Ott. 2015

Aggiornato il 26 Ago. 2019 12:17

Cronache dal congresso di Scienza Cognitiva 2015: I giornata

(23 luglio 2015)

 

Questa estate il prof Bruno Bara dell’Università di Torino ha partecipato al congresso di Scienza Cognitiva organizzato dal 23 al 25 luglio a Pasadena, USA. Pubblichiamo con piacere la sua intensa corrispondenza dal congresso.

Eccomi a Pasadena per i quattro giorni più intensi di questo viaggio, al Convegno Annuale di Scienza Cognitiva. Oltre 900 partecipanti, 10 sessioni parallele, non mi sogno di fare un riassunto oggettivo, scrivo solo di quello che a me è sembrato eccellente.

La prima lecture plenaria è di Richard Ivry sui processi decisionali incarnati, gli Embodied Decision Making. Ivry regna sovrano sul Dipartimento di Neuroscienze di Berkeley grazie alle sue ricerche mozzafiato sul cervelletto, tema noioso ma non quando ne parla lui. Illustra oggi l’interazione fra cervelletto e corteccia prefrontale, nell’esecuzione dei movimenti e nella scelta delle azioni. Il cervelletto è un sistema incapsulato, sordo alla strategia decisionale, selezionato per chiedersi solo se il movimento desiderato è stato eseguito. La corteccia si dedica invece a controllare se l’obiettivo è stato raggiunto, non le importa dello specifico movimento.

Evoluzionisticamente i due sistemi lavorano mano nella mano, ma cosa succede quando salta la sinergia, usualmente perché uno dei due sistemi è danneggiato? Tipicamente il cervelletto è avventuroso e pronto a prendersi rischi, mentre la corteccia prefrontale è conservativa e decisa a non rischiare, pronta a dimenticarsi del movimento non riuscito. La corteccia non piange sul latte versato, dice Ivry, comanda strategicamente sul breve ma poi si distrae e il cervelletto riparte per conto suo.

Per fare un esempio, l’ultima volta che siete stati dopo cena su un divano con un attraente partner mai baciato prima chiedendovi se era il caso di provarci, la corteccia comandava di rimanere immobili, mentre il cervelletto era pronto a rischiare. Inibire la corteccia prefrontale dei nuovi partner ed eccitare il loro cervelletto garantirebbe il successo, ma non si sa ancora come fare, spiacente.

Daniel Richardson, del potentissimo University College di Londra, presenta un lavoro su la mente di gruppo, la Group Mind. Mai visto prima un oratore col cappello, ma i postdoc devono inventarsi un modo per farsi notare e non tutti hanno stile.

Si chiede se siamo più intelligenti in gruppo di quanto lo siamo da soli, e la risposta basica è no, ma con evidenza a volte contraddittoria e non troppo convincente. La cosa mai vista prima è una conferenza col pubblico tutto connesso grazie agli smartphone, che risponde in diretta ai quesiti che lui pone, divertendosi un mondo e falsificando parecchie delle ipotesi che Richardson presenta.

Altissima tecnologia, debole teoria. Il momento di suo massimo sconforto, che gli ho rimarcato nelle domande finali, ma di massimo entusiasmo del pubblico, è quando Richardson cerca di dimostrare che le strategie di dating (come tradurre? Appuntamentologia a scopo sessuale?) variano fra maschi e femmine. Le femmine secondo lui e Wlodarski convergono su un unico tipo maschile a causa della influenza sociale, mentre i maschi divergono nelle scelte a causa della competizione fra di loro. Falso! Le femmine del pubblico divergono, e infatti le femmine umane competono fra loro per il partner migliore, mentre i maschi convergono, e infatti i maschi umani hanno criteri biologici forti di scelta della partner, primo fra tutti la sua stimata capacità riproduttiva. Malgrado le smentite alle sue teorie, l’innovativa tecnologia usata -oltre al tragico cappello- rende la conferenza di Richardson indimenticabile per tutti noi.

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Cronache dal congresso di Scienza Cognitiva 2015: II giornata

(24 luglio 2015)

Nel secondo round ricordo la presentazione di Jay McClelland di Stanford sulla cognizione matematica. McClelland ha vinto il premio Heineken, equivalente del Nobel per le neuroscienze. Nonostante la mia stima per lui, una intera ora su come insegnare a un computer a contare fino a 5 risulta difficile da digerire.

Il premio per la presentazione più modesta lo vince Rosalind Picard, dei leggendari Media Laboratory del MIT, che dovrebbe parlarci di nuovi dati sulle Emozioni nella Vita Reale. Purtroppo anche i grandi scivolano male, lei scivola proprio male, accumula dati senza criteri di raccolta, si arrampica sugli specchi quando arrivano le domande scetticamente serie, fa un mega spot pubblicitario sulle sue due aziende, che si chiamano Empatica una e Affectiva l’altra, con prezzi dei prodotti inclusi. Diventerà anche ricca, ma la stima dei colleghi se la è giocata.

Risolleva lo spirito il simposio sulla Simbiosi Uomo-Macchina, con la giovanissima e già super premiata Leila Takayama che parla di virtualità incarnata, mostrandoci l importanza che i robot esibiscano emozioni quando interagiscono con noi, e il grande David Woods che spazia dalla medicina alle navicelle spaziali. Ci fanno un quadro della situazione attuale: un computer a testa per ogni essere umano sulla terra già nel 2014; sostengono che soffriamo per un eccesso di successo tecnologico, ci fanno sorridere amaro sulle aspettative che poniamo sui computer, rapidi sui compiti banali ma incapaci di gestire le situazioni complicate, pur rassicurandoci sul fatto che sono le macchine intelligenti a doversi adeguare a noi. Per i clinici, sappiate che la resilienza dei computer applicati, ovvero cosa combinano quando sono spinti all’estremo, è il tema centrale del lavoro di Woods.

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Cronache dal congresso di Scienza Cognitiva 2015: III giornata

(25 luglio 2015)

I fuochi d artificio arrivano alla fine, con l’ultima presentazione in plenaria, di Martha Farah, della Pennsylvania, su Neuroscienze e Società: Passato, Presente e Futuro. Inizia ricordando come il comune interesse sia quello di comprendere, predire e influenzare il comportamento umano, facendo un riassunto delle stimolazioni e inibizioni di aree cerebrali a fini clinici.

Ricorda che, sebbene sappiamo qualcosa della stimolazione superficiale, nulla sappiamo di cosa succeda con quella profonda, e mostra come siano in vendita apparecchi per la autostimolazione, che le persone possono usare a loro discrezione, per quanto tempo desiderano. Considera questi apparecchi una nuova frontiera oltre i farmaci, e mostra come ci siano imprevisti aspetti di medicalizzazione delle Neuroscienze. Dato che gli apparecchi in vendita non sono considerati come farmaci, nessuno li controlla, e non ci si può aspettare che i produttori siano sinceri sulle controindicazioni. Parla anche del crescente ruolo legale delle Neuroscienze, e dei problemi etici connessi.

Si scatena un putiferio, perché alcuni neuroscienziati illustri sono stati negli scorsi mesi convocati a Washington da una commissione presidenziale sulla utilizzazione clinica delle Neuroscienze, e le visioni sono diverse, con Farah vissuta come paladina estremista dell’etica. Le posizioni a confronto sono due, una che sostiene che non si debba utilizzare nulla di cui non si sia provata la efficacia, e una che sostiene che si deve permettere la utilizzazione di strumenti la cui efficacia non sia provata ma che possano giovare ai pazienti, al limite solo come effetto placebo. I clinici tendono a essere su questa seconda posizione, gli scienziati duri sulla prima, ma non pensate che sia semplice risolvere il problema, ciascuno presenta ottime ragioni.

Cosa certa è che fra poco avremo un’invasione di apparecchi per la stimolazione cerebrale, con presunti vantaggi su cefalea, concentrazione, e coì via. Prepariamoci a una nuova frontiera oltre i farmaci, cui rispondere con prudenza.

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Dopo il congresso: Incontro con Ezra Bayda

(28 luglio 2015)

Il Dipartimento di Neurologia dell’University of California, Irvine, ha varato un programma sull’insegnamento della Gentilezza agli specializzandi e ha chiesto a me di costruirlo. Dato che non ho intenzione di trasferirmi qui per il tempo necessario, ho proposto di agire come consulente e non come docente, e in questa veste sono loro ospite.

Il primo passaggio è stato quello di andare a parlare con la persona che mi sembra più qualificata per tenerlo, quindi stamattina sulla obbligatoria BMW spider del Direttore Steven Small, con targa personalizzata Broca dato che è un esperto di afasia (non stupitevi, siamo in California, il filosofo John Searle ha chiamato il suo cane Ludwig, però lui ha una Porsche spider. È appena uscito il suo nuovo libro sulla percezione, di certo lo stanno traducendo in italiano) andiamo a un appuntamento con Ezra Bayda a La Jolla, cento km più a Sud.

Ezra Bayda è un maestro Zen schivo e importante, i cui libri sono tradotti anche in italiano da Astrolabio, che viaggia poco e non si fa pubblicità. Parliamo per due ore in un ristorante italiano di meditazione e come presentarla a specializzandi in neurologia presumibilmente poco interessati, ci riempie generosamente di consigli, addirittura ha preparato due pagine dattiloscritte su come svolgere una seduta sulla Meditazione di Gentilezza Amorevole (Loving
Kindness è il termine tecnico). Suggerisce di rivolgerla sia agli altri sia a se stessi, come ben sappiamo è molto difficile essere gentili nei propri confronti.

Quando Small gli chiede se è disposto a venire lui personalmente a svolgerla a Irvine, rifiuta ogni compenso e dà una disponibilità di principio, da verificarsi in base alle date delle lezioni. Pone come condizione che il Direttore stesso provi però prima che effetto gli fa meditare dieci minuti al giorno sulla Gentilezza Amorevole, e rimangono che si sentiranno fra un po’, dato che la prima lezione è a novembre. Non ha alcuna fretta, è chiaramente pacificato rispetto al tempo e al denaro, ossessioni di tutti ma qui enfatizzate, vuol sapere di noi e risponde serenamente a tutte le mie domande sulla sua storia di vita.

Bayda regala a entrambi un suo libro con dedica, ci dice quel che pensa del boom della mindfulness, fa domande sulla mia pratica meditativa e sul maestro Corrado Pensa che conosce di fama, è curioso di cosa facciamo come scienziati, racconta la sua esperienza di vita al limite del drammatico, offre consigli proprio perché non siamo suoi discepoli, finiamo per chiacchierare di figli e amori.

Small è colpito, io emozionato, sono a contatto con una persona molto avanti sul sentiero della consapevolezza, percepisco la fortuna che ho di poter parlare con lui a cuore aperto. Gli dico che spero di rivederlo al più tardi nel novembre 2016, quando proprio a La Jolla ci sarà il II congresso di Contemplative Studies, mi invita a passarlo a trovare in quei giorni o quando ripasso da Irvine. Adoro questi appuntamenti senza scadenza, gli sono sinceramente grato.

Il ristorante lo ha scelto Bayda, nonostante sia italiano in California sorprende piacevolmente noialtri scettici, il Red Snapper (un dentice del Pacifico, il miglior pesce che potete mangiare in questo emisfero) alla livornese fresco e saporito, il caffè addirittura buono, ritorniamo verso Irvine rilassati e soddisfatti. Non abbiamo ancora deciso nulla, ma siamo sulla buona strada.

Vi lascio con una poesia di un maestro di Tai-Chi, Loy Ching-Yuen, che ci sollecita a vivere con gioia il momento presente:

Una oncia di tempo è una oncia di oro:
Fanne tesoro.
Apprezza la sua natura volatile.
Oro mal riposto si ritrova facilmente,
Tempo mal speso è perso per sempre.

 

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