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Psicopatologia delle Migrazioni: La Diagnosi in Territori Stranieri

Una chiave di lettura per la psicopatologia delle migrazioni, nelle formulazioni della prima generazione, quella cioè che compie il viaggio.

Di Redazione

Pubblicato il 09 Mar. 2012

Paolo Cianconi, psichiatria, psicoterapeuta, antropologo.

Una chiave di lettura per la psicopatologia delle migrazioni, nelle formulazioni della prima generazione, quella cioè che compie il viaggio.

Psicopatologia delle Migrazioni: la Diagnosi in terra straniera. - Immagine: © Antonio Gravante - Fotolia.com E’ sempre stato difficile approcciare fenomeni nuovi. Viviamo tuttavia in un periodo storico in cui fermare qualcosa di stabile è sotto molti aspetti la prima utopia. In questi territori vulnerabili, le scienze psicologico psichiatriche stanno tentando di dar forma a un nuovo manuale che possa aiutarci nelle nuove formulazioni diagnostiche: il DSM V. E tuttavia secondo diverse voci questo risultato sembra incontrare sempre più difficoltà; qualcuno già dice che non è più fattibile, forse non ci si riuscirà.

Non può non coglierci un certo senso di inquietudine quando incontriamo i pazienti di oggi. Cosa fare se non ho categorie per inquadrare una diagnosi. Nella realtà contemporanea, la vulnerabile postmodernità, “fragile è la nostra capacità di capire”.

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Per quello che riguarda la sicurezza della nosografia psicologico-psichiatrica, una delle spallate più forti è stata impressa dal contributo d’immensa relatività portato della cultura postcoloniale. Tuttavia l’esperienza di autori che si sono succeduti nello studio delle psicologia crossculturale, delle migrazioni e dell’etnopsichiatria ci permette di proporre uno schema utile agli operatori della salute mentale, per inquadrare il fenomeno della psicopatologia delle migrazioni. Se non altro, mentre tutti utilizziamo sempre di più mappe cognitive diasporiche, i migranti classici e i loro disagi, quelli su cui abbiamo già un’esperienza, ci sembrano più vicini. Questo breve contributo fornisce una chiave di lettura per la psicopatologia delle migrazioni, nelle formulazioni della prima generazione, quella cioè che compie il viaggio.

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La psicopatologia delle migrazioni è stata oggetto di numerosi studi (T. Nathan, R. Beneduce, P. Coppo, R. Menarini, , A. Sayad, M. Risso, E. De Martino ). Tuttavia non è stata stilata una vera e propria schematizzazione che permettesse all’operatore di avere una mappa da utilizzare per il suo agire clinico. Il DSM IV-TR, prodotto degli anni 2000, annoverava ancora solo 25 Sindromi Culturalmente Caratterizzate. La cultura psicopatologica degli altri era stata relegata ad un appendice di una decina di pagine ed ad alcune paternalistiche raccomandazioni. In altri lavori, in cui sono stati considerati manuali indiani, cinesi, centro americani, articoli africani eccetera, le sindromi culturalmente caratterizzate salivano a cifre di centinaia. Questo è solo un esempio di come è difficile costruire classificazioni: se si costruisce un riferimento chiuso questo non può che generare etnocentrismo, se si accettano criteri ampi non avremo più possibilità di classificare tutto quello che entra e si presenta.

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La psicopatologia delle prime generazioni già ci permette di delimitare un’area, separandola dalla psicologia dei figli e nipoti dei migranti, le cosidette G2, non meno importanti, che hanno però caratteristiche psicologiche e problemi diversi da quelli dei padri e delle madri che hanno dovuto affrontare la vita tra due mondi. Se vogliamo proporre quindi una classificazione della psicopatologia della prima generazione ci concentriamo su quattro grandi raccoglitori di sindromi. All’interno di ognuno di questi contenitori troveremo, appunto, sindromi specifiche che derivano da anomale risposte individuali a problemi bio-psico-socio-culturali. Questi grandi contenitori sono:

  • Sindromi connesse alla perdita.
  • Sindromi Culturalmente Caratterizzate.
  • Sindromi connesse al Processo Migratorio.
  • Sindromi connesse alle Violenze geo-politiche.

Sindromi connesse alla perdita: le sindromi connesse alla perdita sono caratterizzate da segni e sintomi psicologici e anche disturbi veri e propri derivati da condizioni connesse con la localizzazione mentale di una doppia essenza cognitiva. Un hacker definirebbe questo assetto“Dual Boot: come se su uno stesso hardware girassero due software che presiedono alle stesse funzioni”. In realtà, come ampiamente studiato dai testi, anche italiani, di psicopatologia delle migrazioni, il migrante che compie un viaggio rimane ancorato alla propria terra (intesa nel senso più generale della radicazione identitaria) mentre deve adattarsi a vivere a sprazzi o totalmente senza di essa, in un paese ove dovrà presto imparare un altro modo di esistere. Questo genera spesso rammarico, conflitto; nei casi di interesse clinico avremo sintomatologia specifica, appunto categorizzabile in diverse sindromi.

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Sindromi Culturalmente Caratterizzate: le SCC sono descritte dal DSM IV-TR e dall ICD 10 come “la follia dell’altro”. Il DSM IV-TR: sono “modalità ricorrenti, caratteristiche di certe regioni, di comportamento aberrante e di esperienza disturbante che possono essere o meno collegabili a qualche particolare categoria diagnostica occidentale. Molte di queste modalità sono considerate anche localmente delle “malattie”, o per lo meno dei fastidi, e molte hanno denominazioni locali. A volte la stessa malattia viene chiamata in modi diversi in differenti parti del mondo. Queste sono le sindromi esotiche che hanno incontrato gli europei durante il colonialismo e la decolonizzazione. Sono “modalità di manifestarsi di un ethnos” diverso dal nostro. Nelle migrazioni il clinico può imbattersi in queste sindromi.

Ricordiamo che in Italia esistono, tra quelle citate nel DSM IV-TR, almeno quattro sindromi culturalmente caratterizzate nostre, storicamente autoctone: Mal de ojo (il malocchio), Zar (la possessione), il Rootwork (la fattura), Nervios (esaurimento nervoso); alcune di queste (e di altre) sindromi culturali sono scomparse con la modernizzazione, altre mutano anche all’interno dei luoghi della postmodernità e nelle realtà sintetiche.

Sindromi connesse al Processo Migratorio: questo gruppo di sindromi emerge dal così detto goal starving stress (stress da raggiungimento dello scopo) e da altre dinamiche sociologiche che si innescano nel più generale processo integrativo dei migranti. Il progetto (sogno) migratorio è stato studiato nelle sue più poliedriche sfaccettature. La maggior parte dei migranti riesce a trovare una sua strada, tra le varie possibili, ed iniziare un percorso di inserimento progressivo nelle nostre società ospitanti. Benché tutti siano sottoposti a delle variabili comuni, a delle difficoltà e a degli attriti, una parte delle popolazione migrante affronta maggiori difficoltà; ciò può contribuire a generare un disturbo, solitamente di ordine psicosomatico (somatosi del migrante) o propriamente psichiatrico. Ciò avviene in tempi e modalità specifiche.

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Sindromi connesse alle violenze geo-politiche: questa classe di sindromi riguardano la migrazione in secondo piano, in quanto è vero che le persone si trovano nel nostro paese, spesso protette dallo statuto di rifugiato, ma il problema principale di questi pazienti è l’aver attraversato esperienze di profondo dolore, disordine ed abuso fisico e psicologico quali la guerra, la tortura, gli sfollamenti o le pulizie etniche, il genocidio, le guerre a bassa intensità, i campi di sterminio o di prigionia. Benché il DSM faccia rientrare tutti questi disturbi nella generica dizione di PTSD, l’esposizione a tali livelli di violenza, spesso organizzati in specifiche tecniche di effrazione psichica, sociale e individuale, li pone, secondo diversi autori, su un diverso piano. La psicologia delle violenze collettive emerge proprio dall’esperienza di diversi psicoterapeuti che si sono confrontati con questi problemi e disturbi creati dal dispotismo diretto dell’uomo sull’uomo.

In questo breve lavoro sono state descritte le categorie contenitore che inquadrano la psicopatologia delle migrazioni per i migranti di prima generazione. La diagnosi in territori stranieri ha mostrato le difficoltà di inquadramento dei vecchi testi, disarticolato molte delle nostre procedure, soprattutto quella testologica. Le figure professionali hanno fatto, per vent’anni, scelte di responsabilità senza preparazione adeguata al nuovo fenomeno del multiculturalismo o dell’intercultura. Gli operatori della salute mentale, come anche gli educatori, i sociologi gli avvocati e chi partecipa alla gestione del complesso sistema migratorio della postmodernità, sono tenuti ad essere informati degli studi che in questi ultimi anni hanno elaborato teorie di riferimento e presidi terapeutici e psicoterapeutici nei confronti di queste realtà in movimento nelle scale geografiche come in quelle socio-psicologiche.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • American Psychological Association. (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM IV-TR. Washington, 2000
  • World Health Organization. (1992). The ICD-10 Classification of Mental and Behavioural Disorders.   
  • Cianconi P. (2011). Addio ai confini del mondo. Franco angeli, Milano
  • Nathan T. (1990). La follia degli altri. Ponte alle grazie, Firenze
  • Nathan T. (2003). Non siamo soli al mondo. Bollati Boringhieri, Torino
  • Sironi F. (2010). Violenze collettive. Feltrinelli, Milano
  • Cole M. (1996). Cultural psychology.  Harvard College, USA
  • Beneduce R. (2006). Etnopsichiatria. Carocci, Roma 

 

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