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Cos’è il colore? Intervista al Professor Riccardo Manzotti, Docente di Filosofia teoretica all’Università IULM di Milano

Oggi non sappiamo ancora cosa sia il colore. Neuroscienze, fisica e filosofia ci offrono diverse spiegazioni. L'avvento del digitale e della realtà aumentata aumentano le domande al riguardo.

Di Diletta Bufo

Pubblicato il 22 Mar. 2018

Aggiornato il 07 Mar. 2019 12:34

Il colore: una proprietà degli oggetti? Una frequenza di luce, come pensava Newton? Una sostanza chimica?  “Può sembrare strano – avverte il Professore Riccardo Manzotti – ma oltre 300 anni dopo il testo di Newton (1704) non sappiamo ancora in modo definitivo che cosa sia il colore”.

 

State of Mind (SoM): Facciamo un po’ di chiarezza con l’aiuto di Riccardo Manzotti, docente di Filosofia teoretica all’Università IULM di Milano. Attualmente insegna negli Emirati Arabi, presso l’ateneo di al-Ayn, dove si studiano le nuove tecnologie. Recentemente ha pubblicato per l’editore Arcipelago un saggio intitolato “Psicologia della percezione artistica.

Riccardo Manzotti (RM): Per le neuroscienze, i colori non esistono nel mondo fisico, ma sono creati dal cervello. Il mondo fisico sarebbe, dunque, senza colori. Tuttavia questa posizione si scontra sia con la nostra esperienza quotidiana (che attribuisce i colori alle superfici e alla luce), sia con l’idea, piuttosto attendibile, secondo cui gli animali si siano evoluti per vedere i colori che si trovano nel mondo. Il problema è che, in molti casi, come le illusioni o le allucinazioni, si vedono colori che non esistono. E allora rimane il dubbio che i colori che vediamo siano una forma di allucinazione. In breve, i colori restano in sospeso tra la mente e il mondo fisico e, di conseguenza, non troviamo una soluzione convincente. Si sente il bisogno di un nuovo paradigma che riesca a mettere insieme neuroscienze, filosofia e fisica.

SoM: Come è cambiata l’arte in relazione alla disponibilità dei colori? In passato, pittori come Giotto avevano una tavolozza infinita, come accade oggi con il digitale?  

RM: In realtà, fino all’invenzione dei colori ad olio, la tavolozza degli artisti era molto limitata sia perché si disponeva di pochi pigmenti stabili, sia perché era quasi impossibile mescolarli senza effetti inattesi. I pigmenti colorati erano sostanze chimiche che non andavano mischiate. Medioevo e Rinascimento conoscono pochi colori. Michelangelo dipinge il Tondo Doni con 5-6 tinte di base. Piero della Francesca fa la stessa cosa. Da Giotto a Raffaello nulla cambia: la gamma dei colori è limitatissima.
La prima rivoluzione avviene con l’introduzione dell’olio e, a metà dell’Ottocento, dei pigmenti chimici che consentono la grande esplosione cromatica dell’Impressionismo. Oggi siamo viziati, qualsiasi schermo digitale produce milioni di sfumature. Se da un lato questo favorisce la ricchezza cromatica, dall’altro impedisce di caratterizzare la singola sfumatura. Turner aveva passato anni a cercare una sfumatura appropriata di giallo. Una volta i colori avevano più, come dire, personalità!

SoM: La visione dei colori può essere condizionata dalla cultura? E dal sesso? Uomini e donne vedono gli stessi colori? 

RM: Contrariamente all’idea diffusa secondo cui la cultura cambia il modo in cui vediamo la realtà, nel caso dei colori non ci sono prove certe, anzi l’evidenza empirica sembra suggerire una grande stabilità dell’esperienza cromatica. Anche i miti circa gli eschimesi che vedrebbero più sfumature di bianco, sembrano ingiustificati. Noi e loro vediamo le stesse sfumature di bianco, ma gli eschimesi danno molti più nomi alle varie nuance senza che questo significhi che vedano qualcosa di diverso. L’idea prevalente oggi è che la percezione cromatica – a meno di differenze patologiche come nel caso dei daltonici e dei dicromatici – sia sostanzialmente identica tra le persone, a prescindere dal sesso o dalla cultura. Un’eccezione è rappresentata dal 12% delle donne che hanno un tipo di fotorecettore al colore in più, sono tetracromatiche. E tuttavia non ci sono prove certe del fatto che vedano più colori delle altre persone. Anche questo è un mistero.

SoM: Cos’hanno in comune Newton e i Pink Floyd? Il primo marzo l’album musicale “The dark side of the Moon” ha compiuto 45 anni. In copertina c’è un arcobaleno… 

RM: Newton è responsabile di un famoso errore che è diventato parte della nostra cultura, ovvero l’idea secondo cui nell’arcobaleno ci sarebbero 7 colori principali. In realtà, il grande scienziato, all’apice della sua fama, forzò questo numero per soddisfare le sue simpatie alchimistiche e numerologiche: 7 è un numero molto affascinante. Ci sono 7 note musicali, 7 giorni della settimana, 7 vizi, 7 virtù e così via. Sfortunatamente per lui, però, ci sono solo 6 tinte salienti nell’arcobaleno (3 colori primari e 3 colori secondari), un numero che non dipende dalla fisica, ma dalla fisiologia dell’occhio. Dunque, care maestre, smettiamola di insegnare i sette colori dell’arcobaleno! La cosa divertente è che, nel 1973, quando i Pink Floyd scelsero la copertina del loro album capolavoro, “The Dark Side of the Moon”, decisero per un omaggio al grande scienziato inglese: misero un prisma che divide la luce nei colori dell’arcobaleno. Dato che i Pink Floyd non sbagliano mai, però, misero correttamente 6 colori e non 7. Chissà che cosa ne avrebbe pensato Isaac Newton!

SoM: Oggi si parla molto di AR (realtà aumentata) oltre che di realtà virtuale. Che cosa si potrà fare con i colori?

RM: L’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie consentono di creare mondi virtuali. Tuttavia, ancora una volta, il colore non si dimostra così facile da trattare. Infatti, i sistemi di realtà virtuale e aumentata non sono in grado di farci vedere colori aggiuntivi rispetto ai familiari colori del nostro mondo. Come mai? Nessuno ha mai visto un colore che non esiste nel mondo fisico. Questo suggerirebbe che la posizione delle neuroscienze, secondo cui i colori sono creati dal cervello, sia sbagliata. Infatti, se lo fossero, con la realtà virtuale dovremmo riuscire a creare colori nuovi. Nei prossimi anni vedremo interessanti sviluppi dalla combinazione della intelligenza artificiale con le neuroscienze che metteranno alla prova i modelli esistenti sul colore.

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