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Il ruolo dello Psicologo nelle Cure Palliative: identificazione e gestione degli aspetti emotivi e relazionali e miglioramento del benessere psicologico nel fine vita

Le cure palliative comprendono cure, non solo di tipo farmacologico, ma anche di sostegno psicologico rivolte al paziente in fase terminale e ai caregivers

Di Julianita Anselmini, Valentina Paolini

Pubblicato il 19 Mar. 2021

L’equipe di cure palliative  cerca di supportare il paziente affinchè possa rispondere alle sue domande, attivare un sostegno e un supporto volto a stimolare il processo di accettazione. 

Anselmini Julianita e Paolini Valentina – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Tu sei molto importante perché sei tu e sei importante fino alla fine (Cicely Saunders)

Cosa sono le cure palliative?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le Cure Palliative come “il prendersi cura attivo e globale del paziente la cui malattia non risponde più alle cure specifiche. E’ fondamentale il controllo del dolore e degli altri sintomi unitamente all’attenzione ai problemi psicologici, sociali e spirituali. L’obiettivo delle cure palliative è quello di ottenere la migliore qualità della vita per il paziente e per i suoi familiari. Molti aspetti delle cure palliative sono applicabili precocemente, insieme alle terapie specifiche. (Esse) affermano la vita e vedono il morire come un processo naturale, [..] da non anticipare né da posporre. (Tali cure) offrono un sistema di supporto che aiuta il paziente a vivere il più attivamente possibile fino alla morte ed offrono un aiuto alla famiglia per adeguarsi alla malattia del paziente e per elaborare il lutto”.

Queste definizione, implica la preservazione della migliore qualità di vita possibile, rispettando e sostenendo la persona nell’ultimo periodo della sua esistenza.

Con il termine “cure palliative” ci riferiamo non solo alle malattie oncologiche, ma anche ad altre patologie croniche come, ad esempio, scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria, malattie neurologiche (come ad esempio il decorso della SLA), demenza ed altre.

Dai dati Istat, emerge che la richiesta di supporto di tipo palliativo, nel fine vita, viene richiesto per il 40% per patologie oncologiche e, per il 60%, per patologie non oncologiche (Rapporto annuale Istat, 2018).

La definizione dell’OMS prevede un percorso di cura poliedrico e molto impegnativo che prende in considerazione i diversi bisogni del malato terminale, a cui, alle cure di tipo cliniche, vengono affiancate quelle inerenti alla dimensione psicologica e a quella spirituale.

Lo scopo di queste cure è quello di alleviare un dolore globale, che dal punto di vista medico, riguarda il sollievo dal dolore del corpo, che però è legato anche alla sofferenza psicologica che determina risposte emotive, adattive e comportamentali.

Emozioni e disturbi dell’umore nel fine vita

Le emozioni caratterizzano la specie umana e si manifestano in tutte le attività che mettiamo in atto ogni giorno. Esse influenzano i nostri processi cognitivi superiori, come ad esempio, la percezione, il processo di pensiero, il processo decisionale, il linguaggio, le credenze, la motivazione, l’apprendimento, la memoria e i comportamenti.

Le persone che stanno affrontando delle malattie inguaribili, possono sperimentare diversi sintomi, emozioni e sentimenti durante il loro percorso di malattia che possono contribuire alla loro sofferenza. Queste emozioni possono dipendere da una varietà di fattori differenti e da una intensità variabile nel corso del tempo e tra un paziente e l’altro.

Le emozioni negative più ricorrenti nei pazienti in cure palliative sono: il senso di solitudine, l’ansia, la rabbia, la paura, il senso di colpa, la disperazione e la tristezza. Queste emozioni, parallelamente, sono vissute anche dai familiari/caregivers.

Molte di queste reazioni emotive, come ad esempio ansia, tristezza e preoccupazione, sono reazioni “normali” durante il decorso della malattia. Nella maggior parte dei casi, il decorso della patologia può essere cronico e doloroso e il paziente può aver esaurito le risorse per affrontare adeguatamente il suo problema. In queste condizioni possono presentarsi ansia e depressione in concomitanza dell’aumentare dei sintomi.

L’équipe di cure palliative in tal senso cerca di supportare il paziente affinché possa rispondere alle sue domande, attivare un sostegno e un supporto volto a stimolare il processo di accettazione, componente necessaria per poter affrontare questa fase della vita e cercando di migliorare il benessere psicofisiologico della persona. In questo contesto il sollievo dalla sofferenza e la riduzione del disagio emotivo possono essere raggiunti attraverso due importanti passaggi: il primo step necessario consiste nel cercare di identificare i bisogni del paziente e dei suoi familiari, cercando di identificare le emozioni negative e tenerle in considerazione prima di intraprendere un supporto terapeutico.

Le cinque fasi del dolore nel modello Kubler-Ross

Il modello a cinque fasi del dolore introdotto da Elisabeth Kubler-Ross (Medico Psichiatra e docente di medicina comportamentale Svizzera) si è rivelato uno strumento importante che consente di identificare e capire le dinamiche psicologiche più frequenti che vive la persona a cui è stata diagnosticata una grave malattia.

Viene definito come un modello a fasi, e non a stadi, in quanto possono ripresentarsi più volte nel corso del tempo, con diversa intensità e senza un ordine preciso, dato che sono caratterizzate da stati emotivi.

La prima fase viene definita di “negazione o rifiuto” ed è caratterizzata dal fatto che il paziente rifiuta la sua diagnosi e ritiene impossibile di poter avere quella malattia. La seconda fase “della rabbia” si manifesta dopo la negazione, e i pazienti iniziano a manifestare emozioni intense come rabbia e paura. Questa è una fase che investe emotivamente sia i familiari che il personale sanitario. Rappresenta un passaggio molto delicato e un momento critico dove, da una parte emerge una richiesta di aiuto, e dall’altra può verificarsi il rifiuto, la chiusura e il ritiro della persona. Nella terza fase “del patteggiamento”, l’individuo, in base a ciò che è in grado di fare, inizia ad identificare i progetti in cui può investire la sua speranza e intraprende quindi una specie di negoziazione, in base ai suoi valori personali, che può essere instaurata sia con i suoi familiari che con degli operatori spirituali. In questo passaggio, il paziente cerca di riprendere in mano la sua vita dedicandosi a ciò che può ancora fare. La quarta fase “della depressione” è quella in cui la persona inizia ad entrare in contatto con la sua sofferenza, diviene consapevole della sua malattia, ed aumenta con il progredire della stessa. La quinta fase viene definita “dell’accettazione” e si manifesta quando il paziente diviene consapevole di ciò che sta accadendo e arriva ad un’accettazione della sua condizione. Possono essere presenti livelli di rabbia e depressione, solitamente di intensità moderata. Questo rappresenta il momento in cui la persona ricerca la vicinanza e il dialogo con i suoi familiari. Questa fase, non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia, in cui nei pazienti può riemergere la negazione, la ribellione o la depressione.

L’équipe nelle Cure Palliative

La Legge n.38/1 Art. 2 del 15 marzo 2010, definisce le Cure Palliative come “l’insieme degli interventi diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

Le cure palliative, comprendono quindi, un insieme di cure, non solo di tipo farmacologico, ma anche di sostegno psicologico che sono rivolte sia al paziente in fase terminale che ai suoi caregivers.

L’équipe è formata da un team multidisciplinare, composto da medici, anestetisti, psicologi, infermieri, fisioterapisti, operatori socio-sanitari, operatori spirituali e volontari, che lavorano in sinergia, occupandosi sia dei pazienti che dei familiari. Esistono diverse tipologie di setting assistenziali di intervento, dove il paziente può scegliere se ricevere un’assistenza domiciliare integrata (ADI), a casa, oppure di avvalersi di una struttura dedicata come l’hospice.

Il lavoro dello Psicologo nelle Cure Palliative e nel fine vita

L’intervento psicologico e sociale nel fine vita si rivela di estrema importanza nell’ottica di un contesto di lavoro multidisciplinare. Il ruolo dello psicologo, in questo caso, è quello di impostare un progetto di cura centrato sul paziente e sui suoi bisogni, in quanto si rende necessaria la personalizzazione della cura, che va adattata in base alla malattia, alle risorse e alle esigenze della persona. Il suo lavoro è rivolto all’esplorazione della sua storia di vita e familiare, con l’obiettivo di individuare i significati e i valori che orientano le sue scelte attraverso il modo in cui vede il morire, e ciò che sta lasciando. In questa ottica, risulta molto importante il riuscire ad instaurare una buona alleanza terapeutica per cercare di avvicinarsi sia al paziente sia ai familiari/caregivers.

Lo psicologo, quindi, può operare su tre diversi fronti: da un lato, il suo lavoro è rivolto verso il paziente per ciò che riguarda l’accettazione della malattia e del processo del fine vita, verso i familiari, per ciò che riguarda l’accettazione della malattia del proprio caro e per affrontare, successivamente l’elaborazione del lutto, e con gli operatori sanitari, esposti quotidianamente alla sofferenza che investe il loro lavoro, per ciò che riguarda la prevenzione del burnout.

La terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento della depressione e dell’ansia nei pazienti durante le cure palliative: una meta-analisi

Diversi studi si sono occupati della correlazione, nei pazienti in fase terminale, tra vissuti emotivi e benessere psicologico. Tra le diverse emozioni che si presentano nel fine vita, emergono depressione ed ansia.

I disturbi d’ansia sono associati alla malattia terminale e si manifestano, solitamente, in concomitanza con il progredire della sintomatologia, soprattutto sull’aspetto del dolore cronico, e per ciò che riguarda la fase di passaggio dagli interventi terapeutici volti alla remissione della malattia a quelli “palliativi” che riguardano l’assenza di prospettive future, oltre che la paura stessa della morte.

L’aspetto depressivo, solitamente, si verifica nella fase avanzata della malattia e alcuni fattori, che possono causarne l’insorgenza, sono riconducibili ai fattori organici, le alterazioni collegate ai farmaci e il dolore non adeguatamente controllato.

Una ricerca del 2016, si è occupata della valutazione del ruolo della metacognizione come fattore predittivo nello sviluppo del disagio emotivo nei pazienti oncologici (M. Catena Quattropiani et all, 2016). Tale indagine, prende in considerazione l’assunto che i pazienti oncologici, durante la chemioterapia, frequentemente hanno a che fare con molteplici effetti collaterali e di disagio psicologico.

Questa analisi evidenzia che le credenze metacognitive e disfunzionali sono alla base dello sviluppo e del mantenimento dei disturbi emotivi. I risultati hanno evidenziato che la metacognizione ha una forte correlazione con l’ansia e con la depressione di questi pazienti sottoposti a chemioterapia.

Uno studio recente del 2018, ha preso in considerazione l’effetto della psicoterapia cognitivo-comportamentale sulla depressione e sull’ansia, in un campione di soggetti adulti con gravi patologie, afferenti alle cure palliative.

Questa meta-analisi ha incluso 32 studi randomizzati controllati con 36 campioni composti da 1536 partecipanti sottoposti ad un percorso di psicoterapia. Il risultato di questa ricerca suggerisce che la psicoterapia, in questi pazienti, ha ridotto i sintomi della depressione (grande effetto) e dell’ansia (piccolo effetto), migliorandone la qualità della vita (piccolo effetto).

La terapia cognitivo-comportamentale e gli approcci di terza generazione (come ad esempio, l’Acceptance and Commitment Therapy e la Mindfulness) hanno mostrato degli effetti significativi nella riduzione della depressione e dell’ansia in questi pazienti. Questa indagine ha evidenziato che le sessioni di trattamento più numerose hanno prodotto un effetto maggiore, mentre gli incontri con cadenza prolungata hanno prodotto un effetto minore. Anche per ciò ci riguarda l’età dei partecipanti si sono riscontrate delle differenze significative: con l’aumentare dell’età del campione, la dimensione dell’efficacia è diminuita.

Risultati ottenuti anche in altre ricerche, sembrano confermare come la terapia cognitivo comportamentale si sia rilevata una valida modalità di intervento per ciò che riguarda i vissuti di ansia e di depressione nei pazienti in cure palliative. Uno studio del 2008 (T. Anderson, et al), sottolinea come l’uso di tecniche cognitivo-comportamentali era accettabile per una parte di pazienti, che vanno comunque scelti con cura. Alcune difficoltà nel trattamento possono verificarsi in pazienti con uno stato di confusione, in quelli con difficoltà di comunicazione e in quelli con scarsa energia, concentrazione e memoria.

Questi indicatori, suggeriscono quindi, che la psicoterapia cognitivo-comportamentale in persone con malattie gravi, nel contesto delle cure palliative, può essere utile nel ridurre i sintomi della depressione e dell’ansia, migliorando la qualità della vita di questi pazienti. Sono comunque necessarie delle ricerche future, per poter approfondire questi aspetti prendendo in considerazione un campione più ampio della popolazione.

Quando non c’è più nulla da fare, c’è ancora molto da fare

 

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